Gianni Cerasuolo
In memoria/2

In morte di Gigi Riva

Dal no agli Agnelli agli inchini ai paesi Arabi: fa tristezza ripensare a Gigi Riva. Un esempio di vita, oltre che un campione: il calcio di oggi non gli somiglia per niente

Gigi Riva se ne è andato poco prima che Inter e Napoli si giocassero la Supercoppa, un trofeo italiano che si gioca fuori d’Italia, in Arabia Saudita, perché il calcio è sempre più avido e immorale. È come se il grande campione si fosse rifiutato di vedere un’altra manifestazione di uno sport che oramai gli era estraneo.

Questo è un calcio che si prostituisce e Gigi Riva non è mai stato una puttana. Disse no ad Agnelli e a Moratti che lo avrebbero ricoperto d’oro: io resto a Cagliari.

Questo è un calcio senza ideali. Infatti va a giocare in paesi dove ogni regola democratica è bandita e dove i diritti umani vengono calpestati. È successo con i Mondiali in Qatar, succede con il bancomat di milioni e milioni di dollari che sceicchi ed emiri mettono a disposizione dei giocatori più celebrati del momento e delle vecchie glorie sul viale del tramonto. E i padroni del pallone continuano a menarla con le magnifiche sorti e progressive di certi stati: dinastie e governi del Golfo e dintorni si ammorbidiscono e si aprono alla democrazia attraverso la penetrazione nei loro paesi del gioco che una volta era il più bello del mondo. Così tra dieci anni l’Arabia avrà anche il suo bel Mondiale.

Questo è un calcio senza morale. La Supercoppa si gioca a Riad perché i club, guidati dalla Lega Calcio, ricevono un bel gruzzolo per esibirsi laggiù. E può accadere anche che quell’impossibile personaggio di Aurelio De Laurentiis un po’ di tempo fa minacciasse di non partire per il Medio Oriente, preoccupato per la situazione politico-militare, e che poi faccia una piroetta e si presenti, a partita conclusa e persa dal suo Napoli, per tessere le lodi della monarchia assoluta, un posto dove hanno fatto una Disneyland più bella dell’originale. Ricordava, il funambolico DeLa, Matteo Renzi e il Rinascimento di Bin Salman. Come dare il Nobel della Pace a Putin.

Questo è un calcio senza dignità. Ai tempi di Riva si firmavano contratti sul tovagliolo di un ristorante. Adesso non bastano accordi firmati e vidimati dopo che i club si sono svenati per pagare agenti e intermediari. Infatti il calcio italiano è in braghe di tela. Per racimolare un po’ di soldi, si offre. Pecunia non olet. Capita allora che nel minuto di silenzio dedicato a Gigi – prima che iniziasse il secondo tempo della Supercoppa – si sentissero forti e sibilanti dei fischi. Pare che il pubblico locale non gradisse perché non si usa ricordare così a Riad. E quei fischi sono stati come un pugno nello stomaco per chi ha ammirato un mito.

Questo è un calcio senza eroi. Non è questione di scorrere del tempo. Gigi vinse lo scudetto nel 1970, più di mezzo secolo fa. Non si può fermare il tempo. Gigi l’aveva fermato. Era arrivato con la rabbia in corpo in Sardegna: «Ero incazzato con la vita». Orfano di padre, il collegio, i preti, le monache. Sembrava un orso. Era un poeta del gol. Era un signore. Quando lo chiamavi al telefono, se non poteva parlarti, avrebbe richiamato lui. E lo faceva. Non gli andava piangersi addosso: «I miei infortuni? Fanno parte del lavoro che faccio…», diceva. Il calcio di oggi non ha campioni del vivere, dell’esistenza. Sono personaggi fatti con lo stampino, a volte riescono meglio, a volte peggio. Mai un sussulto, una ribellione. Tutti ipocritamente educati e muti, con le mani sulle bocche. Gigi Riva amava parlare in faccia. Addio, Rombo di Tuono.

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