Teresa Maresca
Ancora su “Perfect days” di Wim Wenders

Il cielo sopra Tokyo

Il nuovo film del regista tedesco, girato in due settimane con una camera a spalla, non ruotando sopra una storia può far pensare a una crisi creativa dell’autore, ma quel che lascia è «una buona sensazione di pace, di gentilezza, di compassione». Il film perfetto per questa difficile epoca

Negli anni 70 escono i primi film di Wim Wenders, e da allora non me ne sono perso uno. Abitavo a Roma, a quell’epoca, e mi pare di ricordare che andassi a vederli in uno dei cinema d’essai della capitale, una saletta nei pressi dei Parioli. Alice nelle città, Falso Movimento, Nel corso del tempo, titoli splendidi per la trilogia sul tempo, sul viaggio come cambiamento, come movimento alla ricerca della propria identità. Storie che incrociano luoghi e gente di età diversa, vuoti e pieni, spostamenti fisici ed esistenziali. Poi film sul cinema come passione, e ancora belle storie, sulla morte, sull’amicizia, sulle detective storiescome Nick’s Movie, L’amico americano, Lo stato delle cose, Indagine a Chinatown, o persino commedie sulle storie di gangsgter, come Napoli-Berlino, Un taxi nella notte. Poi le storie sull’amore degli angeli e quello degli umani, come Il Cielo sopra Berlino, Così lontano, così vicino!, Paris, Texas. Infine le storie sulla musica rock, come The Million Dollar Hotel, o sulla ricerca del padre, come Non bussate alla mia porta. Nel frattempo vivo in un’altra città, le sale d’essai non esistono più, ma Wenders ha continuato a essere il mio regista preferito, l’autore di mille storie tutte diverse e tutte bellissime, incentrate sui libri, sulla musica rock, sul cinema, sul viaggio, sull’amore, sull’amicizia.

Da tempo Wenders non girava più dei veri film, ma bellissimi documentari, sugli artisti o sui paesi del mondo, affascinanti e incentrati sul soggetto, Pina Baush o Anselm Kiefer, o Sebastião Salgado, ma non c’era una storia. Così non vedevo l’ora che arrivasse al cinema il nuovo film Perfect Days. Già dal titolo, che si ispira a una canzone di Lou Reed, immaginavo che la nuova storia fosse costruita sulla musica rock, come leggevo dalle interviste in occasione dell’uscita del film. E infatti il protagonista, Hirayama (l’attore Kōji Yakusho, ndr), un pulitore di gabinetti pubblici di Tokyo, è un uomo tranquillo e gentile che ascolta ogni mattina la sua musica, scegliendola tra le vecchie musicassette: Lou Reed, Van Morrison, I Rolling Stones, gli Animals, Otis Redding, Patty Smith… Poi fa colazione nel parco, fotografa il suo amico albero con una piccola macchina fotografica analogica, sorride a tutte le piccole cose che gli stanno intorno, ai piccoli drammi quotidiani, al sole che tramonta mentre pedala sulla sua bici sulla sopraelevata di Tokyo. Alla sera si stende sul suo tatami e si addormenta con un libro tra le mani. Niente cambia la sua routine né il suo lavoro, che esegue con precisione e con grande impegno. Di notte vediamo i suoi sogni in bianco e nero, figure incerte tra gli alberi, una donna, ma niente che ci possa far ricostruire quale fosse la sua vita prima di allora, a che cosa abbia rinunciato o chi abbia perduto.

Il film è stato girato in due settimane, racconta il regista, con una camera a spalla, con poca luce e con un vecchio formato, «quello dei film di Don Camillo e Peppone o del cinema muto». Altro segno di fedeltà al passato, agli anni 60 e 70. Non c’è una storia nel film, ci sono le mille possibili storie dei personaggi che incontra solo un attimo, il ragazzino dawn, il barista allegro e gentile che lo saluta ogni sera dopo il lavoro, la giovane triste seduta sulla panchina del parco, la nipote che viene a cercarlo in fuga da una madre severa e lontana. Ma niente ci è dato di sapere sul pulitore di gabinetti, sappiamo solo che è gentile e che prova compassione per se stesso e gli altri. Sulla scelta dei brani musicali presenti nel film, Wenders dice: «Ci ho messo le canzoni che pensavo sarebbe bello ascoltare, ma poi mi sono chiesto se non stessi imponendo la mia musica e i miei gusti a un giapponese. Takasaki, lo sceneggiatore, mi ha rassicurato sul fatto che i giovani giapponesi in quegli anni ascoltavano esattamente le stesse canzoni, belle e personali, che raccontano delle storie. E così la mia compilation è diventata la colonna sonora del film».

Capisco che Perfect Days sia il film perfetto per questo difficile post-pandemia. Un film sulla gentilezza, sull’amore per le piccole cose, per la natura, per l’essenza degli altri, in un periodo in cui l’umanità si è ritrovata arrabbiata, impaurita, sfiduciata nei rapporti personali. Ridotti come siamo, nelle nostre città come nei piccoli paesi di montagna, incattiviti, incapaci di perdere tempo in una passeggiata con un amico o in una telefonata a una persona cara, un film come questo è davvero una boccata d’aria, un punto di vista salutare e diverso su come potrebbe essere la nostra giornata. Ma non è una storia, non ha una storia da raccontare, una storia su cui discutere uscendo dal cinema, una storia che ci ricorda altre storie, che ci sembra di aver vissuto, almeno in parte, una storia che ci aiuti, come fanno le belle storie dei libri o dei film che abbiamo amato. «La storia si stava scrivendo da sola e facevo fatica a starle dietro», sono parole di Ernest Hemingway. Ma se non si ha una storia? Se l’ispirazione, l’idea, non arriva?

È possibile che Wenders sia da tempo in crisi creativa, è successo ad altri grandi artisti, scrittori, poeti, persino a grandi della musica rock, come gli U2 o Bruce Springsteen o a tanti altri. Il rock però è di per sé un contenitore di storie esemplari, sia quelle personali dei suoi autori che le storie raccontate nei pochi minuti di una canzone. Lo stesso Wenders scrisse che il rock gli aveva salvato la vita, e tutti quelli vissuti negli anni 70 sanno bene quali fossero le illusioni e le delusioni, le incertezze di quegli anni, e quanti compagni di strada si siano persi nei paradisi artificiali. Anche queste storie si possono ascoltare tra i testi della musica rock di allora. E vedendo Perfect Days ho avuto la sensazione che Wenders si sia fatto prendere per mano da quei testi, adesso come quando era giovane, e abbia trovato mille storie perfette da utilizzare come struttura per i momenti della giornata del protagonista. Ascoltando i testi della compilation del film ci si accorge che a ogni stato d’animo suggerito dalla situazione o dal movimento di camera corrisponde una frase della canzone della colonna sonora in quel momento. The house of the rising sun si sente mentre dall’abitacolo del piccolo furgone si vede l’alba sulla città. Sitting on the dock of the baycanta della serena perdita di tempo sul molo, mentre il protagonista siede sulla baia di Tokyo, e guarda il tramonto. Walkin’ through the sleepy city accompagna il suo viaggio per la città ancora addormentata. Perfect Day è la storia di una giornata perfetta trascorsa con qualcuno nel parco. E Feeling Good sottolinea la lunga sequenza finale, dove il protagonista è ripreso in primo piano mentre guida, e sul suo viso passa una sequenza di emozioni, dalla commozione alla gioia alla serenità, mentre la voce di Nina Simone racconta di una nuova giornata e di una buona sensazione.

Perfect Days ci comunica una buona sensazione di pace, di gentilezza, di compassione, anche se non possiamo raccontare il film. E poiché gli angeli del rock vivono ancora nella città di Berlino, è possibile che abbiano prestato le loro storie a Wenders, e che lui abbia avuto, ancora una volta, una bella storia da raccontare.

 

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