Giuseppe Grattacaso
A proposito di "Principia"

Tra poesia e scienza

La raccolta della giovane autrice messicana Elisa Díaz Castelo (tradotta da Elisa Niccolai) gioca con le parole della scienza spiazzando continuamente il lettore

In una delle prime poesie della raccolta Principia della giovane e già affermata poeta messicana Elisa Díaz Castelo (Ensemble, € 15), l’autrice definisce indirettamente, sarebbe da dire “in controluce”, il proprio mondo poetico e offre un saggio del linguaggio che serve a manifestarlo. La poesia ha titolo Radiografie ed è inclusa nella sezione Sul sistema del mondo. Il mondo esterno, anche quello tanto lontano da essere sostanzialmente sfuggente, e quello vicino o addirittura interiore ‒ in qualche modo anch’esso indefinibile, quando si tratta di un interno di carattere spirituale o fisicamente animato da forme e presenze minutissime ‒, dialogano, si sovrappongono e si combinano attraverso le immagini che li compongono e le parole che sono utili a definirli.

Sono parole precise e specifiche, prese in prestito ‒ in questa poesia come in altre ‒ dalle conoscenze scientifiche, anch’esse richiamate con puntuale rigore, di cui la poesia di Díaz Castelo si nutre: termini, lemmi e espressioni capaci comunque di produrre forme inusuali, relazioni immaginifiche e straordinarie, connessioni che fanno parte ‒ la poeta ne sembra sicura, e noi con lei ‒ dell’ordinarietà delle nostre esistenze quotidiane: “Così esposto, il corpo boreale / dispiega le sue stelle umide. / È un albero di ossa, / uno sciame di organi, una foglia / in controluce, brandelli di muscolo / e un nome / che si scheggia: scapola, / braccio, vescicola, astragalo”. Le radiografie, frutto dell’occhio dello strumento meccanico, dello sguardo che penetra all’interno, “dove il corpo recondito / dà fede dei suoi volumi inversi: / gli organi sono colombe / riparate nella copula dell’osso” (va detto che la prima poesia del volume è Scoliosi), danno evidenza, nel loro bianco e nero evocativo, all’estrema precisione e all’assoluta indeterminatezza di ogni cosa, che è sempre se stessa e anche qualcos’altro, ha sempre a disposizione il negativo di sé, che è scoperta ma anche presenza stravagante e in qualche modo intimamente coerente.

Il “sistema del mondo” è in fondo già tutto implicito nel corpo di ognuno di noi, è un meccanismo di assurde relazioni e di assurde rivelazioni. Assurde, ma non per questo meno vere e dimostrate. Così nella poesia Credo, lungo elenco salmodiante, a tratti solenne, spesso ironico o meravigliato, di evidenze scientifiche e di evidenti inconcludenze che il mondo ci riserva, futili e stupefacenti, forse segreti che potremo un giorno scoprire, forse solo immotivate dimostrazioni del nulla, Díaz Castelo enumera i caratteri della sua personale (poetica) devozione: “Credo in ciò che non posso / immaginare né comprendo. Nella distanza / tra la Terra e il Sole o nell’età dell’universo. / Credo in ciò che non posso vedere: / credo negli ex fidanzati, / nei microbi e nelle microonde. // Credo nelle stelle perché continuano a raggrupparsi / anche se sono morte. / Credo nella sorte onnipotente, nelle cose / che accadono senza alcun motivo, così come viene”.

La lingua utilizzata da Díaz Castelo è piana e accogliente, ma riserva al lettore improvvisi scalini logici e sintattici, sterzate impreviste che servono appunto a metterci di fronte alle inaspettate infondatezze e cedevolezze del mondo, alle impensate e familiari espressioni delle cose. La traduzione di Elisa Niccolai ‒ anche autrice della acuta introduzione che offre informazioni sul mondo letterario di Díaz Castelo ‒ segue con attenzione e rispetto il movimento ritmico e altalenante dell’originale, a volte una prosodia dai toni armonici, a volte un periodare interrotto e irregolare.

Nelle pagine introduttive leggiamo che il titolo della raccolta “contiene un esplicito riferimento ai Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1867) di Isaac Newton”, così come i titoli delle sezioni (la seconda è Sul movimento dei corpi) rimandano anche in questo caso direttamente all’opera dello scienziato inglese. “I temi newtoniani ‒ scrive Niccolai ‒ risuonano infatti con vigore in questa raccolta: matematica, fisica, filosofia naturale, teologia, biologia e soprattutto astronomia sono le discipline che fluiscono e dialogano tra loro in un equilibrato alternarsi”.

Nel momento in cui la poesia cerca di rappresentare il mondo nei termini esatti della scienza, ne scopre il fascino e la vacuità. Le cose sono piene e vuote nello stesso istante, il tempo è un continuo presente abitato dal passato (“Perché guardare molto lontano è anche guardare verso il passato” è detto in Primogenita, dove si fa riferimento a Tanya, la galassia “primogenita” dell’universo), lo spazio qualcosa che in fondo sfugge a ogni definizione appena ci si allontana dalle certezze dell’immediato e della geometria euclidea (“Che pienezza quella dei punti, la loro allegria / di esistere appena. La linea con la sua rettitudine invidiabile. / E il robusto quadrato, ogni faccia nitida sulla carta” è detto in Geometria descrittiva, ma anche, in Materia oscura, “lo spazio è tempo che non è accaduto in nessun luogo”).

Elisa Díaz Castelo è una voce nuova e particolarmente interessante della poesia latinoamericana degli ultimi anni, poeta che ha saputo inserirsi nella recente tendenza molto vivace sulle tematiche legate al corpo e alla fisicità, assorbendole in maniera del tutto personale e offrendo nuovi orizzonti attraverso l’opportuno rapporto con conoscenze e linguaggio desunti dalle scienze.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

 

Facebooktwitterlinkedin