Alessandra Menesini
A proposito del "Bandolo della matassa"

Il filo delle identità

Il fotografo Marco Ceraglia ha riunito in volume quaranta ritratti legati dal "filo rosso" delle memoria personali. A scorrerle una dopo l’altra, formano una sorta di storia unica: frammentata e individuale eppure misteriosamente armonica

Una sola domanda, quaranta risposte. Chiuse in un libro rilegato a mano con le pagine trafitte da un filo. Di lana rossa. Dentro si cerca, si trova e qualche volta si perde “Il bandolo della matassa”. Marco Ceraglia, ideatore di una vivissima galleria, ha messo davanti al suo obiettivo persone che gli sono care. Ha consegnato loro il capo di un gomitolo e ha lasciato che si mettessero in posa. Che si rappresentassero come sono, o come vogliono apparire. Una prima foto, per iniziare questo racconto di se stessi, e un rivolo purpureo a collegarlo al secondo scatto. Qualche cambio di sfondi, di abiti, di oggetti sottolinea la variazione delle posture e segna anche il passare del tempo. Elemento molto presente nelle riflessioni autobiografiche.

Testi in cui ricorrono riferimenti fisici al corpo, ai suoi difetti e attrattive e mutamenti. I protagonisti si sdoppiano nei dittici, in certo modo si specchiano, accompagnati da confessioni, sfoghi e divagazioni scaturiti da un titolo sagacemente aperto a una vastità di interpretazioni. Semplice e subdola era la questione: cos’è per te il bandolo della matassa? Costretti a pensare un pensiero che forse non avevano, i quaranta hanno reagito in modi e misure differenti. Con una fiumana di parole o un lapidario punto interrogativo e basta. È un volume da sfogliare piano piano, non foss’altro perché le pagine bucate e quel filo che le trapassa impongono cautela. Sennò si possono rompere. A scorrerle una dopo l’altra, formano una sorta di storia unica: frammentata e individuale eppure misteriosamente armonica.

“Mi interessano le vite, dichiara Marco Ceraglia, mi interessano le vite degli altri”. Non per nulla il fotografo e designer – che è nato a Roma e vive a Sassari ma è sempre in giro – ama riprendere i gruppi. Per esempio l’intera popolazione del paese di Banari (600 abitanti). All’invito dell’autore sono seguite reazioni rapide o meditate riflessioni. Non è detto che gli interpellati abbiano aderito strettamente al tema. Ma hanno approfittato con slancio della ghiotta occasione per parlare di paure e smarrimenti, di fiducia e di orgoglio, di ricordi e di speranze. Svelano nodi e scioglimenti e, fortunatamente, reti salvifiche da afferrare al volo.

Sconfinamenti? Il filo lega tutto, entra ed esce dai fogli come fosse una spola e infine tesse una trama. Barbara parla di musica, Fausto di suo padre, Stefano e Giovanni di lecci e ulivi. Regista discreto di questa operazione fatta di immagini e voci, Marco Ceraglia ha ascoltato, suggerito, convinto i più restii ed è nella foto numero due che offre la sua, di visione. Peppino impugna una valigia, Michele di valigie ne ha una pila, Giuseppe si infila in una scatola di cartone. Alessandra, la danzatrice scalza, ha i piedi in una bacinella piena d’acqua. Giusy non appare, al suo posto un kimono vuoto, delicato come la sua anima. Ciò che non sapevano, gli amici assurti a modelli, era che la matassa scarlatta che li attendeva sul set si trasformasse in una sorta di ponte tibetano. Elastico, cedevole e resistente. Fatto per unire le rive, dunque per favorire gli incontri. Rinsaldati da una campagna di crowdfunding che ha permesso all’associazione Ordinari Mai di stampare un oggetto d’arte da leggere e guardare.

Facebooktwitterlinkedin