Paolo Petroni
Al Teatro degli Occhi di Calvi dell'Umbria

La solitudine di Anna

Benedetta Buccellato riporta in scena "Anna Cappelli", il monologo bello e struggente che Annibale Ruccello scrisse per lei nel 1986. Storia di una solitudine drammatica e totalizzante

Ecco un piccolo grande spettacolo, visivamente raffinato grazie alla regia e le proiezioni di Amedeo Fago, con un testo che cresce sottilmente e costruisce con abilità e acutezza il personaggio di Anna Cappelli, il monologo che Annibale Ruccello scrisse nel 1986 (poco prima di morire in un incidente stradale) per Benedetta Buccellato, che oggi lo riprende a molti anni dall’ultima volta, partendo dal Teatro degli Occhi, creato e diretto dallo stesso Fago a Calvi dell’Umbria, e che dovrebbe iniziare più avanti una bella tournée partendo, pare, da Napoli.

Un dramma della solitudine e del narcisismo, di rancori e possesso (mio è il pronome chiave della sua vicenda esistenziale), di miserie quotidiane e della speranza di riuscire a riscattarle. Siamo negli anni Sessanta, Anna è un’impiegata al comune di Latina costretta, per mancanza di mezzi, a affittare una stanza da una signora per bene, la per lei soffocante Rosa Tavernini, che non riesce a accettare, a cominciare dal dover condividere la cucina, dove questa bolle il pesce per i suoi gatti, puzza e animali che lei non sopporta e commenta acida, un po’ con l’interessata, un po’ fra sé. Con la famiglia ha praticamente rotto perché hanno dato “la mia camera” di ragazza a una sorella.

Il Thriller che Ruccello ha costruito attorno alla sua anima comincia il giorno in cui si accorge di lei il ragioniere comunale, Tonino Scarpa, che la riempie di complimenti. Nasce una storia e quando scopre che lui, ultimo rampollo di una famiglia nobile, vive in una grande casa di 15 stanze, è praticamente amore, ma un amore possessivo, più ispirato dalle cose che dalla persona. Anna vorrebbe sposarlo, ma alla fine accetta, pur di entrare in casa, la convivenza, e nella provincia anni Sessanta è scandalo così che gioca con le amiche a fare l’anticonformista, assieme ribadendo che lei arriva “come una vera moglie. Non sposata, ma non sarò un ospite”.

È il momento della subdola remissività per ottenere quello che vuole, per far cacciare la vecchia cameriera, per farsi padrona, di coppia, di casa, anno dopo anno. Ma un thriller, anche se psicologico, vive di colpi di scena e un bel giorno Tonino le annuncia che andrà a lavorare e vivere senza di lei in Sicilia e venderà la casa. È lo sconcerto, il supplicare e il rivendicare, ma non il crollo che, dopo due giorni senza dormire per pensare a cosa fare, ecco la conclusione cruenta, nera, grottesca, metaforica della sua smania di possesso, che confessa “non come vendetta, non per rabbia o rancore, ma come atto d’amore” davanti al vuoto del vestito di Tonino, abito inerte su una poltrona o steso a terra. Un vuoto da cui anche lei sarà inghiottita, restando nella casa che darà alle fiamme.

I costumi sono di Lia Morandini e l’elegante regia di Fago vive di tempi e movimenti, ma soprattutto di una scenografia che sfonda la parete di fondo grazie a una doppia proiezione e si va da una tavola con piatti fumanti a una immagine del comune di Latina, da altri mobili alla anziana donna che se ne va ripresa di spalle, sino alle fiamme che avvolgeranno tutto nel finale. Un simile spettacolo comunque e necessariamente si regge sulla davvero articolata, mutevole, psicologica interpretazione di Benedetta Buccellato, capace di vere trasfigurazioni, senza mai gesticolare troppo e grazie a una mobilità del volto, degli occhi, della bocca che con naturalezza mostrano e sottintendono, secondo i momenti, godono e soffrono, sono teneri e spietati, supplicano e pretendono, subdoli e sinceri davanti a Tonino o da sola, così da coinvolgere sino in fondo lo spettatore, che ama ed è sconcertato da tanta verità teatrale.

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