Giuliano Compagno
In morte di un campione

Bandiera Totonno

Totonno Juliano è stato un campione-simbolo di un calcio che non c'è più. Quello che univa lo sport alla passione. Una vita intera con la maglia del Napoli a incarnare sogni e sofferenze

È da un po’ che disprezzo le miserie e gli sfarzi del calcio, è da tempo che mi tornano in mente episodi e personaggi di tutt’altre bandiere. Ho avuto la buona sorte di godermi il periodo in cui le squadre più importanti vantavano, ciascuna, la loro bandiera, ossia un calciatore che rappresentava il capitano e il simbolo della maglia che indossava. Lo so che ciò potrà sembrare stupido, oggi, ma in quei protagonisti vi era una narrazione vera, ci stavano uomini leali, non trattabili a suon di milioni, e questo era bello da sapere. Si chiamavano Mazzola, Rivera, Losi, Riva, Bulgarelli, Juliano…

Ho appreso da qualche minuto della morte di quest’ultimo e sento di aver perduto un parente molto caro. Sono tornato indietro a un altro calcio e a quando, da bambino, avevo scelto la mia squadra del cuore per via di un angelo dalla faccia sporca, di un calciatore da sogno che il Napoli aveva appena acquistato dalla Juventus. Omar Sivori era uno che con la palla ci poetava ma, in fondo, quella sua calata al meridione era l’ultimo atto, un po’ mercenario, di una carriera oriunda. Chi gli stava dietro a centrocampo, a fare ordine e a proteggerlo, era un ragazzino di ventitré primavere, nato tra i botti di Capodanno a San Giovanni a Teduccio. Al Napoli Totonno aveva fatto tutta la trafila, dai pulcini in su, e la maglia azzurra col suo bel numero 8 non se la sarebbe tolta mai, come accadeva soltanto a coloro che si affezionavano ai simboli e ai luoghi ove erano nati o rinati (come nel caso di Gigi Riva, che aveva rifiutato palate di milioni pur di non tradire la gente di Cagliari).

Io andavo orgoglioso di quel mio destino “perdente”, anche se al parco non facevo che incontrare bambini un po’ gregari che imitavano Mazzola e Rivera e che si erano svenduti al Nord scudettato e ricco. Io non vincevo mai, e se il mio Napoli ogni tanto andava forte, ecco che un arbitro veniva a tagliarci le gambe, come contro l’Inter a San Siro nel 1971. Per avere Juliano, il Milan aveva offerto 800 milioni (del 1968!) ma aveva ricevuto uno scugnizzo diniego. Lui, il capitano, era normalmente fiero di essere la bandiera inalienabile del sud italiano, anche se allora erano soddisfazioni puramente morali, quelle, e per la gioia agonistica occorreva attendere.

Sembrava arrivato il momento quel 31 marzo 1975, quando gli azzurri di Vinicio salirono al comunale di Torino con 2 punti in meno e un gioco infinitamente più bello. Ma segnò subito un bianconero da Lecce, Franco Causio. Radiolina all’orecchio, trepidavo, finché l’urlo di una curva tutta napoletana coprì la voce di Enrico Ameri: “Scusa Ciotti! Attenzione! Ha pareggiato Juliano!”. Ero un ragazzino e il cuore mi andò in gola, credetti di poter vincere per la prima volta… Quel giorno il Napoli non fece che attaccare, dominò in lungo e in largo ma perse a un soffio dal fischio finale per un golletto brutto di Altafini, detto Coniglio… L’indomani “Tuttosport” avrebbe intitolato: “La sfortuna più grande di Juliano!”.

Si ritirò, Totonno, senza scudetti sul petto, eppure fu lui, da dirigente, a ritagliarne uno sontuoso. Fu quella notte che, da Barcellona inviò un fax a Corrado Ferlaino. Erano cinque parole: “Venga presidente! Maradona è nostro!”. Seguirono anni di trionfi. Io, certo, Diego l’ho amato tanto e gli ho perdonato tutto ma oggi ricordo con infantile commozione quel sabato pomeriggio, quando in via del Corso avvistai Bruscolotti e Juliano, che l’indomani avrebbero giocato contro la Lazio. Li avevo chiamati, mi avevano firmato i loro autografi, poi mi ero rivolto al capitano per domandargli: “Domani vinciamo?” Il capitano mi aveva risposto con una domanda quasi identica: “Che dici? Vinciamo domani?” Quella domenica mi recai allo stadio, la Lazio segnò quasi subito ma il Napoli riuscì a pareggiare. Aveva segnato proprio lui, all’ultimo minuto! Me ne tornai a casa con la gioia di chi avesse ricevuto un regalo con tanto di dedica. Forse sono rimasto un tifoso all’antica, e per me Totonno Juliano resterà sempre il più grande calciatore del Napoli di tutti i tempi. E l’eroe silenzioso del mio cuore.

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