Attilio Del Giudice
Brevi annotazioni narrative

Novellette stravaganti

«In pratica, sono un mostro. Cioè, loro dicono che sono un mostro, perché sono diverso. Ma, a rigor di logica, anche loro sono diversi da me e, quindi, come tali, sono mostri, dal mio punto di vista»

Mittelbewusstsein. Buongiorno. Sostituisco la voce narrante, che ha avuto un contrattempo e vengo subito al punto. Dunque: lui, per l’ultimo dell’anno, le regalò una collana di perle orientali e un abito firmato da un famoso stilista. Lei ne fu felice e l’indossò. Lui la pregò di andare su e giù per il salone, come per una sfilata. Lei lo fece con grazia.

“Sei divina.” Lui disse.

“Grazie. E tu sei tanto caro.” Disse lei.

Poi lo pregò di leggerle qualcosa di bello. Lui, con voce calda e profonda, le lesse un racconto di Cechov.

A mezzanotte, brindarono con Moet et Chandon, accesero le torce e si baciarono.

“Buon anno, amore mio.”

“Buon anno a te, stellina.”

Andarono a letto, ognuno nella propria stanza.

Quella notte dell’anno 2000, fecero un bel sogno: sognarono di fare l’amore. Lui con Rituccia, la domestica, lei con Lucariello, il garzone del macellaio.

Qui, però, devo dire che la voce narrante, che mi ha pregato di sostituirla, è stata un po’ confusa, perché non ricordava se i sogni fossero andati proprio in quel modo. “Forse – ha detto – lui ha sognato di fare l’amore con Lucariello, il garzone, e lei con Rituccia, la domestica. In ogni caso, lo dobbiamo ammettere, è stato un bel sogno.

* * *

100 $Alcuni sostengono che la tariffa (cento dollari), sia piuttosto alta per la mia età. Però, vi assicuro, che faccio il mio lavoro con coscienza.

Ieri, verso le sei del pomeriggio, è venuto un tale, uno che non avevo mai visto prima, un tipo simpatico, con gli occhiali e un cappello floscio. Ha detto di essere uno scrittore e che stava scrivendo un libro sulle puttane.

Mi ha chiesto se, nel tempo necessario per fare l’amore, con la stessa tariffa, gli facessi il favore di raccontare la mia storia.

“Guarda – gli ho detto io – la mia storia è lunga e ci vorrà almeno il doppio del tempo. Allora mi ha detto: ‘cerca di essere concisa, perché dispongo di soli cento dollari’. Va bene, farò del mio meglio.”

“Dunque, io sono nata in una famiglia agiata, ma, dopo la morte della mamma, mio padre ebbe un tracollo finanziario. Allora ci convocò (ho due sorelle e un fratello) e ci disse: ‘Ragazzi, datevi da fare, perché io non vi posso più mantenere. Mi dispiace.’

Io trovai lavoro come entreneuse in un locale e divenni subito la donna del padrone, che mi amava e mi picchiava, mi picchiava e mi amava. Dopo un anno, gli venne un cancro al fegato e morì. Il locale venne chiuso e dovetti fare l’esperienza della strada, che è un’esperienza molto dura, ma avevo bisogno di soldi perché, all’epoca, stavo con uno studente al quale facevo molti regali. Un certo Mimmo, detto ll Biondino. Sennonché, un bel giorno, ‘sto biondino si sposò e non volle saperne più niente di me. Allora pensai di mettermi in proprio e misi su questo ambientino che è niente male, come puoi constatare. Ora, onestamente, non mi posso lamentare, perché ho una clientela molto selezionata e per bene.”

Mentre parlavo, lui, lo scrittore, scriveva su un taccuino. Ma, alla fine, mostrò un’espressione di completa insoddisfazione, per cui, per non deluderlo troppo, mi inventai un fatto strepitoso. Gli dissi che la mia giornata di lavoro termina normalmente alle undici di sera, in quanto, verso la mezzanotte, mi appare una signora bellissima in una luce azzurra azzurra, come il cielo e con una corona di stelline dorate sulla testa e che è la mamma di Gesù, cioè la Madonna.

Ve l’ho detto: faccio il mio lavoro con coscienza.

* * *

La sorella. Lui, il prete, era un uomo mite, timido. Lei, Tilde, la sorella, era, invece, intraprendente e aveva grandi capacità manageriali, tanto è vero che, da quando aveva preso in mano le redini dell’azienda, il fatturato s’era triplicato e, entro l’anno, l’azienda sarebbe entrata in Borsa nel Nuovo Mercato.

Un giorno chiese al fratello quale sarebbe stata la sua sorte dopo morta. Il prete disse: “Il paradiso te lo puoi scordare. Forse, con opere di bene, potrai ridurre il tempo di permanenza nel purgatorio.”

Fu allora che Tilde convocò in assemblea le maestranze. Dopo una breve premessa, venne subito al dunque: “Desidero – disse – che facciate un’ora di lavoro non retribuito. Un’ora sola la settimana. I proventi, calcolati al netto delle tassazioni, saranno devoluti alle famiglie non abbienti della città, come opera di bene, ci tengo”.

* * *

Diversità. Sono alto 95 centimetri (anche se nella scheda hanno scritto 94), sono coperto per intero da peli neri, ho gli occhi gialli e un organo genitale molto grande; tanto è vero che sono costretto, affinché non strusci per terra e si sporchi, a tenerlo legato al collo con uno spago. In pratica, sono un mostro. Cioè, loro dicono che sono un mostro, perché sono diverso. Ma, a rigor di logica, anche loro sono diversi da me e, quindi, come tali, sono mostri, dal mio punto di vista. Io, però, non uso mai questo appellativo, perché sono molto educato e gentile.

Per motivi morali (sono grandi produttori di motivi morali), mi hanno ordinato di starmene chiuso in casa e di non mettere mai il naso fuori dalla porta.

Ogni giovedì mi vengono a prendere con un furgoncino e mi conducono in un edificio distante dalla città quattro chilometri circa. Mi fanno entrare in una stanza e mi lasciano lì, da solo, per un paio d’ore.

Qui, in questa stanza, c’è ogni ben di dio: cioccolatini, paste fresche, riviste, giochi e un televisore, sempre acceso, che trasmette film pornografici.

Io ho capito che loro mi osservano con telecamere nascoste e ho anche capito che vorrebbero che mi masturbassi, in tal modo, potrebbero prelevare un po’ del mio seme e studiarlo al microscopio.

Ma, non lo faccio; la cosa mi imbarazzerebbe, benché, devo dire, che non mi riesce di evitare l’erezione, la quale, a onor del vero, li invoglia a ripetere l’esperimento settimanale.

* * *

Amiche. Mai una volta che fossi risultata la terza, che so?, la seconda. Mai! Sempre la prima. In tutte le materie. Sempre, ogni anno: alle medie, al ginnasio, al liceo. Sempre!

Mai che non l’avessi vinta tu la coppa della corsa campestre!

I capelli sempre a posto. I vestiti eleganti; capi classici, si capisce. Hai gli occhi verdi, la pelle liscia, manco l’ombra di cellulite, le tette all’insù e parli perfettamente l’inglese e il tedesco. Le tue creme chantilly coi frutti di bosco sono squisite e hai sposato Adriano, che mi piaceva un sacco. E a chi non piaceva? Il più bel figo della città! E chi se lo poteva pappare il più bel figo della città? Tu, naturalmente. E, ora, ne sei pure incinta.

Cristo!

Io sono la tua migliore amica. Tu sei la mia migliore amica.

Sapessi quanto ti odio!

* * *

La classe. Walter è stato il ragazzo di tutte le mie amiche. Io, invece, ho dovuto saltare il turno, perché lui ha detto che sono un cesso.

“Cesso”, proprio così ha detto. Non è stato carino. Pazienza.

Però, non è vero che sono un cesso, perché, da più fonti, so di essere graziosa, giudiziosa e, anche, spiritosa (qualche volta), comunque ottimista.

Le fonti? E’ presto detto: innanzitutto, zia Adelaide, che è sorda come una campana, ma ci vede magnificamente. Poi Orsola, la nostra collaboratrice domestica, che è un po’ claudicante, ma intelligentissima; infine il professor Colella (quarto piano, scala B), che è un meridionale, ma pulitissimo.

Una volta, incontrandomi nelle scale, il professor Colella mi chiese se gli facevo il favore di toccarlo. Io andavo di fretta, perché ci avevo la lezione di pianoforte. “Quanto ci vorrà, all’incirca?”

“All’incirca una decina di minuti.”

“Allora va bene.”

Dopo, alla fine, il professor Colella disse che si vedeva che ero alle prime armi, ma che ci avevo un tocco di classe. E questo, francamente, fa piacere sentirselo dire, perché la classe non è acqua.


La fotografia accanto al titolo è di Deborah Raimo.

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