Giuseppe Grattacaso
A proposito di "Romanzo senza umani"

Memorie di ghiaccio

Il nuovo romanzo di Paolo Di Paolo è un apologo sul tempo e sulla memoria: come si può ricostruire il senso di una vita? Ma, alla fine, il vero protagonista è il paesaggio che non ci dà più indicazioni certe per il nostro presente

È davvero senza umani il Romanzo senza umani, la nuova prova narrativa di Paolo Di Paolo (Feltrinelli, 224 pagine, 17 Euro)? L’incipit della storia spingerebbe a pensare di sì: “In assenza di occhi umani, la catasta di uccelli precipitati sul ghiaccio non suscita nessuno stupore”. Protagonista è il paesaggio in quegli anni di freddo terribile e perdurante che sono ricordati come Piccola Era Glaciale, un’epoca che conobbe il suo picco tra gli ultimi decenni del Cinquecento e i primi del secolo successivo. Il paesaggio, in questo caso, è quello del lago di Costanza, che in quel periodo ghiacciò più volte.

La storia del lago di Costanza, diventato una enorme massa d’acqua congelata, in effetti corre parallela ‒ condizionandola con il suo alito gelato ‒ a quella che vede protagonista Mauro Barbi. Il personaggio principale del romanzo è un umano quindi, uno storico che appunto si è occupato, quasi maniacalmente, di quell’epoca e di quel lago. Giunto all’età in cui si cominciano a fare dei bilanci, attività quasi sempre dolorosamente inutile, ma alla quale almeno per un certo genere di persone (“gente adulta votata allo studio”) è difficile sottrarsi, Barbi si ritrova solo, ancora una volta affacciato sulle sponde del lago. È impegnato, in questo caso, anche a guardare indietro, verso il proprio passato, che si ripropone inizialmente sotto forma di email a cui lo studioso risponde, in ritardo di anni, con lo scopo di ricostruire spezzoni della sua vita, di ricomporre le immagini di rapporti sociali, per lui quasi sempre complessi, poi perdutisi anche a causa del suo modo di concepire le relazioni con gli altri esseri umani.

Appare difficile dirlo a proposito di un nostro contemporaneo, sia pure solamente cartaceo (e comunque terribilmente un nostro simile), in un’epoca quale quella che stiamo attraversando, ma Barbi insomma vive una propria piccolissima età ghiacciata e si appella alla memoria (non è forse uno storico?) per capire, per tentare di riordinare e riedificare. Sullo sfondo c’è la storia d’amore con Anna, precipitata anche questa ‒ raggelata ‒ per l’incuria distratta dello storico.

Ma la memoria privata è altra cosa rispetto a quella collettiva. Proviamo a ricostruire un segmento della nostra vita passata. Una vicenda che riguarda l’adolescenza o la vita giovanile. Gli anni del liceo vissuti insieme agli amici, le vicende d’amore e d’amicizia che hanno resa diversa, apparentemente unica, l’esistenza. Gran parte del paesaggio è buio, offuscato da una nebbia persistente, nella quale si stagliano vaghi e spesso vani lacerti, immagini disperse e dalla messa a fuoco precaria, attraverso cui ci sembra, di poter appena intuire i tratti sfumati di un avvenimento, di uno stato d’animo, il riaddensarsi delle emozioni. Ci sforziamo di rendere possibile il ricordo, ma il paesaggio è sfilacciato, per nulla nitido. Si dirà, la memoria è selettiva, elimina buona parte di quello che non serve. Ma serve a cosa? e perché selezionare proprio quel gesto della mano che non sappiamo più abbinare a un corpo, i passi di una donna che vediamo solo di spalle (in quale luogo? tra quali altre persone?), una voce roca che dice parole che non arrivano alle nostre orecchie?

Di quello stesso fatto, l’amico o l’amica con cui abbiamo condiviso tante esperienze negli anni passati, vede riemergere nella memoria ‒ la propria ‒ segni e sensazioni diversi, a volte di carattere opposto. E dunque, cosa è veramente successo? È possibile che il passato non sia uguale per le persone che pure lo hanno condiviso? E quale importanza dobbiamo attribuire a particolari, spesso insignificanti, che improvvisamente riemergono da un oltre per tanti versi inconsistente? “Ecco il segno ‒ pensa il protagonista della vicenda narrata ‒: ricordiamo le stesse cose, ma in modo diverso. Nella vita privata, quella che sul piano pubblico chiamiamo memoria condivisa è una truffa con concorso di colpe, ovvero di mutue e pacifiche bugie”.

Mauro Barbi si guarda dietro nel tentativo di riscoprire odori, sapori (“… no, non sono uguali gli ‘Alaska Fish Nuggets’ dei diciassette anni e quelli che si mangiano avendo due volte e mezzo quell’età”), sensazioni, passioni, di un’età ormai introvabile anche nella memoria. Vorrebbe sapere quello che gli altri ricordano (o peggio non ricordano), quello che pensano di lui (se davvero pensano qualcosa): “Forse, semplicemente, dovrei chiamarla paura: di essere ricordato male, o per niente. Come uno scomparso da vivo, uno che non è mai esistito”. La paura è anche quella che passare la vita a studiare, “a studiare più o meno la stessa cosa”, porti a ben poco.

Barbi è una sorta di nipotino di Zeno Cosini che più che guardarsi vivere, vorrebbe guardare ora come ha vissuto un tempo, ragionarci su insieme agli altri che hanno condiviso, in quel tempo che ora appare felice, le sue stesse esperienze; rispolverare con loro particolari e dettagli come se potessero fornire definitive rivelazioni. Le Ultime Sigarette sono state però tutte fumate in un passato a cui ora appare difficile offrire un paesaggio comune.

Sulla scorta di maestri amati quali Tabucchi e Magris, Di Paolo costruisce un romanzo che è anche un’indagine sulla nostra percezione del tempo. Il passato individuale può ripresentarsi in fondo solo nell’attimo presente, e quindi con il volto del presente che è per definizione sfuggente e fa presto a svanire. Anche per questo il passato di ognuno di noi è, per forza di cose, scomposto e spesso omertoso.

Ma nella parola tempo è racchiuso anche un altro significato che nel romanzo di Paolo Di Paolo si presenta in tutta la sua forza e in tutta la sua drammaticità, anche attuale. Il clima e il tempo meteorologico hanno un impatto sulle nostre vite che può essere determinante, soprattutto se condizioni climatiche avverse (è quello che sta succedendo) si protraggono per lunghi periodi. Il freddo e il caldo, la pioggia, i temporali, cicloni e anticicloni, se si pensano in rapporto alla nostra vita interiore e pubblica, non si delineano solo come metafore, ma hanno la forza di penetrare fino nel fondo dei nostri più riposti umori, di condizionare i rapporti tra le persone, di dirigerli verso la felicità o l’infelicità. Lo sa bene lo storico del (ghiacciato) lago di Costanza Mauro Barbi: “La vita dell’epidermide e della psiche è segnata dalle temperature. Il fondale degli anni è questo telone azzurro increspato dai venti, incupito dai nembi. Tutto ha avuto un clima, tutto”.

Paolo Di Paolo ci offre un Romanzo senza umani,  in cui gli umani, il protagonista Mauro Barbi e i personaggi che hanno animato (e in parte ancora animano) la sua esistenza, si muovono come viaggiatori insicuri alla ricerca di una verità che è impossibile trattenere, condizionati, come tutti noi, da un passato che stenta a fornirci elementi certi e da un tempo climatico che diventa parte sostanziale della nostra percezione del presente: “I silenzi ostili: neve su cui sembra di affondare. La testa piegata per le sferzate del vento ‒ la tramontana dell’umiliazione. Lo scirocco vischioso del desiderio. La grandinata senza riparo ‒ quando una passione rivela i suoi inganni. Certe tristezze umide. Certe paure ghiacciate”.


Le fotografie sono di Roberto Cavallini.

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