Carlangelo Mauro
“Memorial Italia” per l’Ucraina

La spina nel fianco

A colloquio con Niccolò Pianciola, esponente del “braccio” italiano della Ong sciolta da Putin nel 2021 per la sua attività di denuncia e documentazione dei crimini russi. Con la guerra in Ucraina, è ora concentrata sulle cause e le giustificazioni addotte da Putin per scatenare l’aggressione

Memorial Italia, presieduta da Andrea Gullotta, è una associazione che ha prodotto libri e ricerche sull’invasione russa dell’Ucraina. È affiliata alla Ong russa Memorial, che ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2022 dopo essere stata sciolta da Putin nel 2021. Uno dei più attivi esponenti di Memorial Italia è il professor Niccolò Pianciola, storico dell’Università di Padova. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Potrebbe tracciare un quadro dell’attività dell’Ong russa Memorial, e in particolare di Memorial Italia?
Memorial tra gli anni 80 e 90 è nata con la proposta di creare un memoriale alle vittime dello stalinismo. Dal basso si è formata una rete con un centro studi sulle repressioni staliniane e un grande archivio popolare. L’iniziativa era partita da volontari tra Mosca e Leningrado, poi si è allargata a tutta l’Urss. Memorial ha avuto un ruolo importante nelle due guerre russe contro la Cecenia (la seconda, quella del 1999-2009, sotto Putin) con un’azione di documentazione sui crimini russi, cosa che è costata la vita alla direttrice della sezione cecena, Natalia Estemirova. Memorial è stata una spina nel fianco del potere, anche per questo è stata sciolta da Putin prima dell’invasione dell’Ucraina. Vorrei ricordare in questa sede l’attivista italiana che si è impegnata fin dagli anni 80 insieme a Memorial in Russia: la storica Maria Ferretti, autrice de La memoria mutilata. La Russia ricorda (1993), dove si può trovare la storia delle origini di Memorial. Memorial Italia è in stretto rapporto con le scuole, dove organizziamo lezioni e incontri. Segnalo anche il progetto sui diritti umani in collaborazione con la Fondazione Cariplo, le lezioni tenute da diversi esperti, tra cui Marcello Flores, visibili sul sito di Memorial Italia. Tanti studenti hanno visitato la mostra sul Gulag “Uomini nonostante tutto”.

È nota l’ossessione per la storia di Putin. Nel nuovo anno scolastico gli studenti russi useranno un manuale che “rilegge” parti della storia russa e ucraina…
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, Memorial Italia si è concentrata sulle sue cause e sulle giustificazioni addotte da Putin per scatenare l’aggressione. E qui la storia è molto importante perché il dittatore, nellesue dichiarazioni e nel suo articolo sull’“unità storica di russi e ucraini”(2021), ha negato la legittimità dell’esistenza di uno Stato ucraino sostenendo che gli ucraini con russi e bielorussi sarebbero tre parti dell’unica nazione russa e tutte le volte che in passato si è palesato un movimento nazionale ucraino, esso sarebbe stato il frutto di trame di nemici della Russia: prima i polacchi, poi i tedeschi, adesso gli americani e la Nato. Una narrazione priva di fondamento che risale al periodo zarista. Inoltre, negli ultimi anni, la “politica della storia” in Russia ha operato una sacralizzazione della Seconda guerra mondiale. Ci sono leggi che puniscono chiunque diffonda interpretazioni che vanno contro quella ufficiale, ad esempio ricordando che il patto dell’Urss con la Germania nazista tra il ’39 e il ’41 fu funzionale alla spartizione dell’Europa orientale tra le due potenze. Ultimamente è stato pubblicato un manuale di Storia per le scuole secondarie che contiene al suo interno tutti i punti della propaganda per giustificare l’“Operazione militare speciale”. La propaganda del regime arriva ormai sui banchi di scuola. Uno storico di Memorial Italia, Andrea Borelli, ha scritto di questo manuale nello spazio di Memorial sul sito dello Huffington Post, dove si possono trovare, oltre ad articoli su vari temi, dei bollettini sulle proteste in Russia contro la guerra, che continuano su scala ridotta nonostante la repressione.

Memorial ha sempre seguito le vicende dei dissidenti in Urss e poi in Russia. Vorrei che lei ci parlasse della “guerra alla memoria” e della persecuzione degli oppositori.
L’esempio più chiaro di questa “guerra alla memoria” è la storia della fossa comune di vittime del grande terrore staliniano a Sandormoch in Carelia, trovata negli anni 90 da Jurij Dmitriev (storico, poi processato con false, infamanti accuse e oggi in prigione) e altri attivisti di Memorial. In questa fossa furono sepolti molti degli intellettuali ucraini del cosiddetto “rinascimento fucilato”: artisti, scrittori, registi… Sandormoch divenne un luogo di commemorazioni, con delegazioni provenienti anche dall’Ucraina. La Società di Storia militare russa, capitanata da Vladimir Medinskij, ha poi cercato di dare un altro significato a questo luogo di memoria con una tesi falsa, secondo cui in questa fossa comune erano sepolti anche militari dell’Armata rossa uccisi dai finlandesi durante la Seconda guerra mondiale.
Le repressioni politiche contro gli oppositori in Russia continuano. I prigionieri politici sono almeno 684, da Naval’nyj a a Kara-Murza fino all’attivista che si è avvolta nella bandiera ucraina di recente nella Piazza Rossa: Alena Kozhevnikova. Una rete russa di giornalisti, Ovd-info, è molto attenta nel monitoraggio di queste repressioni.

Lo storico di Harvard Serhii Plokhy, nel libro Le porte d’Europa, cita le tesi che girano su Facebook in relazione al conflitto. Se uno storico dovesse riportare i post degli utenti italiani vedrebbe che si ripetono tre punti: 1) la guerra nel Donbass è nata da una persecuzione dei filorussi da parte degli ucraini; 2) gli omaggi a Stepan Bandera provano che gli Ucraini sono nazisti; 3) il conflitto è una guerra per procura della Nato che si è espansa troppo a Est.
Con Memorial Italia abbiamo pubblicato libri e articoli per dimostrare l’infondatezza di tali tesi. L’accusa di genocidio dei russi nel Donbass l’ho smontata tra gli altri anche io con un articolo nel volume di Memorial Italia/Il Corriere della Sera Russia: anatomia di un regime. Ma è difficile far cambiare idea a chi ha posizioni pregiudiziali. La propaganda russa è penetrata a fondo in Italia per tante ragioni, tra cui la vicinanza di alcune forze politiche alla Russia, gli interessi economici all’interno dell’Unione Europea, l’abitudine a vedere le vicende dei popoli dell’Europa dell’est dal punto di vista di Mosca. Le 14mila vittime nel Donbass evocate dal Cremlino comprendono morti di entrambe le parti. Dopo la fuga di Yanukovich da Kyiv ci sono state minoritarie e pacifiche manifestazioni nel Donbass a suo favore. Sergej Glaziev, collaboratore di Putin, ha cercato di fomentare movimenti separatisti da Odessa al Donbass, come provato da intercettazioni telefoniche. Le sollevazioni armate vere e proprie sono state poi eterodirette da Mosca. Igor Girkin, l’uomo dei servizi russi che aveva partecipato all’invasione della Crimea, è divenuto il leader militare dei filorussi in Donbass. Oltre alla fornitura di uomini e armi, c’è poi stata la partecipazione diretta per aiutare le milizie del Donbass in difficoltà: l’esercito russo ha sconfitto gli ucraini in due battaglie cruciali sul suolo ucraino, a Ilovajs’k nell’agosto 2014 e a Debaltseve nel gennaio 2015.
Sul secondo punto: la glorificazione ufficiale di Stepan Bandera in Ucraina ha aiutato la propaganda russa (pochi ricordano però i 7 milioni di ucraini che hanno combattuto nell’Armata rossa). Per capire il ruolo della “politica della memoria” su Bandera, non si deve dimenticare che fino alla fine dell’Urss era proibito ricordarlo. Di fatto nel 1991 gli ucraini non sapevano chi fosse. Bandera era il leader di un partito che propugnava un’ideologia fascista e i cui membri collaborarono con i nazisti anche agli stermini del tempo di guerra (quando però Bandera era già in prigionia), illudendosi di poter creare uno Stato indipendente ucraino. I partigiani ucraini hanno poi combattuto il potere sovietico fino agli anni 50, quando Bandera era in esilio (fu ucciso dal Kgb nel ’59). Dopo il 1991 in Ucraina c’è stata una risemantizzazione di questa figura come combattente nazionale ucraino contro il governo di Stalin che aveva provocato lo sterminio per fame del 1932-33, tacendo la sua ideologia fascista e i fatti collegati. Possiamo biasimare questa visione selettiva del passato in funzione della storia nazionale, ma non si può utilizzare la glorificazione di Bandera come un indicatore della popolarità delle idee di estrema destra in Ucraina, che sono ampiamente minoritarie.
Sul terzo punto: la Nato allargata non era una minaccia militare per la Russia. Il confine tra Norvegia e Russia è anche quello tra Nato e Urss fin dal 1949: ciò non è mai stato considerato da Mosca una minaccia esistenziale. Importanti paesi Nato, in primis Francia e Germania, erano contrari da sempre all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, proprio per non guastare i rapporti con la Russia, con la quale c’erano forti interessi economici. La minaccia era invece che l’Ucraina si stesse avvicinando politicamente all’Unione Europea. La democratizzazione di un paese culturalmente vicino alla Russia avrebbe costituito un precedente molto pericoloso per la legittimità di un regime dittatoriale come quello di Putin, e anche una potenziale piattaforma per oppositori politici russi in esilio. Senza parlare del fatto che relazioni strette tra Ucraina e UE avrebbero reso sempre più difficile assoggettare l’Ucraina al progetto neoimperiale di Mosca, che esisteva da tempo.

(L’intervista è stata parzialmente pubblicata sul “Quotidiano del Sud” il 7 ottobre scorso).

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