Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

La guerra dei bambini

Claudio Bisio firma un film che, con garbo e onestà, racconta una piccola storia dentro la grande Storia dell'antisemitismo. U'avventura che inizia con il rastrellamento del Ghetto di Roma

Oggi, 16 ottobre, 80 anni fa, la Gestapo sequestrò 1259 ebrei romani, 207 erano bambini. Dal campo di sterminio di Birkenau tornarono in 16. Non tornò nessun bambino. Dentro la grande Storia che è il rastrellamento del Ghetto di Roma, c’è una piccola storia che Claudio Bisio sceglie per il suo debutto da regista. L’ultima volta che siamo stati bambini è un film apparentemente semplice e certamente ingenuo. Ma c’è qualcosa che colpisce lo spettatore fin dalle prime scene, prima del finale che arriva a sorpresa come un pugno nello stomaco e di cui ovviamente non dirò: è una pellicola girata con grande sensibilità e totalmente priva di retorica. Il dramma c’è, non viene nascosto, ma è raccontato dagli occhi innocenti dei bambini che giocano con le fionde alla guerra, scoprono per la prima volta l’amicizia, si interrogano su ciò che i grandi stanno combinando intorno a loro e di cui non capiscono il senso, ma intuiscono con l’intelligenza dei bambini che è una cosa brutta che finirà per travolgere tutto.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Fabio Bartolomei e porta in scena quattro bambini romani di dieci anni con storie molto diverse: Italo è il balilla orgogliosamente figlio di un gerarca fascista, Cosimo ha il papà al confino, Vanda non ha i genitori e vive in orfanotrofio, Riccardo è ebreo. Ed è per lui, per ritrovare lui che sparisce nel rastrellamento del ghetto con i suoi genitori, che i tre amici intraprendono un’impresa folle come solo sanno fare i bambini: seguiranno i binari della ferrovia dalla stazione Tiburtina per raggiungerlo in Germania e riportarlo a casa. Sulle loro tracce si mettono due adulti altrettanto pazzi: il fratello di Italo che non è l’eroe di guerra che tutti credono e suor Agnese legatissima a Vanda.

Le avventure che coinvolgeranno i tre bambini e i due adulti sembrano uscite da un libro di favole, ma c’è qualcosa di vero e profondo e semplice in questo racconto come sempre è la vita. Bisio firma il film che non ti aspetti. E sorridi quando i bambini, ripetendo la celebre battuta di Marrakech Express: “Erano anni che non mi divertivo così… cos’erano? aaanni!”, rendono omaggio a Gabriele Salvatores che regalò a Bisio l’Oscar di Mediterraneo.

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