Ida Meneghello
Diario di una spettatrice

L’altra Monica

Roberta Torre ha girato un film su Monica Vitti nel quale la grande attrice è "inseguita" da un'altra Monica. Un omaggio al cinema che presto si trasforma in una delusione cocente

Amo i film che celebrano il cinema. I primi titoli che mi vengono in mente: Effetto notte di Truffaut, La rosa purpurea del Cairo di Allen, The Fabelmans di Spielberg. Certo, questi sono i giganti che ci raccontano perché hanno speso le loro vite facendo cinema. Mi ero fatta l’idea che il nuovo film di Roberta Torre, Mi fanno male i capelli, rientrasse in qualche modo in questo filone: un omaggio a Monica Vitti, quindi al miglior cinema italiano, ma facendo un percorso del tutto originale, non con un film su Monica Vitti, ma raccontando la storia di un’altra Monica che si aggrappa a lei per inventarsi un’altra vita e riempire il peggiore dei vuoti, la perdita della memoria.

Questo soggetto mi aveva subito intrigata: per il sovrapporsi di questi diversi piani narrativi – il dramma della donna interpretata dalla sempre più brava Alba Rohrwacher e la sua progressiva identificazione con l’attrice, ovvero la vita che si specchia nella finzione e viceversa – ma anche, lo confesso, per qualcosa di più profondo e personale che ha a che fare con la mia passione per il cinema e col fatto che appartengo alla generazione dei boomers, la maggioranza della popolazione italiana che non può non mettere in conto l’eventualità di quella perdita tra gli scenari possibili.

Magari sono andata fuori tema, ma questo spiega perché il film di Torre non ha soddisfatto le mie aspettative. La regista si fa prendere la mano dal gioco che, scena dopo scena, trasforma Alba Rohrwacher nella controfigura di Monica Vitti: gli stessi abiti, le stesse parrucche, le stesse frasi ripetute ossessivamente (famosissima la battuta che dà il titolo al film, è Antonioni che cita una poesia di Amelia Rosselli). Ma a forza di ripetersi, l’originalità si trasforma in noia e il gioco di specchi tra le due Monica diventa un esercizio di bravura fine a sé stesso.

Anche perché, purtroppo, la trama del film è confusa e improbabile l’entrata in scena degli strozzini che aggiungono angoscia al già angosciato Filippo Timi (il marito dolente). Resta nella memoria la scena iniziale di una donna bionda che danza su una spiaggia vuota dimentica di tutto, sulle note meravigliose di Shigeru Umebayashi, il compositore giapponese che ha musicato capolavori come In the mood for love di Wong Kar-wai. Ma quello è tutto un altro cinema.

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