Valentina Fortichiari
A proposito de “L'uomo con lo scandaglio”

Mare dei misteri

Patrik Svensson, svedese, esploratore mentale, ha messo insieme la preistoria e la storia dei mari, dai primi navigatori fino a oggi: un caleidoscopio di emozioni, di azzardi e di illusioni. Insomma, un ritratto del mare come spettatore dei destini umani

Osservare la superficie del mare, quando è calmo incanta, quando è furioso emoziona. Ma immaginare che cosa nasconde nelle profondità è una domanda nella quale il pensiero si smarrisce: «Vi è nel mare un indefinito ossessionante mistero, che col suo fascino sembra esprimere un’anima in esso nascosta» (Herman Melville).

Il mare è malattia, possessione, sogno. La prima volta che si vede il mare, come molti hanno raccontato, è una migrazione di cellule, un totale ribaltamento di prospettiva. Sbucando da un vicolo stretto fra due ali di case, attraversando un fitto tratto di pineta o di dune, scendendo gradini ripidi, lo spettacolo che si mostra, repentino, inatteso, stordisce e ammalia, toglie il fiato. La distesa delle acque pare infinita, o quasi precipitare oltre la linea dell’orizzonte, e gli occhi sembrano non saziarsi mai di quel blu. Il mare dà l’illusione che al di là di quei confini lontani, non ci sia altro sulla terra. E sotto la superficie? Il mistero si infittisce, dal momento che nessuno è in grado di immaginare il mondo nascosto degli abissi. Posso dire di aver nuotato nelle acque di innumerevoli mari, oceani diversi, mari freddi del Nord, ricchi di miti e storie avventurose. Coltivo da sempre l’emozione di leggere storie sul mare, di ascoltare chi, innamorato del mare, riesce a trovare le parole giuste per raccontarlo, un misto di conoscenza, esperienza e insieme ispirazione elegiaca. Come io stessa ho cercato di fare.

Quando ho letto il primo libro di Rachel Carson, Il mare intorno a noi (uscì nel 1951), ho provato una vertigine: non avevo mai sentito parlare del mare come di un’entità famigliare, vicina al cuore e alla mente, un essere dall’anima pulsante, dalla voce musicale, ricco di anni e di storia. Il medesimo spaesamento me lo ha evocato il libro di Patrik Svensson, L’uomo con lo scandaglio, Storie di mare, abissi e meraviglie (traduzione di Monica Corbetta, 222 pagine, 18,00 Euro), che Iperborea ha appena pubblicato inaugurando la collana “I Corvi”.  Nelle ultime pagine, lo scrittore e giornalista svedese, indica chiaro il debito alla Carson, musa di questo suo affascinante memoir o resoconto tra saggistica e narrativa. Era già noto Svensson per aver esordito nel 2019 con il bestseller internazionale Nel segno dell’anguilla (in Italia pubblicato da Guanda).

«Del mare non si può scrivere in modo veritiero tralasciando la poesia»: sono parole di Rachel Carson, una citazione, un monito che accompagna e guida il tono di fondo della narrazione dello stesso Svensson. Quando vide per la prima volta il mare, la Carson aveva 22 anni, era l’agosto del 1929: incontro fatidico, che le avrebbe cambiato l’esistenza. Da lei ispirato, eppure mai andato per mare, come confessa candidamente nel congedo dedicato alla madre, l’autore si è sempre sentito attratto dal mare e lo spiega subito con parole semplici: «A volte penso che il mare sia così interessante proprio perché sembra un posto dove non succede niente. Si potrebbe desiderare di finirci quando si sente la morsa della vecchiaia e della morte. Un posto dove il tempo sembra essersi fermato, un nulla eterno».

Svensson vive a Malmö, affacciata sul mare, nella parte più meridionale della Svezia. Chissà quante volte – bambino – sfiorando l’ancora sbiadita che suo padre portava tatuata sull’avambraccio, avrà immaginato di prendere il largo, di fare rotta verso l’orizzonte e scomparire. E intanto sua madre gli leggeva libri popolati di squali, murene, razze. Inevitabile che tutto questo si sedimentasse nei suoi ricordi, sino a quando arrivò anche il desiderio di capire, di ascoltare la voce del mare e di cantarlo. Il libro è singolare, un viaggio per certi aspetti incoerente come una navigazione errabonda, irrequieta, portata dai venti qua e là dove la curiosità può sconfinare. La medesima curiosità che animò il panettiere Robert Dick, vissuto nell’Ottocento, raccoglitore instancabile di pietre e di reperti fossili nei chilometri macinati a piedi per le Highlands scozzesi: proprio per questo suo girovagare Dick passò alla storia come lo scopritore di un pesce preistorico, dando un contributo cruciale alle scoperte scientifiche.   

Non manca nulla in questo riassunto di storie, di personaggi bizzarri e irrequiete domande come se Svensson – autentico esploratore mentale munito di bussola e scandaglio – avesse voluto compilare un repertorio a proprio uso per imparare a percepire il mare, a capirlo, a percorrerlo con la forza dell’immaginazione.

Ecco allora sgranarsi, come chicchi di un rosario, la preistoria e la storia degli oceani, dei primi navigatori, da Magellano a Pigafetta, da Colombo a Vasco de Gama; delle carte nautiche, di coloro che hanno misurato con strumenti sempre più perfezionati le profondità marine, tanto misteriose e attrattive in quanto rispecchiano anche i nostri abissi interiori, insondabili e sconosciuti; ecco le scoperte di esseri viventi che si nascondono nei fondali più oscuri e senza luce. Come non ricordare che fu Melville a capire che il mare poteva essere lo sfondo perfetto per le grandi epopee marine, che parlano di balene, ma soprattutto del nostro ruolo nel mondo, del nostro rapporto con quella natura drammatica e con la vita nelle sue diverse espressioni. Ecco le imprese avvincenti dei cacciatori di balene e i misteri ancora ignoti del capodoglio, il più gigantesco animale acquatico. Ecco infine la storia delle discese più profonde negli abissi, i record stabiliti e battuti, le sfide tragiche al mare che tutto ingoia e dimentica.

Il mare, l’oceano, immenso, polifonico e insieme muto spettatore dei destini umani.

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