Raoul Precht
Periscopio (globale)

Omaggio a Kreisler

Un Cd riporta l'attenzione sul grande violinista Fritz Kreisler: ci sono sia i suoi cavalli di battaglia reinterpretati, sia le sue composizioni (tra cui molte rarità), sia i suoi “pastiches“, ossia le sue variazioni su temi di altri autori. Insomma, un ritratto completo

I grandi interpreti, si sa, hanno la brutta abitudine, a un certo punto, di morire. E se oggi sopravvivono grazie alle loro registrazioni e ne possiamo quindi ripercorrere grosso modo la parabola, un tempo tutto questo era reso molto più difficile dalla scarsità delle tracce fisiche lasciate. Ben vengano dunque sempre libri e dischi che ci riavvicinano a uno di questi mostri sacri del passato. È il caso anche del CD – disponibile anche su tutti gli altri usuali supporti – di cui parlerò qui di seguito, interamente dedicato alla figura di Fritz Kreisler.

Come lo stesso Kreisler aveva notato in una delle non rare dichiarazioni autobiografiche, che se non altro testimoniano del suo senso dell’umorismo, “Genius is an overused word. The world has known only a half dozen geniuses. I got only fairly near.” (“La parola genio è utilizzata fin troppo. Al mondo non ce n’è stata in tutto che una mezza dozzina. Io ci sono solo arrivato vicino.”) Ma quale altra parola utilizzare allora per un simile prodigio? Ammesso all’età di sette anni − il più giovane alunno di sempre − al Conservatorio di Vienna, dove sarà allievo di Anton Bruckner per la composizione, a dieci anni vi ottiene la medaglia d’oro e si trasferisce a Parigi, passando dalle cure di Bruckner a quelle di Léo Delibes, ma soprattutto intensificando lo studio del violino, grazie al quale appena due anni dopo vincerà il Grand Prix de Rome e comincerà una lunga tournée negli Stati Uniti, dove è accolto come il classico Wunderkind, e per di più come la personificazione del classicismo viennese. Cos’altro, se non l’inizio di una brillante carriera?

Non sarà così, o almeno non subito. La strada sembrerebbe spianata, ma al ritorno a Vienna il giovanissimo Kreisler deve affrontare un ostacolo inaspettato: respinto all’audizione per entrare a far parte dei Wiener Philharmoniker, entra in una sorta di crisi esistenziale e decide di abbandonare la musica e l’amato violino per la medicina, dandosi nel frattempo anche alla pittura. Riprenderà in mano il suo strumento solo a ventun anni, nel 1896, per esibirsi due anni dopo a Vienna e poi nel 1899 con i Berliner Philharmoniker sotto la bacchetta di Arthur Nikisch. Negli anni successivi sarebbero poi seguite delle trionfali tournées in tutto il mondo, a cominciare ancora una volta dagli Stati Uniti. Fra l’altro, nel 1910 interpreta per primo il Concerto per violino di Edward Elgar, che aveva commissionato al compositore e che a Kreisler è dedicato. La Grande Guerra, a cui partecipò e durante la quale fu ferito, interruppe momentaneamente la sua carriera, ma gli ispirò un libro di memorie che è anche una pregnante testimonianza dell’orrore bellico, Four Weeks in the Trenches. A dimostrare, se ce ne fosse bisogno, come Kreisler non si sia mai murato in una torre d’avorio, cosa che dimostrerà anche negli anni bui del nazismo e della fuga in America.

Stando a numerose testimonianze, quanti ebbero la ventura di assistere a un suo concerto dal vivo ne furono immediatamente affascinati: ascoltavano avvinti e in estasi un violinista brillante e fin troppo dotato che sembrava saper trarre dal proprio strumento qualunque timbro e qualunque espressione, senza indulgere, pur non disdegnandone gli effetti, a un virtuosismo fine a se stesso. Un violinista consapevole dei propri limiti – si lamentava per esempio di un quarto dito “debole” che lo aveva costretto a riditeggiare tutti gli spartiti –, ma abile nel nasconderli o nel trasformarli addirittura in un atout. Certo, il ricorso al rubato, l’uso insistito (o secondo alcuni addirittura l’invenzione) del vibrato, una certa libertà nell’interpretazione dei tempi e qualche altra caratteristica di quelle che contrassegnano fortemente un’epoca, oggi farebbero forse storcere il naso ai puristi; ma Kreisler era in grado di riscattare qualunque (apparente) debolezza con un tono caldo, ispirato appunto alla scuola viennese, con un impulso ritmico di rara incisività, con un’ispirazione costante e, insomma, con delle prestazioni straordinarie. La stessa ispirazione confluirà in alcune delle sue composizioni migliori, come taluni Lieder, il Quartetto d’archi in la minore scritto nel 1921 e certi brevi brani ascrivibili al genere della Salonmusik, senza dimenticare le sue cadenze per i concerti per violino di Beethoven e Brahms che sono ancora oggi fra le più eseguite.

Fritz Kreisler nel 1913

Kreisler è un riferimento assoluto non solo per gli appassionati di musica classica, ma anche per i conoscitori di strumenti originali. Nel corso della sua lunga carriera ha infatti acquistato o almeno suonato violini leggendari, fra i quali diversi Guarneri del Gesù (uno del 1730 oggi chiamato appunto “Kreisler”, uno del 1732 suonato dall’ungherese Tivadar Nachez, lo “Hart” del 1734 con cui eseguì la prima esecuzione del Concerto di Elgar nonché il “Mary Portman” del 1735) e diversi Stradivari (il “Greville” del 1726, il “Baillot” del 1732 e lo “Huberman” del 1733), e di molti di essi ha contribuito a rafforzare la leggenda raccontando aneddoti e storie non sempre veri – era dotato di notevole inventiva – ma in compenso piacevoli e divertenti.

Oggi il ricordo della figura di Kreisler sopravvive anche grazie all’International Fritz Kreisler Competition, che si svolge a Vienna con cadenza quadriennale e ha il fine di premiare i giovani violinisti più promettenti. La prossima edizione, se qualcuno fosse interessato, si svolgerà nel settembre 2026. Il premio è in qualche modo la continuazione ideale di un’iniziativa presa dallo stesso Kreisler quando insegnava alla Wiener Musikakademie negli anni Trenta, per l’esattezza fra il 1932 e il 1938, anno in cui dovette lasciare l’Europa per sfuggire alla minaccia nazista.

Se riparliamo di Kreisler, è perché la sua figura e la sua opera vengono ora riportate prepotentemente in auge da un disco della Ars Produktion apparso da poco, in cui a rievocare una certa air du temps pensano la violinista tedesca Natalia Van der Mersch e la pianista russa Natalia Kovalzon, già unite, come Duo Natalia, da precedenti esperienze discografiche: un CD dedicato a musiche russe, con un repertorio peraltro molto interessante (Čajkovskij, Glinka e Stravinskij, ma anche compositori meno noti come Aljab’ev, Artur Rubinstein, Zimbalist e Kopylov), e un altro che invece esplora, da Bach fino a John Williams, il tema della follia in musica. Le due musiciste si avvalgono peraltro di due strumenti particolari: un violino di Giuseppe Gagliano del 1780 e uno Steinway del 1926 recentemente restaurato.

I brani che compongono il disco appartengono a tre diverse categorie: capolavori del repertorio violinistico ai quali Kreisler diede a suo tempo un particolare smalto (da Tartini a Mozart, da Mendelssohn a Brahms, da Čajkovskij a Dvořák), alcune delle circa trenta composizioni originali di Kreisler per violino e pianoforte, fra cui la famosa trilogia denominata Alt-Wiener Tanzweisen e composta da Liebesfreud, Liebesleid e Schön Rosmarin, e infine brani « al modo di », ovvero dei pastiches scritti dallo stesso Kreisler ma ispirati a compositori del passato (Wilhelm Friedemann Bach o Louis Couperin, il nonno del più celebre François, per fare qualche esempio, ma anche Tartini e Vivaldi) e a questi curiosamente ascritti. La storia di queste composizioni è singolare: avendo bisogno di alcuni brani a effetto per i bis che generosamente dispensava al termine di ogni concerto, Kreisler pensò bene di comporli lui stesso ispirandosi appunto ad alcuni compositori barocchi, le cui partiture aveva a suo dire trovato in un monastero francese, e mettendoli sul programma a loro nome, poiché, come dichiarò in seguito, gli pareva che la presa sul pubblico fosse maggiore in presenza di un nome già minimamente conosciuto. Siccome però i musicologi non riuscivano a trovare traccia di questi brani, alla fine (ma solo nel 1935) fu quasi costretto a confessare la piccola impostura, difendendosi con la famosa asserzione: “the name changes, the value remains” (“cambia il nome, ma il valore resta”).

Ciò che caratterizza tutti i brani presentati qui è l’estremo impegno che richiedono agli esecutori, talora sotto il profilo virtuosistico, talaltra sotto quello più propriamente espressivo. Quanto alle composizioni originali di Kreisler, sono dei piccoli gioielli, all’apparenza (a volte) di una semplicità sorprendente, l’interpretazione dei quali deve essere però calibrata al millimetro.

In quest’omaggio a Kreisler le interpreti sono riuscite a trovare un sapiente equilibrio non solo fra le loro esigenze espressive e le peculiarità dei due strumenti, ma soprattutto tra l’attenta regolazione timbrica e la serietà con cui sempre va affrontata una simile impresa, da un lato, e un pizzico di sano divertimento, dall’altro. Ne emerge un disco godibilissimo, che merita la segnalazione e l’acquisto.

Facebooktwitterlinkedin