Roberto Mussapi
Every beat of my life

Nuotando con Byron per la gloria

Dei tre “ragazzi che amavano il vento” (Keats e Shelley con lui), oltre che il più shakespeariano, Byron era anche poeta comico. Come ci dicono questi versi, ispirati al mito di Ero e Leandro, scritti «dopo aver nuotato da Sesto a Abido»

Lord George Gordon Byron non è solo uno dei più grandi nuotatori del suo tempo, come celebra una lapide a Portovenere, da cui si tuffò in mare per una delle sue traversate. È anche uno dei grandi poeti universali e per certi versi unico: dei tre Ragazzi che amavano il vento (Byron, Keats, Shelley), amici poeti romantici inglesi, da me così battezzati grazie un’idea di Alberto Rollo, che magicamente seguì, anzi ideò una mia antologia per Feltrinelli, dei tre è il più naturalmente shakespeariano. Lirico e autore di travolgenti poesie d’amore come i due amici, magicosmico quasi quanto il loro Maestro Coleridge, è però, a differenza di loro, anche poeta comico. Non solo nel poema che inventa nella lingua inglese, ispirandosi a Pulci e Ariosto, ma per la sua natura che, sul modello shakespeariano, sa passare da Amleto alla commedia dei folletti nel bosco, dalla tragedia alla leggerezza, con analogo incanto.
Qui, dopo una nuotata epica, che replica quella del mito (Leandro che muore nel mare in tempesta per raggiungere a nuoto l’amata Ero) ecco le conclusioni, rossiniane, goldoniane: lui ci ha rimesso la pelle, io ho il raffreddore. 

Scritta dopo aver nuotato da Sesto a Abido

Se nel mese del cupo Dicembre
Leandro, che ogni notte attraversava
a nuoto le tue acque, vasto Ellesponto,
(non c’è ragazza che non ricordi la storia)…

Se quando ruggiva d’inverno la tempesta,
si lanciava verso di lei, 
e come ora fluiva allora la corrente…
Tutti e due li compiango, Bella Venere!

Quanto a me, degenerato “moderno”, sfigato,
benché nel mite mese di Maggio,
io stendo stanco le mie membra grondanti
convinto che oggi ho compiuto un’impresa.

Ma poiché lui attraversava la rapida onda,
a quanto dicono, almeno, così pare,
per farle la corte, e Dio sa che altro,
e nuotava per Amore come io per Gloria,

è arduo dire a chi sia andata meglio:
tristi mortali, ancora gli dèi ci tormentano:
sprecata la sua fatica, come la mia bravata:
lui infatti affogò, e io ho la febbre.

Traduzione di Roberto Mussapi

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