Giulia Alvear
L'artista diventa critico

Danza al Castello

Una ballerina, Giulia Alvear, ha seguito per "Succedeoggi" il festival Nutida di danza contemporanea al Castello dell'Acciaiolo di Scandicci. Ecco il racconto delle sue impressioni di spettatrice

Mi chiamo Giulia Alvear, sono una ballerina di danza urban e contemporanea. Un paio di mesi fa ricevo una chiamata a sorpresa di Giuliano Compagno; mi invita ad assistere alla IV edizione del Nutida Festival, in programma la prima settimana di luglio al Pomario del Castello dell’Acciaiolo, a Scandicci. Mi dice che una danzatrice comprenderebbe certamente meglio di lui le sequenze dei movimenti e le poetiche degli artisti in scena. Gli rispondo che va bene, che ci proverò.

Il mio viaggio inizia di mattina presto, su un treno preso a Roma Termini con destinazione Villa Costanza; è un caldo torrido. Recupero un po’ di forze e mi dirigo verso il parco dell’Acciaiolo, che mi proietta in un ambiente verde e curato, in un non-luogo dove ogni forma è sospesa, e con esse le musiche dello spettacolo che sarà in scena la sera stessa: gli spazi e le figure che li attraversano valgono come motivi ispiratori di un festival che ha il merito di sostenere nuove generazioni di danzatori, permettendo ai coreografi e alle compagnie di realizzare i loro lavori sperimentali.

La dodicesima notte della NBDT Accademia con la drammaturgia di Luca Orsini e le coreografie di Beatrice Ciattini e Niccolò Poggini, segue gli intrecci e i paradossi di Twelfth Night, or What You Will di Shakespeare. A ciò contribuiscono le musiche oscillanti e parallele di vari compositori e l’interpretazione delle ballerine Sofia Bonetti, Rita Carrara, Francesca Chiesa, Enrica Cornacchia, Rebecca Intermite, Beatrice Ranieri e Marta Terranova. Esse si muovono leggere, con una gestualità dai tratti rituali, caratterizzata da una costante ripetizione sulla scena: il tema che le muove è l’amore, e con esso la purezza e l’universalità di un sentire che non conosce genere, sesso o forma.

Nell’opera si alternano momenti di grande dinamismo – sviluppati grazie a coreografie d’insieme e a improvvisazioni individuali – a scene in cui la staticità è resa attraverso un lento camminare appeso nello spazio. Lo spettacolo intreccia danza e teatro, tra i brani shakespeariani e un filo della narrazione sono poi le carte da gioco, elemento scenico utilizzato dal narratore con una certa ricorrenza e ripreso dalle ballerine stesse che lo utilizzano in una delle coreografie finali, conferendo alla scena un carattere mistico, a tratti esoterico.

Joy Alpuerto Ritter. Fotografia di Julien Martinez Leclerc

Il giorno seguente è la volta di Vier della coreografa Joy Alpuerto Ritter, nome di spicco della danza internazionale. Assisto con grande curiosità ed entusiasmo alla prima italiana di una sua opera. Concepita per spazi aperti: l’ampio giardino del Castello dell’Acciaiolo le si adatta alla perfezione, con una quercia che incornici l’intera esibizione.

“Come possono quattro individualità navigare all’interno di un gruppo con determinate regole? Quali sono le dipendenze, i desideri, le aspirazioni di appartenenza e di libertà? Come possono rimanere fedeli a loro stesse, realizzarsi, quando si deve convivere all’interno di un quadro rigoroso?” Sono domande che riguardano ogni esperienza artistica autentica e che appartengono alla relazione tra l’Estetica e la Poetica di uno spettacolo dal vivo. Sono questioni a cui Joy Alpuerto Ritter risponde grazie uno studio espressivo dei ballerini Rocio Becerra Parraga, Tomy Lee Kneringer, Nam Tran Xuan, Elias Choi Buttinger. Nello spettacolo infatti i ballerini urban sono chiamati ad affrontare una difficile sfida: sostenere il rigoroso sincronismo e l’essenzialità disciplinata della danza classica, essendo l’opera di riferimento Il Lago dei Cigni.

Fin dalle prime scene emerge un attento studio, una ricerca sul piano dei movimenti e della loro interpretazione: solo agli interpreti è richiesto di trovare un difficile equilibrio tra la solitaria espressione e la comune visione dell’opera, nelle posizioni e nei tempi della danza classica.

Eppure i corpi, inizialmente costretti in una forma che non appartiene loro, finiscono per interagire e per realizzare dinamiche di intrecci da cui cercheranno di liberarsi per entrare in un loro personale flusso di movimento, così da raggiungere una libertà espressiva in tutta armonia con lo spazio occupato.

L’unione di questi due stili di danza dona ai ballerini una presenza scenica e interpretativa quasi grottesca; ciò ha origine dal modo con cui i performer si adattano a movimenti che non gli appartengono: il contrasto mantiene viva la scena, ma appare evidente che dietro quell’apparente incertezza vi siano una sensibilità e una grande preparazione tecnica.

Nel viaggio di ritorno ho ripensato a quanto per me, seguire dei linguaggi e degli stili di danza per me così differenti, sia stata un’esperienza importante. E poi la varietà e l’articolazione delle scene, dove il teatro trova il suo luogo e il suo ruolo, sono state per me fonti d’ispirazione: sentire come le danze urbane possano integrarsi così armoniosamente in questi contesti è stato vero motivo di gioia. Infine è particolare che la voce del critico lasci spazio al silenzio dell’artista.

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