Daniela Matronola
A proposito di "Cervellati"

Modello Cervellati

Fabio Ciriachi ha ricostruito, sotto forma di romanzo, la vita di Cesarino Cervellati, calciatore molto popolare negli anni Cinquanta, tanto da arrivare anche in nazionale. Ma dietro la storia di un campione si nasconde quasi un trattato filosofico...

Cervellati era basso di statura / Cervellati era un’ala eccezionale / Cervellati aveva il 7 sulla maglia / Cervellati era un calciatore naturale! Se provate come ho fatto io a canticchiare queste parole sul ritmo (indiavolato) di Nuvolari, pezzo indimenticabile di Lucio Dalla, avrete la sensazione dell’andamento che governa l’ultimo libro in ordine di tempo pubblicato con la casa editrice Inschibboleth nella collana Margini da Fabio Ciriachi (Cervellati, ai margini del campo, 200 pagine, 22 Euro), scrittore di lungo corso e da tempo fotografo, elemento costituente del gruppo “parlamenti” insieme a Carla Vasio, Marita Bartolazzi, Massimo Barone, Paolo Morelli.

Da qualche tempo, anzi (penso sia illuminante prendere la circostanza nella dovuta considerazione) i libri di Fabio Ciriachi e anche degli altri costituenti il gruppo “parlamenti” prendono forma e sostanza proprio “dai lavori” di questo cenacolo di amici che ha come punto di riferimento la libreria/editrice Empiria di Marisa Di Iorio, spesso visitata anche dalla sottoscritta per qualche altra carboneria letteraria, in via Baccina, tra via de’ Serpenti e via Tor de’ Conti, a due passi dalla pietra peperina, ignifuga, del Foro di Augusto, e dalla Salita del Grillo – non distante da via Panisperna: Rione Monti. 

Preciso tutto questo per evocare il sapore più autentico del libro di Fabio Ciriachi, capace di puntuali carotaggi come di spostamenti repentini di area e di superficie, molto rivelando anche del tipo di sguardo e attenzione riservate dall’autore alla sua movimentata, mai stabile, materia. 

Come nella canzone di Dalla dedicata a Tazio Nuvolari (come lui anzi prima di lui, quanto a battesimo, solo l’angelico Tadzio di Thomas Mann), pure campione di un automobilismo rude ed eroico, troviamo una musichetta che va di corsa su cui si poggiano placide le parole, così in Cervellati di Fabio Ciriachi il ritmo è scandito da frasi che martellano il respiro però formulano il ritratto dell’eroe e l’intreccio con il resto attraverso una enunciazione lenta e costante. Si tratta di un libro fuori serie, a suo modo fuori misura, diaristico e aforismatico, elegiaco, capace di intrecciare l’ironia con un lirismo naturale a sforzo zero.

Cervellati, l’eroe eponimo di questo non-romanzo a ricorrente tasso narrativo, di nome proprio faceva Cesarino ed era un calciatore.

In alcune tra le pagine che aprono il libro, l’autore fa anche una serie di giocose variazioni sugli accenti che potrebbero dare tono a questo cognome, dando corpo a uno degli scivolamenti della scrittura: la sensibilità linguistica, non solo fono-morfologica, che dopotutto sostanzia la sua arte di tessitura poematica.

Cesarino Cervellati è stato giocatore del Bologna tra il ’48 e il ’62, nel maggio del ’51 è stato schierato in Nazionale come rincalzo di un ancor più oscuro titolare, Renzo Burini (laziale), e ha anche affiancato Bruno Pesaola come viceallenatore del suo Bologna. Sulla scia della lettura di questo libro si può trovare in rete qualche foto di Cervellati, e soprattutto la figurina Panini che lo ritrae a mezzo busto nella casacca rossoblù del Bologna: giovane, sorridente, e appena impensierito. Come tutti i calciatori di quegli anni, di quei decenni, angeli e demoni di un calcio completamente scomparso almeno dagli anni Ottanta: il calcio dei giocatori coi calzettoni calati sugli scarpini, un calcio giocato con generosità, rimettendoci le gambe. Ecco, appunto, la sua figura è riemersa alla memoria dell’autore da uno ieri o forse altroieri in cui Fabio Ciriachi saltellava nelle acque placide tra infanzia e adolescenza e poi irrequieta giovinezza. Ed è da non sottovalutare il sottotitolo, Ai margini del campo, che ha un valore polisemico. Indica una marginalità che è del giocatore, ottimo anche se attivo giusto negli anni in cui la sua squadra non vince nulla anzi scivola vertiginosamente verso serie cadette. Allude anche a una difficoltà tecnica della squadra del Bologna, impegnata in moduli di sperimentazione tattica sul campo, in un numero d’anni in cui appunto il calcio cambia. Ma ha soprattutto un valore simbolico ed evocativo: ai margini del campo, 1. della memoria dell’autore evocatore che pure non lascia cadere il tenue filo cui questa particolare memoria è appesa; 2. della letteratura e della comunità letteraria, visto che l’autore non si è mai accodato a cordate robuste e predominanti, ma ha scelto o istintivamente preferito vie più marginali, appunto, non a proprio detrimento ma per dissidenza, per dissociazione, per squisitezza.

In realtà questo libro è la summa di un filosofo, che, mentre rammemora il tempo e cerca di asciugare tutta la memoria sia dei cascami che delle distrazioni, coltiva la digressione o il correr dietro a dettagli e informazioni, nella fiducia che il disegno finale comporrà anche l’identità o il ritratto, meglio, di quel senso che dopotutto non è solo lo scopo ultimo dei propri sondaggi ma anche il suo punto di partenza e il principio ispiratore che non deflette mai ma come un filo fragile e tenace regge il gioco dell’indagine.

In questo senso la forma del libro è indicativa: è contemporaneamente associativa ed enunciativa, provvisoria e regolatrice.

Come procede questo libro? Per enunciati, tra diario, personale e pubblico, e catalogo di aforismi che, mentre dichiarano delle posizioni, le studiano, le indagano, le interrogano e forse le temono o perlomeno le sopportano, le accettano. Questo procedere per unità minime, tessute con sapienza ma anche con attesa, permette qualcosa che, personalmente, mi commuove sempre: la riscrittura del tempo – e, mentre lo assume come bussola e bandolo, lo annulla come categoria rigida e con un gesto alla Dalì lo discioglie e lo riammassa come si fa con l’impasto del pane. Qual è il vero risultato che l’autore del libro e chi lo legge si portano a casa? Una libertà di scrittura e di lettura, cioè una comprensione, anche alla lettera (cioè riuscendo a tenere tutto insieme e a portarlo con sé come bagaglio significativo, non solo come fardello sommativo), del senso dell’esistere, certamente resa disponibile non solo per sé, qui, da parte dell’autore, ma offerta come suggestione molto attraente anche a chi pilucchi questo libro assaporando questa libertà e questa conoscenza inevitabile e inarrestabile, connessa al semplice progredire nel tempo, che in piena onestà non può che sortire stupore. 

Si potrebbe dire che questo libro faccia i conti con la vecchiaia. Certamente questo tema è apertamente richiamato dall’autore, ma non ci facciamo convincere così a buon mercato, noialtri lettori, forti o meno forti che siamo. Questo libro pone in realtà un’occasione di ricalibratura nella nostra percezione del tempo e delle fasi della vita che leghiamo al tempo. Come sentire l’infanzia, come sentire l’età adolescente o l’età adulta, come pervenire a una percezione di noi non solo o non tanto mentre attraversiamo il tempo e le nostre diverse fasi, ma soprattutto, quando siamo in quei cunei o meglio in quelle pieghe in cui scavalchiamo da un’età all’altra, passiamo da una forma all’altra di percezione di noi rispetto a quel continuum in perenne sviluppo che è la progressione temporale nell’esistenza, e le prospettive si alterano, cambiano, si capovolgono forse, certamente si deformano. Viene lanciata dopotutto una questione posturale, di reciproca rimodulazione tra le parti in gioco che procede per conquiste successive. A questo punto, sorge spontaneo chiedersi che nesso leghi tutto questo vasto campo di indagine o meglio di pascolo, che riguarda l’autore in prima persona ma per estensione anche tutti ed ognuno, all’eroe eponimo e ai suoi venerabili colleghi giocatori del calcio di ieri. Il nesso è un dato. Dunque un nodo. Perciò è un legame, Che qui si fa scioglimento. E bisogna scoprirlo leggendo. 

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