Mariana Branca
Un racconto musicale

Da

«Sono venuta accanto a te senza peso nei passi, accanto a te ho sentito le campane suonare, ti ho detto: il tuo sorriso è di terra bagnata. E poi: i sacerdoti della terra non suonavano campane alla dea Dia, le offrivano invece un toro, una scrofa e una pecora...»

Ad aprile del 2023 Daniela Pes, cantautrice e compositrice gallurese con una formazione jazz alle spalle, poco più che trentenne, pubblica il disco “Spira” (Tanca Records/ Trovarobato). Le sette tracce sono un peculiare misto di fluidità elettronica, drone music e avanguardie sperimentali, dove la voce diventa un estatico strumento tra gli strumenti, la lingua un incomprensibile eppure potentissimo mezzo di comunicazione, dove gli antichi lemmi galluresi, i brandelli di vocaboli italiani e altri completamente inventati vanno a creare una dimensione mistica, ascetica, religiosa, accessibile solo attraverso l’immaginazione, l’emozione. (https://youtu.be/YpzcVXu2L1o).

La scrittrice Mariana Branca (finalista al Premio Calvino 22 con “Non Nella Enne Non Nella A Ma Nella Esse”- Wojtek Edizioni) ascolta Spira” fino a perdere la testa. Da questo travolgimento estatico nasce “Da”, sorta di vademecum misterico, di esercizio spirituale eleusino, in sette passi, tanti quanti i brani del disco della Pes, che siamo felici di ospitare sulla nostra rivista

* * *

Dia, lei che dà

Da Da Da Daniela mia dea, dea Dia, dea mia, Da Da Da Daniela mia dea, ti ho vista arrivare, ho visto il tuo sorriso arrivare, il tuo sorriso è di terra bagnata, di pietra e di terra bagnata. Daniela il tuo scheletro è di pietra la tua carne di terra bagnata, la tua lingua i denti di pietra, il sesso i tuoi occhi sono di terra bagnata. Ti ho detto, Dia Daniela mia dea, dea Dia Daniela dea mia, la prima volta che ci siamo incontrate, ti ho detto che il tuo sorriso è di terra bagnata.

È il quattordici aprile, l’ultimo giorno della festa, dispari i tuoi anni la prima volta che ti ho vista, arrivare alla festa per la terra, γῆ, Da, la terra dea, la terra madre madonna donna, la terra femmina, la terra santa la terra sacra. La terra come tu sei di terra, Dia Daniela mia dea, dea Dia Daniela dea mia.

Sono venuta accanto a te senza peso nei passi, accanto a te ho sentito le campane suonare, ti ho detto: il tuo sorriso è di terra bagnata. E poi: i sacerdoti della terra non suonavano campane alla dea Dia, le offrivano invece un toro, una scrofa e una pecora; la festa degli Ambarvali, ambio: vado in giro, arvum: campo. Tre giri intorno ai campi, in processione il toro la scrofa e la pecora prima di essere dati, aperti sulla pietra di sangue al centro della piazza, gridando a Marte di essere pietoso, gridando a Marte di essere pietoso.

Ti ho vista arrivare, ti sono venuta accanto perché la terra è di magnesia, la terra attira la terra attrae. Ti ho detto che il tuo sorriso è di terra bagnata. Mi hai dato la mano, hai dato alla mia mano la tua mano ai miei occhi i tuoi occhi al mio stupore il tuo sorriso di terra bagnata. Hai detto, con la voce che era tremore, tremito di vulcano acceso, vulcano che sgomenta che vuole scoppiare, disfarsi, hai detto:

neve lue rue Marmar sins incurrere in pleoris. Satur fu, fere Mars. Limen sali, sta berber. Semunis alterni advocapit conctos. Enos Marmor iuvato. Triumpe triumpe triumpe triumpe triumpe, non permettere Marte che la rovina cada su molti. Sii sazio, crudele Marte. Balza oltre la soglia. Rimani lì. Invocate a turno tutti gli dèi delle sementi. Aiutaci Marte. Trionfo trionfo trionfo trionfo trionfo.

Ti ho guardato i denti la lingua di pietra, mi hai dato il tuo sorriso i tuoi occhi di terra bagnata. Mi hai detto:

ˈvaɾi e ˈdama Kaˈlaɾi ˈuna ˈlaˈseti ˈiɾe ˈita ˈkɔmo
E ˈvoi la ki ˈa saˈpeˈuna ki ˈama ˈvio ˈseɾi ˈduna ˈkala ˈeɾe ˈini ˈmari ˈvaɾia e ˈunta ˈkeɾi saˈpe
Da laˈɾia Ke ˈunta saˈpe
ˈsape ke ˈriaɛne paˈɾia ˈrima ˈvo uniˈɾa Uˈnoɾa
Vaˈɾie ˈva ki se ˈpaɾi ˈmiɾa ki.

Deferunda, lei che trasferisce

Ti sei vestita del tuo drappo nero, ti sei profumata di sottobosco per la festa del paese e dei campi, siamo andate a sdraiarci all’ombra slabbrata della campana, ho preso la tua mano, Deferunda Daniela mia dea Daniela dea mia, la tua mano è di terra bagnata le tue dita di pietra incollata di sole, il sole si è incollato alla tua pietra alla tua terra bagnata tutte le volte che ti ho vista camminare eppure la terra del tuo corpo è rimasta bagnata, l’acqua non si è estinta la pietra non si è erosa. Mi hai dato la mano la prima volta che ti ho vista, ho preso la tua mano l’ho messa sul mio petto aperto, sui miei seni disgelati ho sentito la tua mano parlare, trasferire nel mio petto di spigoli acuti il tuo sapere rotondo il tuo sapore aborigeno, trasferire nel mio petto la tua voce a graspi a grumi, la tua voce venerea raccontare la forma dell’acqua che ci passava sulla testa, sulla tua testa che invocava la notte che riposa le sementi, la tua voce venerea raccontare la forma dei passi premuti, sotto il tuo tallone che solca e poi riempie. Ho sentito la tua voce, Deferunda Daniela mia dea Daniela dea mia, trasferire il tuo sapere il tuo sapore alla mia carne al mio dolore. La tua lingua i tuoi denti profumavano di sottobosco nella mia mano, la tua lingua la bocca la tua voce aurora polare, quiescente a volte mobile, nascosta sotto il drappo nero che ti conserva l’ombra e la sera, la notte a tutte le ore. Ti ho detto: canta, Daniela mia dea Daniela dea mia, trasferiscimi, portami nella notte del tuo drappo polare. Mi hai detto:

ka ˈseɾa viˈde miˈɾɛza ˈali ki amˈmjeɾi ˈuna ˈseɾa ki ˈvade ˈɾeza ˈnaʃʃi ˈvia
ka ˈseɾa di pɾimaˈeɾa ˈali ˈʧeli ˈsii ˈtu ˈuna ˈseɾa ki ˈmɔɾa ˈɾeza ˈnaʃʃi ˈvia
ˈʧeɾa un oˈɾane e ˈiɾi ˈnɔva ʧe ˈeni ˈveɾoˈʧeɾa un oˈɾane e ˈiɾi ˈnɔva ʧe ˈeni ˈveɾo ka ˈseɾa viˈde liˈɾɛza
aˈli ki amˈmjeɾi ˈuna ˈseɾa ki ˈvade ˈɾeza ˈnaʃʃi ˈvia.

Coinquenda, lei che taglia

Sdraiata all’ombra della campana ti impastavi al grano tagliato sotto le nostre schiene, tagliato e che entrava nella mia carne, nella tua carne di terra bagnata, profumata di sottobosco. Coi denti hai tagliato una ciocca dei miei capelli, coi denti con la tua lingua di pietra, Coinquenda Daniela mia dea Daniela dea mia, hai tagliato i miei capelli e li hai mischiati al grano sotto le nostre schiene, grano e capelli tagliati sotto la nostra carne stesa alla luce di un dio che non conosco. Hai tagliato i miei capelli con la lingua coi denti li hai masticati li hai mischiati al grano, alla carne nostra stesa all’ombra della campana, alla luce sconosciuta di un dio a noi intorno. Hai detto, con la voce che era terrore di vulcano acceso, vulcano che sgomenta vulcano che scoppia, si disfa, hai detto:

cume tonas, Leucesie, prae tet tremonti +quot+ ibet etinei de is cum tonarem, quando tuoni, o Dio della Luce, davanti a Te tremano tutti gli Dei che lassù ti hanno sentito tuonare. Ti ho sentito tuonare, Coinquenda Daniela mia dea Daniela dea mia, la pietra del tuo scheletro sdraiato accanto al mio ha tuonato nella mia mano, ho sentito i tuoi polmoni di pietra tuonare dallo sterno alle tue dita alla tua mano di terra bagnata, ho sentito tuonare i miei capelli tagliati nella tua mano, tuonare i miei capelli tagliati. Mi hai detto:

ˈmaɾi daˈɛɾa ˈsola ˈva ˈmuɾa di ˈseɾa ˈpassa iˈɾa ˈneɾa ˈlaɾia ˈiɾa ˈvidi ˈmete ˈkaɾa ˈdaɾi ˈmente
Saˈɾa ˈmaɾe ˈka nɔ mi ˈo ˈvide ˈɛlla ki ˈvo ˈine
Si ˈɛna ˈkado elleˈɾia ˈluna di maˈɾɛe ˈpaɾi ˈunda ˈeɾa ˈɛna pɾimaˈeɾa ˈmiɾa di maˈia ˈide ma seˈɾa
ˈlumina le ˈonde ˈluna si ˈduna Le ideˈɾa ˈle di ˈeɾa
Ke meˈɾa ˈeɾi ˈɛna ˈvɛna ˈmɔɾa ˈdalle ˈoɾe sˈkuɾe ˈoɾa kon ˈme ˈoɾe ˈliɾano nell aˈɾiaˈɛna ˈmɔɾa ke ˈkade ˈvia
Fiˈɡuɾa ˈkolma ˈsia.

Commolenda, lei che polverizza

Mi hai portato alla falesia al mare dirupato della tua terra-Tempio, mi hai portato ballando, l’aria è in bianco e nero ti vedevo appena, sgranarti nell’aria come una nebbia come il calore di una fiamma, polverizzarti la sagoma piena, colma. Abbiamo ballato perché tu cantavi ma come una litania, abbiamo sentito le campane della festa, la gente ballare, l’aria è in bianco e nero e noi abbiamo ballato lontane dalla festa abbiamo ballato io e te soltanto, aggrappate alla falesia, io aggrappata al dirupo del tuo drappo nero, al contorno della tua bocca che nasconde le aurore delle tue corde vocali, quiescenti a volte mobili che volevo masticare, masticarne la pietra la terra bagnata, scavare il centro della tua gola indigena, succhiare la tua lingua di pietra, arrivare alle tue corde mistiche, paventose che sulla falesia cantavano la litania su cui abbiamo ballato, i miei piedi attorno ai tuoi piedi, le mie mani attorno alle tue mani, la mia bocca attorno alla tua voce boreale, polare, di sale e di grano tagliato, la tua voce che polverizza, Commolenda Daniela mia dea Daniela dea mia. Mi hai cantato nella bocca nella gola, hai eroso il mio petto hai eroso il rosario sul mio petto, il mio rosario è di polvere e vapore, da quel giorno l’ultimo della festa, il giorno pari nell’anno dispari dei tuoi anni. L’aria è in bianco e nero e noi abbiamo ballato, ballando la tua carne, Commolenda Daniela mia dea Daniela dea mia, ha eroso la mia carne: polvere, nebula, la mia carne è da quel giorno vapore. Ti ho detto: la tua acqua è scura, densa aborigena, è acqua bruna, campestre, arvense. Mi hai detto:

La ˈdi simˈbɾuna Isˈtanti ˈnou in ˈtarra Ki ˈvidi inˈtɾa a ˈmɛ ˈlanima ˈvaɾia e ˈvia Di ˈloɾi e lisˈtanti
La me ˈtɾista ˈita si ˈɛsti e riˈnaʃʃi La ˈdi si ˈɛsti e riˈnaʃʃi Di primaˈeɾa
La ˈnɔtti riˈnaʃʃi ˈnoa La ˈdi simˈbɾuna Isˈtanti ˈnou in ˈtarra Ki ˈvidi inˈtɾa a ˈmɛ ˈlanima ˈvaɾia e ˈvia
Di ˈloɾi e lisˈtanti La me ˈtɾista ˈita si ˈɛsti e riˈnaʃʃi La ˈdi si ˈɛsti e riˈnaʃʃi Di primaˈeɾa
Mustra ad essi verità Riposa ′nantu aria silena Di primaˈeɾa.

Adolenda, lei che fa nascere

Abbiamo sentito la gente ballare hai cantato più forte, dalla falesia il mare precipitato ti è venuto in soccorso, hai cantato con la voce del tuono, della luce del mare che cade, che s’alza, precipita e s’impenna, che scroscia e sborda e fa rumore. Ho visto la tua voce inseminare la terra, germinare, l’erba nascere nella terra dalla falesia verso il paese e i campi. Ho sentito le vesti delle donne alla festa del paese e dei campi schiudersi sbocciare, agitarsi, dimenarsi come appena venute al mondo, al tuo mondo, al mondo della tua voce litania la tua voce aurora polare boreale, la tua voce che partorisce, che insemina germina e germoglia, Adolenda Daniela mia dea Daniela dea mia, la voce tua quiescente, mobile sulla falesia, la tua voce come la sincope del tamburo, il colpo del tamburo, come la mano che picchia il tamburo, la mano che si alza e che picchia, che si alza e che scende, la mano che si alza, che cade scende precipita agli orli, la mano che alza gli orli delle gonne alla festa del paese e dei campi, gli orli a disfarsi nel cerchio tribale della danza, le donne a ballare, a sudare a sputare a bagnare la terra del Tempio da cui nascesti, il seme la saliva il sudore l’acqua che ingravida la terra la tua terra, Adolenda Daniela mia dea Daniela dea mia. Tu cantavi più forte io imparavo a balbettare, a farfugliare le sillabe del tuo nome, Da Da Da, il tuo nome le lettere del tuo nome esplosivo dentale sonoro, post-dentale, cacuminale, occlusivo alveolare, Daniela Da Da Da, Daniela mia dea Daniela dea mia. Mi hai detto:

ˈo ˈdei ˈse aˈɡɔɾa ko ˈali meˈɾɔ ˈvɔɾano ˈfaite ˈo ˈdei ˈse aˈɡɔɾa ˈvali meˈɾɔ ˈidaɾe ˈfaite
ˈiɾa mi daˈɾɛ ˈaɾi se ill ˈaɾia ki mi daˈɾia a ˈki mi daˈɾia.

Damate, lei che distribuisce

Siamo andate alla festa del paese e dei campi, camminando lente, gravidi i piedi uno alla volta, hai distribuito l’acqua della falesia all’erba appena nata, all’erba che aveva sete, palmo d’acqua su palmo d’acqua, hai distribuito l’acqua della falesia, l’acqua della tua terra bagnata, il sole della tua pietra, la notte del tuo drappo, la voce delle tue corde, il seme dei tuoi occhi all’erba ai campi che avevano sete, Damate Daniela mia dea Daniela dea mia. Abbiamo camminato verso la festa, la mia mano sulle tue dita di pietra nella tua mano di terra bagnata, la mia bocca aggrappata al dirupo del tuo drappo nero, al contorno della tua bocca che nasconde le aurore delle tue corde vocali, quiescenti, mobili mentre camminavamo verso la festa del paese e dei campi, il toro la scrofa la pecora il sangue sulla pietra e tu distante, camminavi e la gente ti guardava passare, distribuire i tuoi occhi di terra bagnata, i tuoi occhi il tuo sorriso di terra bagnata la tua voce boreale, Damate Daniela mia dea Daniela dea mia, immortale aborigena, venerea e di caverna, cavernosa dea, tu che dai che trasferisci, tu che tagli, tu che polverizzi che fai nascere, tu che distribuisci, Daniela mia dea Daniela dea mia. Ti ho detto: balliamo. Mi hai detto:

ˈseɾa ˈvɛni ˈkade ˈlaiɾo Ke ˈmiɾa amˈmalia se ˈnaiɾo ˈmiɾa ˈvɛni iˈɾa ˈneɾa ˈliɾe
Si di ˈtɛ fiˈnɛza aˈia ˈella ˈvɛni ˈduna ˈkaza ˈdia ˈrɛna ˈneɾa tesseˈɾa.

Cerere, lei che apre

Daniela mia dea Daniela dea mia, Daniela Deferunda, Daniela Coinquenda, Daniela Commolenda, Daniela Adolenda, Daniela Damate e Cerere, dea della terra bagnata inseminata e fertile, ho messo la tua mano sul mio seno sul mio sesso ho messo la mia mano sul tuo seno sul sesso abbiamo girato tre volte su noi stesse, tre volte senza mai cadere eppure io cadevo, cadevo, Daniela mia dea Daniela dea mia, cadevo perché tu bagni e apri la terra come un fiore di carne e d’acqua, come Cerere apri il Caereris mundus, tre giorni all’anno apri la terra, la scoperchi e ci porti a trovare i morti, nei dies incui non si attacca battaglia, non si arruola l’esercito, non si tengono comizi. I dies religiosi, il ventiquattro agosto, il cinque ottobre, l’otto novembre. La tua mano hascoperchiato la terra, mi hai portato a trovare i morti, hai detto: ascolta, ho sentito la terra cantare, la terra bagnata — e scura, bruna e sub-campestre, nera più nera del tuo drappo, rabbuiata e senza aurore — parlare, dire. Insegnarmi la risalita, sprofondare e il suo ritorno. La mia mano nella tua carne di terra bagnata, la mia mano nella terra del sottoterra, la mia mano a scavare, afferrare, portare alla bocca, assaggiare, impastarmi il palato, masticare, riempire, gravarmi la lingua, rimpolparmi i denti, ingoiare la boiacca di terra e acqua radicale del mondo capovolto di Cerere e Damate. Ho detto: datti, a me datti, Daniela mia dea Daniela dea mia, adesso che so la pietra e la terra bagnata, il sapore del sottoterra della terra tua da dentro, scoperchiata e nera, nera più nera del tuo drappo polare, adesso che imparo a sprofondare e il suo ritorno, adesso che non so più parlare dire ma gorgogliare, il suono le sillabe le lettere del tuo nome, adesso che trasferita tagliata polverizzata, nata rinata alla tua vita immortale, distribuita alla tua voglia alla tua voce alla tua caverna, entrata dalla tua porta che apre scoperchia la terra, adesso che so cantare, io ti canto, Daniela Dalet, porta dell’età del Bronzo, geroglifico della bocca, geroglifico delle corde vocali. Ti ho detto: datti, a me datti, adesso che a te, a te sola, io mi do, Daniela mia dea Daniela dea mia. Mi hai detto:

A ˈtɛ ˈsola ˈdeku ˈda
A ˈtɛ
E ˈdei aˈe da li ˈʧeli Pa ˈɛsse Iŋˈkɔntɾa e ˈlassa ˈii
Ti ˈda de lu ˈme Ma ti ˈde ˈmuɾi
A ˈtɛ ˈsola ti ˈdeku ˈda ˈmani ki ˈdei aˈe ˈfina ki mesˈpɔni ˈsola a ˈtɛ
′Ha ‘hara
A ˈtɛ a ˈvii


La fotografia accanto al titolo è di Deborah Raimo

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