Giuliano Compagno
La morte del grande scrittore/1

Immortale Kundera

La parabola ceca della letteratura di Milan Kundera resterà come una delle tappe fondamentali del Novecento. Lo stesso autore l'ha consegnata alla fissità del tempo, scegliendo di cambiare lingua e identità. Diventando francese, un altro da sé

Se ne va Milan Kundera dopo mezzo secolo di imprese letterarie e una presenza imponente nel vasto orizzonte del romanzo europeo novecentesco. Tutti sapevano, e da ore viene ripetuto come chissà quale vanto, che in Italia lo scrittore molto dovesse alla pubblicità regalatagli da Roberto D’Agostino durante le puntate di Quelli della notte. Grazie al quotidiano citare de L’insostenibile leggerezza dell’essere, Kundera veniva amabilmente preso in giro come esponente di rilievo del vuoto intellettuale post modernista. Ciò valeva da puro effetto dell’amabile cazzeggio del programma di Arbore, che in quel caso usufruiva dei contributi di un ambizioso orecchiante dello spettacolo e del gossip. Infatti il D’Agostino era bene in grado di cazzeggiare su qualunque argomento.

Naturalmente quasi nessuno, al tempo di quella trasmissione (1984), aveva letto un rigo dei primi romanzi di Kundera, e dunque del suo trittico cecoslovacco: Lo scherzo, La vita è altrove e Il libro del riso e dell’oblio. Tre opere in sei anni, con cui si raccontavano le esistenze di protagonisti sempre legati ai guasti civili e sociali del comunismo sovietico.

Nel 1967 Kundera è un insegnante sulla quarantina, con trascorsi di convincimento nei confronti del socialismo reale. Gli basteranno pochi mesi, del resto, per sorprendersi entusiasta dinanzi al sorgere della Primavera di Praga, il che verrà pagato personalmente a caro prezzo: perderà il lavoro, verrà controllato e seguito, lo si calunnierà alla stregua di un delatore… finché un bel giorno egli sceglierà la via dell’esilio.

È la Francia ad aprirgli le sue porte migliori, come farà con lo scrittore albanese Ismail Kadaré nel 1990, nel senso che una voce libera la si accoglie e la si protegge sempre. Del resto, il valore delle tre opere appena citate non stava in una qualche testimonianza militante, bensì in un approccio critico al potere che a esso saprà rivolgersi, con forza metafisica, lo scrittore. Si tratta ad esempio della lotta della memoria contro l’oblio di quello stesso potere; oppure viene fatta allusione alla totale insignificanza della volontà prevaricante sul singolo, inerme cittadino; infine si rifletterà, a cose disfatte, sull’inutilità di rapportarsi a un esercizio del Male a tal punto povero di ironia e di idee.

«Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere, potremmo essere suddivisi [per] categorie […] E ve n’è una, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori».

Questa frase resta, nella sua semplicità, come una traccia di liberazione dello scrittore dal suo passato pesante, spesso riferito alla struttura umana, piuttosto che alla sua entità.

Il suo periodo cèco ha termine nel 1988. Già da qualche anno Kundera non è più cittadino del suo paese natale, bensì francese per meritoria decisione di François Mitterrand. Quel suo rinnovato passaporto di scrittore lo indurrà a scrivere, dopo L’insostenibile…, il suo romanzo più maturo, più elevato e più distante dall’umanità fallita: L’immortalità, titolo originale Nesmrtelnost, per l’ultima volta in cèco, idioma che egli si lascerà alle spalle per ripetere a se stesso che quella “casa dell’essere” non è più sua. E per dividersi creativamente tra la passione, il ricordo e la memoria perpetua, dove si muoveranno personaggi inventati o realmente esistiti, quali erano Agnes e Goëthe.

«Molta la gente, pochi i gesti.
Vivere: portare il proprio io dolente per il mondo. Ma essere, essere è felicità. È trasformarsi in una fontana, in una vasca di pietra, nella quale l’universo cade come una tiepida pioggia.
Solitudine: dolce assenza di sguardi».

Sono poche citazioni recuperate in rete, di notte. L’immortalità, questo capolavoro di Kundera, fu un libro terminato davvero. Fu un’opera la cui parola fine era risuonata esattamente dopo l’ultimo punto, senza a capo.
Non ve ne sarà, a tutti gli effetti, un successivo.

Con La Lenteur Kundera esordirà in lingua francese, e sarà un altro scrittore. Una parentesi biografica mai chiusa, un’altra dimora letteraria, un nuovo nome e un nuovo cognome che rimarranno in un altro scaffale.

Non si può vivere né sentire, né scrivere in due lingue differenti; perché nell’una ci siamo noi con la nostra vita, i sentimenti e la scrittura, che lasciamo alla perpetuità la memoria che ci appartiene. Nell’altra lingua c’è tutta un’altra esistenza.

Ecco perché credo, con un po’ di commozione, che la notizia sia destituita di ogni fondamento. Milan Kundera, lo scrittore cecoslovacco de L’immortalità, non è morto. Né ieri né mai.

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