Roberta Passaghe
A proposito di "Sabbie"

Vite da spiaggia

Il nuovo romanzo di Gianni Caria esplora, in parallelo, le vite di un venditore ambulante e di una donna che fa massaggi in spiaggia. Un modo per raccontare (anche) i luoghi comuni che riempiono la nostra quotidianità

Percorrono ogni giorno la stessa spiaggia cercando di trovare clienti e sbarcare così il lunario, coi massaggi lei, vendendo teli da mare e merce da poco lui, ma non si conoscono. Lu e Pape condividono però anche dell’altro, oltre alla spiaggia, un ulteriore elemento fulcro della narrazione che li vede al suo centro: un passato su cui fare chiarezza. E se la storia di Pape è apparentemente meno intricata di quella di Lu, entrambi rivivono con la stessa intensità, nell’arco di una calda giornata, i ricordi di una vita nel tentativo di sciogliere le rispettive matasse. La trama di Sabbie di Gianni Caria (Il Maestrale, 284 pagine, 20 euro), pur con inaspettati colpi di scena, non è particolarmente avvincente e, a tratti, è di facile prevedibilità. Non è, però, da considerarsi né banale né scontata: Caria, partendo dall’espediente del viaggio a ritroso, fa imbastire ai protagonisti un lungo dialogo tra il loro ieri e il loro oggi, sfruttando anche gli incontri, casuali e non, che dispone per i due.

Proprio attraverso questo espediente, l’autore gioca con una scrittura che si fa via via sempre più asciutta e precisa. Infatti, se si escludono esempi come Il pensiero rende Lu sconsolata e rassicurata. Preferisce essere imbrogliata anziché imbrogliona, preferisce che la sua onestà abbia un prezzo. Ecco, se lo dice forte: la mia onestà! o I pensieri sono pericolosi, si trasformano in sogni e desideri, e quei bambini non sarebbero dovuti andare oltre i confini della strada con la loro immaginazione, ci sono poche inflessioni verso il patetismo e i momenti di maggiore intensità emotiva sono retti da un netto distacco. È, fra gli altri, questo elemento a fare del romanzo una lettura agile, divertente (L’acqua l’attira ma lei è in servizio, le viene da pensare. Si è mai vista una massaggiatrice cinese che si scaraventa in mare nel mezzo del lavoro? Una grave caduta di professionalità) e scorrevole, fatta eccezione per passaggi farraginosi o frasi involute come La memoria è l’eco permanente del ricordo vissuto in prima persona o condiviso con chi l’ha vissuto.

Sabbie è perciò un lavoro su cui porre l’attenzione e vale la pena segnalare il tentativo, che sia riuscito o meno lo stabiliranno lettori e lettrici, di scardinare alcuni dei più comuni stereotipi (Sei orientale e sei brava in matematica, pensa la gente che non sa. Sei nera e sei brava a ballare. Sei zingara e rubi) che investono chi di professione fa, come qui, l’ambulante o la massaggiatrice. Non ci sono drammi insistiti, tanto per dirne una, e le vicende umane ruotano sì attorno a qualche situazione irrisolta, ma mancano, fortunatamente, elementi di forzata tragedia. Non lo si dia per ovvio: quando c’è da raccontare le storie altrui, soprattutto se ci sono come sfondo famiglie adottive, percorsi di migrazione o sfumature possibili dell’umiliazione (L’umiliazione è una manifestazione della disarmonia. La degradazione da un ruolo in un gruppo è umiliante se non risponde alle regole; se vi risponde è la conferma di un ruolo condiviso), cedere alla tentazione del sentimentalismo è più che mai semplice. L’autore, invece, è capace di normalizzare e si tiene lontano dal melodramma raccontando in maniera credibile le difficoltà quotidiane di chi si arrabatta, sia esso spinto da necessità economiche o dal desiderio di scoprire qual è il proprio posto nel mondo.

A volergli trovare un vero difetto, una delle varie sottotrame parallele, riferita a una situazione di spaccio, manca di sviluppo e viene abbandonata in favore di altri svolgimenti. Non ci sarebbe niente di sbagliato nel lasciare alla curiosità di chi legge spazio per colmare i vuoti, del resto è in Sabbie pratica estesa, ma stavolta la via intrapresa è destinata a essere controproducente: la vicenda è stata data come potenzialmente cruciale. Che sia un modo voluto di creare un inganno? Il sassarese ne ha certo le doti ma la scelta suscita delle perplessità. C’è, infine, da segnalare il conseguito intento di approfondire le complessità personali, conferendo così ai personaggi spessore e carattere in una narrazione che scava nelle ambiguità individuali.


La fotografia accanto al titolo è di Giuseppe Grattacaso

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