Roberto Mussapi
Every beat of my life

Don Juan reinventato

È un simpatico buffone, secondo Byron, il personaggio di Tirso de Molina che, nonostante la mitologia che lo circonda, non raggiunge la grandezza di Ulisse o di Amleto. Se non, appunto, nei versi del poeta inglese, che evocano Ariosto e Pulci

Don Giovanni è uno dei miti per me più deboli, questa figura di seduttore che adombrerebbe disperazione e nulla, in una genesi ultraspagnolesca, non diviene un mito capace di emozionare e accrescere la conoscenza dell’anima, che è il mestiere di un mito.
A parte i due irraggiungibili, Ulisse e Amleto, Don Giovanni non ha forza paragonabile a altri miti, da Moby Dick a Scrooge del Racconto di Natale di Charles Dickens, dall’Isola del tesoro a Pinocchio, da Romeo e Giulietta al dottor Faustus, a D’Artagnan, a Harry Potter.
Certo, rispetto all’originale di Tirso de Molina, conosce una versione straordinaria in Mozart, che ispira anche al librettista una fusione tra la satanica arroganza del personaggio e una certa comicità nella vicenda: ma Mozart è genio della musica, e farebbe un capolavoro persino partendo dai Promessi sposi di Manzoni.
Chi prende il mito Don Giovanni, lo rigenera, ne crea un altro, emozionante, vero (i miti devono essere veri, non sono letteratura, ma anima) è George Gordon Byron. Il suo Don Juan è un capolavoro, considerato uno dei due massimi poemi inglesi accanto al Paradiso perduto di Milton. Ariostesco, comico, ridente, è scritto in ottave, come l’altro suo capolavoro, Beppo: Byron, trasferitosi a Venezia, innamorato della città e della nostra poesia, studia e inventa in inglese l’ottava di Ariosto e Pulci, crea un genere che non esisteva. E qui ne vediamo due ottave, ove Don Juan si abbandona al suo allegro, non prepotente, ma ridanciano delirio di avventuriero buffone, un po’ Falstaff un po’ caracollante cavaliere ariostesco.

E le piccole crepe sulla spiaggia
sembrano champagne, quando trabocca
effervescente fuori dal bicchiere,
rugiada dello spirito e del cuore!
Non c’è niente di pari al vino vecchio,
predichi pure chi vuol predicare.
Subito vino, e donne, e gioia, e risa,
prediche e acqua al seltz il giorno dopo.

Poiché pensiamo dobbiamo ubriacarci,
il meglio della vita è nella sbornia.
Gloria, uva, amore e oro hanno affogato
i sogni di uomini e di genti,
i sogni di umani e di popolazioni,
sarebbe secco senza quella linfa
l’albero capriccioso della vita.
Ma riprendiamo: ubriacatevi molto,
e mettete nel conto il mal di testa.

George Gordon Byron

Da Don Juan, traduzione di Roberto Mussapi

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