Anna Camaiti Hostert
Cartolina americana

Lezione di violenza

In risposta ai 37 capi di imputazione relativi al furto di documenti riservati, Trump inneggia alla violenza di piazza: “Perché continuiamo a parlare, invece di trascinare le élite politiche fuori dalle loro case e dar loro fuoco?”. Si salverà, l'America?

Mentre scrivo la CNN sta mandando la reazione di Donald Trump ai 37 capi di imputazione del procuratore speciale Jack Smith in relazione ai documenti secretati, rubati e recuperati nella sua villa di Mar-a-Lago in Florida lo scorso agosto. Ad aggravare la sua situazione c’è una registrazione del 2021 in cui l’ex presidente ammette di avere trafugato documenti “classified” che non aveva de-secretato. Imputazioni che potrebbero portarlo addirittura all’arresto. Ma che non sembrano rallentare i suoi sforzi di correre per la Casa Bianca nel 2024.

La prima affermazione dell’ex presidente, immediatamente dopo essere venuto a conoscenza delle imputazioni è stata il definire Jack Smith uno “squilibrato”, il Dipartimento di Giustizia (DOJ) il Dipartimento di Ingiustizia e, successivamente, come sua abitudine, incitare alla violenza. Un’attitudine che, come si sa, è alla base dei pericolosi fatti del 6 gennaio 2021 che portarono all’attacco a Capitol Hill. Allora, vale la pena ricordarlo, un numero imprecisato, ma abbastanza imponente di suoi sostenitori ha sferrato un colpo ferale alla democrazia degli Stati Uniti, mettendo a ferro e a fuoco il suo Parlamento.

La pericolosità di Trump risiede oltre che nella sua totale incapacità di giocare pulito e nella sua mancanza di etica e di correttezza politica, soprattutto nella sua ripetuta incitazione alla violenza. Che, come vedremo, è qualcosa che gli appartiene fin dall’inizio della sua carriera sia negli affari che in politica. Qualcosa che quando è di fronte a un possibile attacco o pericolo gli viene naturale invocare e che apprese a suo tempo dal suo mentore Roy Cohn, avvocato senza scrupoli che si formò con il senatore Joseph McCarthy, famoso per il periodo di terrore e di violenza contro una inesistente minaccia comunista. Cohn, tra i tra i tanti suggerimenti che dette a Trump, caldeggiò in particolare, di fronte a una minaccia imminente, di attaccare per primi, possibilmente con virulenza e senza assolutamente preoccuparsi delle conseguenze sugli avversari.

Come ho avuto modo di scrivere assieme a Enzo Antonio Cicchino nel libro Trump e moschetto dove paragonavamo Donald Trump a Benito Mussolini, l’attaccare usando la violenza e incitando i sostenitori a praticarla appartiene tanto all’ex presidente degli Stati Uniti quanto in maniera assolutamente speculare al dittatore nostrano che ne fece uno strumento quotidiano per raggiungere i propri obiettivi politici. Così, fedele a questo costume, successivamente all’annuncio dei capi di imputazione, Trump inneggia alla guerra civile e al forum di MAGA (Make America Great Again) afferma: “Perché continuiamo a parlare, invece di trascinare le élite politiche fuori dalle loro case e dar loro fuoco?”. E i commenti dei suoi sostenitori in risposta a questa domanda retorica non si sono fatti attendere: “Il solo modo per rendere questo paese davvero fedele alla costituzione sarebbe quello di giustiziare pubblicamente quelle migliaia di topi traditori” ha scritto qualcuno. E un altro dal fantasioso nome di DogFaceKill fa presente che ha della corda in garage che potrebbe servire all’uopo. Infine un altro scrive: “non devono necessariamente essere migliaia, ne bastano una dozzina”, mentre qualcun altro parla di genocidio di milioni.

Ma il pensiero di un conflitto fratricida, come scrive Tim Dickinson su Rolling Stone di sabato 9 giugno era nella mente di Trump quando ha parlato di “HUGE MISTAKE” nei confronti della sua condanna, lasciando trapelare una velata minaccia, ma anche quando ha incitato “alla guerra civile, alla violenza, alla punizione”. I consensi di nuovo non si sono fatti attendere e anche in questo caso sono stati molto forti. Si è parlato di “creazione del caos”, di “fine della calma” e di “inevitabilità della guerra civile che ormai è dietro l’angolo”. Infine qualcuno ha scritto che “per invertire il corso marxista del paese, bisognerebbe che Trump chiamasse i suoi sostenitori ad annaffiare l’albero della liberta di cui parlava Thomas Jefferson con il sangue dei patrioti e dei tiranni”.  Il linguaggio è molto evocativo, ma anche molto esplicito e diretto. E molto pericoloso!

In un articolo del marzo scorso sul Washington Post Aaron Blake ci ricorda che nel patrimonio genetico di Donald Trump la violenza c’è sempre stata. Anche quando il procuratore di Manhattan Alvin Bragg lo incriminò per aver pagato la pornostar Stormy Daniels, Trump tuonò dicendo che tutti sapevano che era innocente e che Bragg semplicemente “portava a compimento i piani di quei pazzi della sinistra radicale. Mentre il nostro paese viene sistematicamente distrutto, loro ci dicono di rimanere pacifici!” E successivamente a queste parole in un post si fece fotografare con una mazza da baseball accanto a una foto di Alvin Bragg, mentre il giorno dopo esplicitamente parlò di atti concreti quando abbinò una sua possibile condanna ad “esplosioni di violenza e distruzione”. Seppure non istigando direttamente i suoi sostenitori alla violenza si fece fotografare vicino a una polveriera con in mano un cerino a cui dava fuoco.  Dopo essere stato bandito da Twitter a causa dei fatti del 6 gennaio, ha fondato Truth Social che viene seguita dal 2% degli americani di stretta osservanza conservatrice a cui l’ex presidente si rivolge direttamente, mandando messaggi incendiari come quello di inscenare una protesta nel caso di un suo arresto. La violenza fisica è sempre stata presente nel suo background e l’ha sempre incoraggiata tra i suoi sostenitori per difendere le sue crociate personali. Ad esempio sulla sua piattaforma ha condiviso la frase di un suo supporter a proposito di coloro che vorrebbero escluderlo dalla corsa per la presidenza: “dovranno battersi fisicamente contro 80.000.000 e + perché questa volta (*si riferisce alle affermazioni di Trump riguardo al fatto che la presidenza gli è stata rubata dai democratici) non succederà di nuovo. Gente della mia età anche più anziana lotterà fisicamente per lui questa volta. Cosa abbiamo da perdere? Regalerò il resto del mio tempo qui sul pianeta a questo. E so che molti, molti altri provano lo stesso sentimento. E noi siamo pronti e carichi anche di armi”.

E dopo le incursioni dell’FBI nella villa di Mar-a-Lago l’estate scorsa, Trump ebbe a dire: “Adesso accadranno cose terribili. La gente è arrabbiata per come mi trattano”. Senza parlare di quello che disse in occasione del 6 gennaio quando parlò del raduno a Capitol Hill incitando i suoi fan:” Sii là. Succederanno cose forti e violente’. E ancor prima nel 2019 ebbe a dire a proposito dell’identità dei suoi elettori: “Ho il supporto della polizia, dei militari, e dei motociclisti per Trump. Ho gente tosta, ma non giocano duro fino a che arrivano a un certo punto. Allora il gioco si farà duro, molto duro”. E ancora oggi continua a far credere che la violenza possa essere una risposta credibile ai problemi del paese. Senza capire che, come una volta ebbe a dire in un’intervista a Charlie Rose, Clint Eastwood; “violence begets violence”. E proprio allora è l’inizio della fine!


Accanto al titolo, fotografia con licenza creative commons.

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