Filippo La Porta
Lettera aperta

Socrate o Berlusconi?

Lo scrittore Andrea Di Consoli ha scritto un (imprevedibile) elogio di Silvio Berlusconi chiamandolo colui che ha fatto uscire l'Italia dagli Anni di piombo! Gli risponde Filippo La Porta: perché confondere la "leggerezza" con il primato della merce e del cattivo gusto?

Caro Andrea Di Consoli, apprezzo la tua onestà intellettuale e la tua ruvida schiettezza nel demolire certa retorica di sinistra, anche sapendo che alcuni valori della sinistra li condividi. Ma quando ho letto in un tuo articolo sul Tirreno che dovremmo riconoscere un merito a Berlusconi (che peraltro hai spesso criticato), e cioè che negli anni ’80 con le sue televisioni (prima rete fu “Telemilano 58”) e la sua “allegria” sfrontata ha celebrato il dovuto funerale agli anni di piombo, portandoci fuori da una orribile e criminosa cappa ideologica, beh, ti confesso che ho avuto un sussulto. Davvero Berlusconi ha dato forma a un bisogno di modernità? Ma che razza di modernità può essere quella di un immaginario intasato solo ed esclusivamente da merci, quiz, competizioni calcistiche, barzellettieri di villaggi turistici e trasmissioni scollacciate? È un immaginario asfissiante, degno dello stato di Parapagàl di Gadda, una modernità becera, del tutto priva di quelle cose come responsabilità civica, senso del dovere e del decoro, serietà morale, rispetto dei deboli, etc, che fanno grandi le nazioni. Quanto diversa, Andrea, da quella che tu, io, i nostri stessi genitori e tanti altri abbiamo sognato. Non merita neanche una sola nostra parola di comprensione, credimi.

Ora, abbi pazienza, la prendo un po’ alla lontana.

Socrate, condotto dai suoi allievi al mercato di Atene, ripieno di merci, pare sorridesse tutto il tempo con aria visibilmente soddisfatta, sfilando tra i banchi. Quando alla fine gliene chiesero le ragioni rispose: “Sorrido pensando a quante sono le merci di cui non ho bisogno” (Diogene Laerzio). Probabilmente lì nasce il pensiero critico in Occidente. Da uno sforzo di immaginazione antropologica e da un piccolo atto di “disobbedienza”, anche solo mentale, agli imperativi del mercato. Personalmente non mi sento un nemico della modernità e neppure della civiltà di massa, come invece grandi autori di destra (di quelli che ahinoi legge solo la sinistra: Ortega y Gasset, Hamsun, Eliade, Guenon….). Ricordi Elemire Zolla, lo studioso di mistica nauseato dalla società moderna? Flaiano ne scrisse un fulminante aforisma: “Elemire Zolla? / Preferisco la folla”. Non ho la smania di distinguermi, mi piace confondermi con la maggioranza delle persone: andare al mare la domenica, o al cinema – quando andavamo al cinema – il sabato sera. Come tutti gli italiani che si trovano a New York commento anch’io, con aria ottusamente eccitata, che è una città che “ti dà tanta energia”. Adoro l’iPhone e la Tesla elettrica, sono felice di vivere nell’epoca in cui è stato inventato Internet. Però ogni tanto mi capita pure di pensare, visitando uno shopping mall, di quante merci non ho bisogno. Capita anche a te? Si tratta di un esercizio immaginativo fondamentale, direi “ecologico”. Berlusconi, e tutto ciò che rappresenta, vieta un esercizio del genere. O meglio, se provi a farlo ecco che diventi uno sfigato, perdipiù rancoroso. Non devo ricordare a un meridionale come te, dunque con la tua vocazione per la felicità, che nella vita le cose più belle non si comprano: amore, amicizia, convivialità, libera fruizione delle opere d’arte, contemplazione della natura, illuminazioni interiori… Ecco, non occorre diventare fan di Pasolini per riconoscere che in Italia oggi non riusciamo neanche a immaginare una felicità diversa dal possedere qualcosa, dal consumare, dall’acquistare, etc, insomma una vita diversa da questa.

A me quel bacio del cofano della Ferrari appare come triste epitome dell’uomo a una dimensione del nostro tempo. Altro che edonismo! Non dico che quest’uomo deve leggere Proust, ascoltare Mahler e vedere l’ultima mostra di Rothko. Dico semplicemente che non si pone più alcuni interrogativi fondamentali sull’esistenza, sul valore delle cose che durano, sul destino (individuale e della specie), su ciò che davvero rimane e merita di durare, sul nostro rapporto con il passato dell’umanità. Negli anni ’70 accanto al piombo e al conformismo ideologico ricordo che questi interrogativi ancora venivano posti, sia pure confusamente. Le famigerate “assemblee” non erano solo luogo di prepotenze e gregarismi: discutevamo fino a estenuarci, e soprattutto consideravamo questo modo di vivere come un fatto storico, dunque non immodificabile, non eterno. Nessuno ostentava la ricchezza, e anzi un poco se ne vergognava, sapendo dentro di sé che essa dipende molto dal caso, come si riteneva nel Medioevo, molto prima del calvinismo. Le persone che non avevano potuto studiare manifestavano una ammirazione quasi devota per i libri e la cultura, mentre oggi manager di successo si fanno un vanto di non leggere. Quanto ai soldi, sarà stata pure una forma di fanatismo da protocristiani vendersi la casa per la Rivoluzione, come allora succedeva, ma prova oggi a chiedere un prestito a un amico?

Non è che Berlusconi ha fatto il funerale agli anni di piombo. No, si è solo sintonizzato sul bisogno – ossessivo – di intrattenimento e di evasione degli italiani. Ma, al contrario di te, Andrea, non credo si tratti di una “nuova stagione della società italiana”. Quel desiderio di intrattenimento noi ce l’abbiamo nel sangue dal tempo del famoso saggio di Leopardi sul carattere nazionale. Divertirsi da morire – il motto della appagante distopia creata da Huxley – è il primo articolo della nostra Costituzione non scritta. Sempre Flaiano diceva che agli italiani piace solo ridere e far ridere: una coazione alla commedia che appartiene al nostro DNA e che Berlusconi ha saputo, questo sì, reinterpretare tempestivamente. Gli anni ’70 furono una cesura, a volte gioiosa e altre volte troppo seriosa, un tentativo di contro-narrazione, però andato a male (anche se il paese, te lo assicuro, non era come dici “sommerso dai volantini delle BR”, io non ne ho visto mai nessuno!). Dopo potevamo pure tornare tutti, senza sensi di colpa, ai quiz e alla Rai degli anni ’60, quella che secondo l’allora direttore Bernabei considerava gli spettatori bambini un po’ cretini. In questo momento le uniche “parole cupe” che mi vengono in mente sono quelle che Berlusconi, con l’aria di chi improvvisa una irresistibile boutade, rivolse a Rosy Bindi: “Se lei fosse intelligente come è avvenente…”. So che fanno schifo anche a te! Credo che questo sarcasmo gaglioffo contenga un “estremismo” che non appartiene più agli italiani, perciò Berlusconi non poteva governare a lungo. Non siamo veramente estremisti. L’unica veridica autobiografia della nazione è stata la Democrazia Cristiana.

Prima di concludere, due immagini simmetriche a confronto.

Roma, primavera del 1983, Elsa Morante a piazza del Popolo con un gruppo di suoi giovani adoratori (tra cui io). Mentre passa una Ferrari la scrittrice si rivolge a noi e quasi impreca: “Ecco, la vedete, dovete capire solo una cosa: che è merda”. Allora ci parve una esagerazione retorica. Ah questi scrittori che elogiano povertà e stili di vita austeri (ricordo anche un articolo di Parise sul “Corriere”), dall’alto delle loro esistenze piene di innegabili privilegi! 

Roma, primavera del 2023, Matteo di Casal Palocco – il ragazzo ora indagato per omicidio e lesioni stradali – regala al padre una giornata di noleggio di una Ferrari. Il padre, preso da euforia, non smette di ringraziarlo e si inchina a baciare il cofano della macchina, mentre qualcuno lo filma. Mi sono ricordato di quella “moralistica” invettiva di Elsa Morante. Ecco: baceresti la merda? Forse qualcosa di quella radicalità della Morante andrebbe pur conservato. Infine, Andrea, a me – come a te – sta a cuore la “leggerezza”. Ma forse la vera leggerezza nasce dal suo contrario (anche questo ce lo ha insegnato Socrate), dal senso del tragico, che miracolosamente a volte si ribalta nel gioco, nel sorriso sul mondo. Altrimenti è una leggerezza di piombo. O no?


Accanto al titolo, il cast di “Drive in”, edizione 1985, da Wikipedia.

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