Loretto Rafanelli
La poesia di Jan Wagner

Verità sospese

Leggendo i versi del poeta tedesco, insignito del Premio Internazionale di Poesia Città di Pescara, «pare essere di fronte a una scena alla Bruegel, in cui tutti si adoperano a rappresentare il proprio mondo fatto di cose comuni». Con salti creativi che vedono oltre

Domani, 26 maggio verrà attribuito il Premio Internazionale di Poesia Città di Pescara al tedesco Jan Wagner (nell’ambito del Concorso Nazionale Sinestetica, Premio Miscia Cecconi, organizzato dal Centro di poesia e altri linguaggi), che negli anni (dal 2018), ha riconosciuto meritevoli di tale onore Valerio Magrelli, il lussemburghese Jean Portante, il cubano Víctor Rodríguez Núñez, la brasiliana Márcia Theóphilo e il francese Serge Pey. Parliamo di un poeta nato nel 1971, vincitore di numerosi prestigiosi premi in patria (Hölderlin, Büchner, Fiera del libro di Lipsia) e all’estero. Certamente oggi è da annoverare tra i primi poeti tedeschi, ma la sua dimensione è ormai internazionale, essendo tradotto in quaranta lingue. In Italia conta alcuni libri tradotti, con particolare resa, dal poeta e germanista Federico Italiano. Ricordiamo: Variazioni sul barile dell’acqua piovana (Einaudi) e Autoritratto con sciame d’api(Bompiani). 

Una prima traccia di quale sia la poesia di Wagner la fornisce lo stesso Italiano, allorché sottolinea che vi è in questi versi «una crepitante sequenza di immagini e di parole che si ricongiungono tutte fra loro, ma non immediatamente. C’è lo spazio di una sospensione e, quasi sempre, di una sorpresa». E la sorpresa non è tanto quella di trovare animali, piante, persone deprivate e angosciate, piuttosto il respiro lieve di un vento che incornicia come un velo di mare le nostre fatiche quotidiane. E rilascia così alcune verità sospese o nascoste. Con segni di ironia e di gioia, di umana solidarietà, di curiosità, di speranza, di labirintica attenta visione, di incerta catalogazione. Come in questo scorcio veneziano, fitto di interrogazioni e appeso a uno sguardo sorpreso e confuso: «cosa canta la donna al balcone? e le coppie/ al parapetto di cosa mormorano,/ le gondole dove vanno? rode un dubbio/ in uno di quei preti, e di quale terra narrano/ e quelli là in ascolto, cosa indica quell’uomo/ col bastone, con l’appassita felce di piume/ sul cappello? le mantelle gridelline/ dei bellimbusti sulla chiatta nuziale…». Pare essere di fronte a una scena alla Bruegel, in cui tutti si adoperano a rappresentare il proprio mondo fatto di cose comuni, minute attività, relazioni, passaggi, eppure è un mondo colmo di curiose incognite, di segmenti indefiniti, di giornate piene di ombre e di luci. 

Jan Wagner

Eppure mai Wagner relega la sua poesia a un piccolo racconto minimalista, come troppo spesso avviene nella poesia odierna. C’è sempre nella sua lingua un salto creativo, un vedere oltre le cose, il sospirare una profondità che è fatta sì di meditazione, ma pure tende al fantastico, all’irreale che ci sta accanto, o quel vedere qualcosa che è ripiegato solo nel retro del nostro occhio, come in questi versi: «depositammo i bagagli/ e divenimmo voliera./ bufere d’inverno, una stanza,/ avvitata più in alto dai gabbiani,/ e di fronte nel parco/ le palme annuivano, annuivano/ come colli di cavalli al vento. un porto per gli yacht metteva in guardia/ dagli squali ed il ferry nella baia/ incrociava la propria ombra, balena». Wagner è un cesellatore raro, è un attento “pirata” della lingua, dove tutto può rientrare, dalle situazioni di tutti i giorni alle visioni più elevate. Ma sempre la parola si staglia nel confronto con il mondo e lo descrive e ne fa parte con i suoi lati chiari e oscuri. 

La curiosità non è forse una categoria poetica, ma nella poesia di Wagner diviene qualcosa di ineliminabile, tanto egli indaga e segue i mille rivoli dell’esistenza collettiva e di ogni individuo, sì proprio di ogni individuo, affamato come egli è di scoprire ogni verità nascosta. La poesia di Wagner non diviene però mai pesante sentenza, o giudizio, eppure proprio questa leggerezza ci rincorre con mille spiegazioni possibili, e mai stanca il lettore che avverte una via libera nelle interpretazioni, seppure egli figuri come dice Italiano: «i vagabondi, i clochard i repellenti, in un gioco di contrasti su cui costruisce molta della sua poesia».

Pensiamo che Wagner sappia bene che la poesia si deve porre su una via di conoscenza, ma anche che non possa “scansare” la sua quota di mistero, di sospeso accesso all’indeterminato, nell’alveo comunque di una inquietudine, che sempre l’attraversa. Ma mai essere indifferenti, non solo verso gli altri, ma rispetto alla natura, agli animali, alle cose. E la memoria non è un vaso vuoto, ma ci deve ricordare anche qualcosa di incancellabile, come nel caso di Sarajevo, con i suoi noti fatti, che Wagner declina con queste delicate parole: «il decimo cimitero bianco/ su uno di quei versanti/ è un insieme/ di arnie: raccogliete/ il miele, animaletti laboriosi,/ minuscoli morti».

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