Roberto Cavallini
Al Museo di Roma in Trastevere

L’Italia di Peggy

Una bella mostra rende omaggio alla fotografa (amatoriale) Peggy Kleiber, artista svizzera innamorata dell'Italia che ha raccontato in bianco e nero i mondi di Danilo Dolci e di Pier Paolo Pasolini

È una esperienza sorprendente, specialmente per un italiano ed ancor più per un romano, quella che si vive davanti alla visione di 150 fotografie, esposte al Museo di Roma in Trastevere, di Peggy Kleiber fotografa amatoriale, nata il 25 giugno del 1940 a Moutier in Svizzera, che nel 1961 frequentò la Hamburger Fotoschule, ma che poi, dalla fine degli anni ’70, scelse la professione di insegnante e tenne per sé l’archivio di migliaia di fotografie scattate tra la fine degli anni ‘50 e gli anni ’90.

La scoperta di Peggy Kleiber come fotografa arriva nel 2015 dopo la sua morte, quando la famiglia, già celebrata attraverso lo splendido ciclo delle foto di famiglia, racchiuse nel libro autoprodotto “Rue Neuve 44 Cronaca della vita familiare 1963-1983”, decide di rendere pubblico il vasto patrimonio culturale e iconografico, in cui vita privata e vita sociale s’intersecano senza soluzione di continuità. Un patrimonio che era custodito in due enormi valigie contenenti 15.000 fotografie scattate quotidianamente dal 1959 al 1992.

Peggy Kleiber è cresciuta in una famiglia numerosa e vivace, tra poesia musica e letteratura: neanche ventenne inizia a fotografare con una Leica M3, una fotocamera silenziosa, discreta e agile che le consente di non essere invadente nei confronti dei soggetti o della scena da riprendere. Si cimenta prevalentemente con l’approccio in voga in quegli anni di bressoniana memoria, ovvero l’image a la sauvette, prima porgendo l’attenzione alla sua famiglia e successivamente aprendosi al mondo circostante, viaggiando in tutta Europa, Parigi, Praga, Amsterdam, Leningrado per citare alcune delle destinazioni, ma è soprattutto all’Italia, quasi una patria d’elezione per lei, che dedica uno sguardo più approfondito.

La mostra, esposta dal 19 maggio, sarà visitabile fino al 15 ottobre 2023, al Museo di Roma in Trastevere, è stata realizzata dalle associazioni culturali Marmorata 169 e On Image con la collaborazione dell’associazione Les Photographies de Peggy Kleiber.

Sono esposte stampe vintage, originali dell’autrice, album di famiglia e un video che ripercorre la scoperta dell’archivio attraverso materiali inediti e filmati Super8 di famiglia.

La mostra consta di due sezioni, in una ci sono le fotografie che Peggy ha realizzato negli anni alla sua famiglia, sia nei momenti ufficiali, durante matrimoni o nascite, sia durante momenti di spensierata quotidianità, ben rappresentati da stampe di piccolo e medio formato realizzate su carta lucida come imponeva il gusto del tempo e piace immaginare Peggy alle prese con la smaltatrice (lo strumento per lucidare la carta fotografica) dopo l’operazione di stampa manuale in camera oscura, mentre nell’altra sezione sono presenti le fotografie dedicate ai viaggi.

Soprattutto all’Italia.

Soprattutto a Roma.

Il rapporto della fotografa con l’Italia è il frutto di un doppio innamoramento, il primo nasce quando giovanissima si approccia allo studio della letteratura e dell’arte che la colpiscono particolarmente ed il secondo dal 1958 quando verrà di persona a scoprire il paese tanto immaginato.

Non aspettiamoci panorami e monumenti, l’approccio fotografico della Kleiber è fortemente mediato da un filtro culturale che la porterà a sperimentare nuovi itinerari che, seppur non ignorano gli aspetti artistici, come in Umbria ed in Toscana, hanno comunque una connotazione di impegno sociale molto marcato.

Sicilia, 1963

In Sicilia incontra Danilo Dolci che aveva già conosciuto in Svizzera e che ritrarrà in alcune sue preziose fotografie durante gli “scioperi alla rovescia” (Il 2 febbraio del 1956, l’allora giovane sociologo triestino non violento, organizzò nell’entroterra siciliano, a Partinico, lo “sciopero alla rovescia” di un migliaio di contadini, operai, intellettuali e disoccupati che invece di astenersi dal lavoro per un giorno, lavorarono gratis per sistemare una strada pubblica).

In Sicilia la sua fotografia esplora anche momenti d’intimità. Si lascia sedurre dai bambini di Partinico, entra nelle case e riesce a cogliere semplici momenti di vita, scene e sguardi di sole donne che s’intrecciano e che segnano la vita di Peggy. È come se quelle foto avessero instaurato un dialogo a distanza con le foto scattate negli stessi anni alla sua famiglia d’appartenenza. Non dimentichiamo che la Kleiber non usa un’attrezzatura ridondante e con l’obiettivo che utilizza e che ripropone la prospettiva dell’occhio umano non si generano effetti distorsivi utilizzabili a fini espressionistici. La distanza o meglio la vicinanza che percepiamo osservando la foto è quella che intercorreva tra la Kleiber e il soggetto dell’immagine.

È con Roma che Peggy stabilisce un rapporto ancora più stretto. Roma è la meta prediletta che visita in più occasioni soprattutto negli anni ’60. Peggy si dimostra sin da subito attratta non tanto dalle mille luci della “Dolce Vita”, quanto dalle quelle zone del Centro Storico ancora legate alla “vita dei romani”. Il suo è un vagabondare “sorpreso e sospeso” alla ricerca di spazi di silenzio, in orari spesso insoliti: Santa Maria Maggiore, le basiliche sull’Aventino, i parchi urbani, le scalinate e le vie solitarie che risalgono Colle Oppio, il Gianicolo, il Pincio, nonché i luoghi brulicanti di vita autentica e di antichi mestieri come i vicoli di Trastevere, dove incontra le donne e i bambini, suoi soggetti privilegiati. Leggiamo in una delle lettere indirizzate alla famiglia: «Le meraviglie di Roma sono gli incontri, i volti, i giochi dei bambini (quasi selvaggi), il marciapiede, il suono delle fontane – l’aria, la luce e soprattutto questa incredibile sinfonia di colori e infinite variazioni di ocra (…) Al calar della notte, nelle strade di Roma, profumo di caffè, odori di cena, gas per auto e sigarette italiane. Mettetevi in testa che “non c’è altro popolo” che quello romano».

Roma, 1964

La sua curiosità non si esaurisce con la vita del centro storico, una vita vera non ancora alterata dal turismo di massa e si spinge verso periferie antropologicamente lontane dalla sua origine sociale, dal Tuscolano a Valle Aurelia, da Pietralata a Marconi a lungotevere degli Inventori, ma che lei ricerca probabilmente influenzata dagli scritti e dai film di Pasolini.

«Quello che s’impone a Roma è camminare. Vedrete, arriverete ovunque, secondo un ritmo che le strade sembrano avere impresso (…) E poi la periferia, un mondo da vedere con tutti i suoi aspetti. Prendete gli autobus. A buon mercato. Antica periferia alle mura di Roma, mia gioia, mio riposo. Ma anche moderna periferia, mostruosa, ovunque. Periferia popolare, l’intero quartiere intorno a Ponte Milvio, sul Tevere: lo adoro. Quartiere vivo. Poi borgate – miseria nera – emigranti dal Sud: Pietralata, da via Nomentana. Non finirei mai».

Si spinge fino all’acquedotto Felice, al Mandrione dove, nel 1968, incontra Don Roberto Sardelli che ritrae probabilmente presso la scuola della baracca 725 e in una di quella foto appare in lontananza la parrocchia di San Policarpo dalla quale proveniva il sacerdote.

Ogni fotografia una storia, ma in alcuni casi, dove la relazione fra le fotografie lo suggeriva ed il formato ridotto delle stampe originali lo imponeva, i curatori, Arianna Catania e Lorenzo Pallini, hanno escogitato una formula espositiva che hanno voluto definire “le cornici racconto” dove dall’accostamento delle immagini si crea una nuova storia.  

In un periodo in cui la fotografia è gridata per colori, manipolazioni e dimensioni, queste fotografie ci parlano sottovoce di sentimenti.

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