Andrea Carraro
Dialogo d'autore

Ricordare per rinascere

Incontro con Sebastiano Nata a proposito del suo nuovo romanzo: “Memorie di un infedele” dal sapore dostoevskiano. La storia di un uomo che «sperperato la sua vita nella quale i miti del capitalismo (denaro, potere, successo) hanno relegato gli affetti in secondo piano»

A proposito del nuovo romanzo di Sebastiano Nata, (Memorie di un infedele, Bompiani, 252 pagine, 17 Euro), vorrei partire da quello che mi pare il nucleo narrativo-morale del libro, cioè dal senso di colpa, dal senso di colpa cristiano, per commentare insieme all’autore questo nuovo romanzo che ha già ricevuto apprezzamento e interesse da parte della critica: bel titolo dostoevskiano “Memorie di un infedele” (pensavo a Memorie del sottosuolo) …

«Beh, non solo dostoevskiano… c’è anche Memorie di Adriano di Yourcenar, allora, Memorie di un pazzo di Gogol e Flaubert, Memorie di un cacciatore di Turgenev, è pieno di “memorie” nei titoli… fai la prova su Google.!, Dostoevskij comunque è talmente grande che ha una capacità d’attrazione a cui è difficile resistere anche se uno ci prova. Io ho una vecchia edizione BUR tradotta da Landolfi dal titolo Ricordi dal sottosuolo. L’incipit è straordinario e non smette di risuonarmi nella testa da anni. “Sono un malato… Sono un malvagio. Sono un uomo odioso. Credo d’aver male al fegato”.

Si paragonava a un insetto, anzi diceva di non essere degno nemmeno di assomigliare a un insetto, quasi una prefigurazione della Metamorfosi kafkiana.

«È certo un romanzo di cui ho tenuto conto. Ma ce ne sono molti altri che mi hanno guidato e accompagnato nella stesura, che ho tenuto sulla scrivania, Confessioni di una maschera di Mishima, La versione di Barney di Richler, per l’aspetto satirico, Opinioni di un clown di Heinrich Böll».

Il titolo lo hai deciso alla fine della stesura?

«No, ho avuto sempre in testa quel titolo. Poi, non so se in Tommaso Alfieri ci sia un senso di colpa, come suggerisci tu. Di sicuro c’è la consapevolezza di aver sperperato la sua vita nella quale, per tanti anni, i miti del capitalismo (il denaro, il potere, il successo) hanno relegato gli affetti in secondo piano. Così lui si ritrova ricchissimo ma solo, e per di più malato. Quando sente la propria fragilità, il rammarico di essere stato preda di quei vizi si fa ancora più acuto perché si rende conto che il tempo per rimediare, per risorgere, non è garantito».

Riassumo un momento. Ora che è vecchio e malato (di cancro alla prostata) Tommaso Alfieri guarda retrospettivamente nella sua vita:  i suoi successi nel lavoro,  i peccati di marito infedele e distante dagli affetti, a causa del suo lavoro ai massimi livelli alla Traspay, accumulatore di profitti e ricchezza insomma perfetto interprete del capitalismo selvaggio e amorale votato alla massimizzazione del profitto che lui critica; ma anche, d’altro canto, cristiano  impegnato nel sociale, con una utopia evangelica che si è andata precisando nel tempo – come antidoto al senso di colpa, che lo porta a fare beneficenza e impegnarsi nel sociale, almeno in questa ultima parte della sua vita, come per emendarsi, in qualche misura, facendosi carico di una zingara, Jolanda,  e della sua famiglia disgraziata, oltre ai ritiri e agli esercizi spirituali. Anche quest’ultimo, come La mutazione, di qualche anno fa, ma diversamente, rappresenta quasi una summa del tuo trentennale percorso, con una identificazione integrale, forte col personaggio, apparentemente senza filtri.

«Io di filtri ne metto parecchi, ma evidentemente funzionano poco. Del resto sono sempre stato interessato a riflettere su quello che mi inquieta. A volte mi illudo persino di mettere un po’ d’ordine, e invece continua a prevalere il caos. Però alla fine di ogni storia c’è più luce e io quel caos lo vedo meglio».

Il romanzo mi sembra che si inserisca bene nel tuo ciclo romanzesco di letteratura postindustriale contro il capitalismo, sul capitalismo, nella tua “Commedia umana”. Come ha scritto più d’uno, fra gli altri il critico La Porta, che sul Riformista osserva come il libro riveli subito le sue “smisurate ambizioni:” “Insieme ad altri libri dell’autore potrebbe comporre una Comédie humaine del nostro tempo, il tentativo di raccontare il nesso tra capitalismo e mente umana, tra il denaro e i sogni, tra economia e produzione simbolica.

«In tutti i miei romanzi ci sono questi eroi, a volte malinconici altre volte grotteschi, che si dibattono nelle tele di ragno del capitalismo per trovare una via d’uscita. Siccome sono borghesi e non proletari, soffrono più per il loro narcisismo che per oggettive situazioni di difficoltà, per esempio economica. Da Il dipendente a Memorie di un infedele, in questo ciclo romanzesco, in questa Commedia umana, c’è però un’evoluzione, e se prima lo sguardo era puntato quasi solo sulle emozioni, spesso alienate, del protagonista, poi si allarga sempre più sul mondo ferito dal neoliberismo, e su cosa esso produca nella mente e nel cuore delle persone, anche quelle che sembrano aver vinto, aver prevalso sugli altri. In qualche modo si passa dall’io al noi, dalla condizione del singolo a una ricerca di comunità».

Che ruolo hanno i personaggi femminili – la zingara che lui aiuta, Iolanda, oppure la moglie che lo ha abbandonato…

«Le figure femminili hanno un’intelligenza e una capacità di resistere alle sirene della nostra società assai maggiore di quelle dei protagonisti maschili. Nei miei romanzi è spesso grazie alle donne che gli uomini escono dal loro sonnambulismo, addirittura rinascono».

Tommaso racconta tutta la sua vita, come se vuotasse il sacco a qualcuno, a un confessore… direi che usa la forma-confessione celiniana, agostiniana…

«Si, racconta la vita di un uomo che guarda sé stesso e il mondo e si accorge di quante storture ci siano. Ecco. Che cosa c’è di più irrinunciabile? Il problema è semmai, e se lo pone anche Tommaso, come spendere i giorni che si hanno davanti in maniera meno dissennata. E lui una risposta se la dà: “Vivere quello che resta, ricordare. E conoscere qualcuna delle mille cose che non so. Comincio in ritardo, ho poco tempo, ma spero di non sprecarlo più”».


L’illustrazione accanto al titolo è di Giulia Cavallini

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