Loretto Rafanelli
“Origine” di Giancarlo Pontiggia

Quell’orlo tra materia e mondo fantastico

Riflessioni in prosa sulla poesia, in cui l’autore, poeta lui stesso, analizza l’essenza della creazione poetica. Dagli antichi Greci a Pavese, echi perduti di una vita anteriore «inespugnabile e felice», si manifestano per offrirsi a un ascolto nuovo, sempre diverso

Se rara è la riflessione teorica riguardo la poesia, decisamente questo limite non tocca Giancarlo Pontiggia che non è solo eccellente poeta, ma pure da sempre è “portatore” di un pensiero poetico profondo, sviluppato negli anni con libri, interviste, saggi, antologie scolastiche e poetiche, recensioni. Ricordiamo il bel volume di saggi Lo stadio di Nemea di cui ebbi modo di dire, e oggi siamo a parlare di un libro esiguo come pagine, ma molto intenso e vibrante di riflessioni e di idee: Origine, edito da Vallecchi (la gloriosa casa editrice fiorentina che dopo una lunga inattività, oggi è rimessa in funzione da Maggioli). Pontiggia si inoltra alla ricerca delle origini del mondo e della creazione poetica, rintracciate pure attraverso quelle che furono le sue visioni giovanili (non diciamo infanzia, perché per l’autore non è quella l’età cruciale, bensì quella dell’adolescenza, «la terra germinante della poesia») o quelle recenti, specie nell’amata Grecia, la cui letteratura classica da sempre è oggetto dei suoi studi. 

Il percorso del poeta si snoda dalle origini del pensiero e della letteratura fino a giungere ai nostri tempi con le centrali figure di Montale e Pavese. Un percorso in cui la ricerca del mito e della parola come momento fondante del pensiero si incidono nel fervente scenario culturale e umano del poeta. Quasi sorprende che Pontiggia ponga al centro del proprio discorso sulle origini Pavese, con quel suo rifarsi al mito greco in Dialoghi con Leucò, «in quella rivelazione ultima, al pari di Esiodo si sente investito di un compito poetico di natura sacrale e religiosa… non si dà felicità se non nel riconoscimento di un “modello divino” operante dentro la trama dei lavori e dei giorni, nel riconoscimento della natura sacra delle cose del mondo».

La vita anteriore è un tema ricorrente nel libro, quel tempo remoto, anteriore appunto, che ci riporta alle origini, come “vedeva” Baudelaire con la fascinazione dei luoghi esotici in cui «A lungo ho abitato… È là che ho vissuto». Tutto qui, suggerisce Pontiggia, «sprofonda in un tempo inaccessibile alla memoria individuale, perché Baudelaire non sta parlando di sé, ma di qualcosa che è radicato in un’altra memoria, in una vie antérieure inespugnabile e felice… Il sogno è d’altronde la chiave di volta su cui si reggono le intere Fleurs». Per quanto non si possa tacere su una verità irrinunciabile, sempre presente anche in Baudelaire: «Ogni sogno di felicità è sempre intriso di nostalgia». O, possiamo dire, di una impossibile felicità, quella che, afferma Pontiggia, fa esistere la poesia, la quale non potrà cibarsi che di «qualcosa di cui non sappiamo niente, volto in chissà quale prima dell’uomo e del tempo, e che pure è in noi come una forza pura, indomabile e sfuggente, che ricrea a sua volta il mondo, e lo immagina, e lo piega entro i confini di una gioia nuova, impensata».

Giancarlo Pontiggia

E i sogni sono anche il dato principale su cui si muove Nietzsche, con la relativa visita «che i morti fanno ai vivi durante i sogni», e il poeta si trova, dice il filosofo tedesco, nella stessa condizione del sognatore, intento a recuperare lacerti che paiono inezie e che però ci formano, ecco allora un passo di Pontiggia che svela un mondo, una origine, una scintilla di vita: «Nella pioggia di un solstizio del 1961, nelle sonorità che essa produce sopra le foglie di un nespolo o di un ciliegio, io sento le stesse sonorità, gli stessi echi che avrebbe potuto sentire un mio antenato perduto nella materia dei secoli: dentro i suoni della natura, quelli che tanto colpirono i primi romantici, è l’origine del mondo, o qualcosa che le assomiglia, o che almeno immaginiamo come tale», e aggiunge questi luminosi versi: «Gioia di sonno, e gioia di sere/ e gioia di forti acquazzoni, quando/ il tempo della vita s’impaluda in anse/ che non conosci, sei/ nel lino di un giugno molle, scuro,/ nel ventre/ della vita che si acquatta/ infima, remota…». La poesia è dunque su un confine, che è «come un orlo, tra mondo materiale e mondo fantastico» chiaro quindi che i poeti risulteranno inattuali, perché «devono ascoltare i suoni del mondo, far sentire che il tempo scorre, ci cambia giorno per giorno, ci lascia giorno dopo giorno», e il discorso dell’origine è forse semplicemente quello di una parola che «fa sentire il peso del mondo, di ritornare a ciò che erano quando ancora non erano, prima dell’estate e del tuono».

Accanto a Origini, dobbiamo necessariamente ricordare l’ampia riflessione sulla poesia e non solo, compiuta da Giancarlo Pontiggia attraverso una serie di interviste rilasciate tra il 2015 e il 2020, quindi raccolte nel bel volume Nuovi dialoghi sulla poesia (Amos Edizioni), un libro in cui l’autore spazia su mille argomenti e sollecita il lettore a avvertire la «energia immaginativa della poesia… così ricca di forza emotiva e di pensiero». Sono diciotto interviste che affermano un’apertura “dialogica illimitata” e ribadiscono la seguente concezione del poeta: «la poesia non è emozione, ma un’esperienza in cui si fondono moti di pensiero, percezioni di vita quotidiana, echi di dottrine, sogni, visioni». La poesia alimenta tutto, basta saperla seguire nei suoi movimenti carsici. Tanti sguardi, tanti percorsi, molteplici segni, magari minimi, le innumerevoli esperienze quotidiane, a volte le più semplici: «un profumo, una luce radente, lo sguardo di un passante che incrociamo per caso, una frase colta al volo su un tram, il fruscio misterioso dei campi notturni».

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