Daniela Matronola
A proposito di “Verso il Mar Ionio”

Il mare di Gissing

Exorma pubblica la versione integrale di un bellissimo diario di viaggio del letterato vittoriano George Gissing che a fine Ottocento scoprì Calabria e Lucania. Un esempio mirabile di quella “letteratura a piedi“ che diventerà tipica del Novecento

Pensando all’Età Vittoriana inglese difficilmente potrà venire in mente uno scrittore come George Gissing (nella foto), di cui Exòrma manda in libreria By the Ionian Sea. Notes of a Ramble in Southern Italy (Verso il Mar Ionio – un vittoriano al Sud, pagine 336, 21 Euro) per la traduzione e cura di Mauro F. Minervino, in Edizione Integrale, cioè corredata dai disegni dello stesso Gissing tratti dalla prima edizione dei suoi testi di viaggio in terra di Calabria e Lucania, prima pubblicati su rivista a puntate (aprile–dicembre 1900) e poi in volume la prima volta nel 1905. Arricchiscono questa splendida versione italiana: due scritti dello stesso curatore, una gustosa introduzione e una postfazione sulla fortuna dell’autore; l’epistolario e il diario tenuti da Gissing durante le escursioni nell’adorata Magna Grecia; un’accurata bibliografia che illustra la ricchezza intertestuale del reportage narrativo realizzato da Gissing, tra perlustrazione dei luoghi al modo dei detective del suo tempo (in cui l’autore è il fine decodificatore degl’infiniti segni antropologici e filologici disseminati tra i luoghi e le lingue) e classico personal essay; infine un breve saggio, acuto e profondo, di Virginia Woolf sull’opera complessiva di George Gissing, prodotta in 26 anni di povertà e tribolazioni, in ben 27 libri tra romanzi e novelle, più un centinaio di racconti, saggi, articoli, e prose varie.

Prima di inoltrarci in questo libro, saggio eccelso su una terra che agli occhi di Gissing è un sacrario vivo, osserviamo che Gissing è unicamente autore di prosa, ibrida in questo caso – comunque mai di versi, niente poesia. Però, viene subito da osservare, è accurato e acuto, e lirico a ciglio asciutto, nella descrizione della Magna Grecia come geografia storico-antropologica, e come tavolozza di colori e repertorio di suoni, fino a risultare in fondo poetico: libero e spassionato nel dare voce all’antica saggezza di un popolo che, al riparo dalla modernità prepotente e brutale, conserva un’innocenza e custodisce una sapienza che vengono da lontano, fino a rivelare la linea di sviluppo di un progresso quieto e innocente che non si lascia travolgere da comodità e consumi, anche perché, questo poi è il dato, ne è tagliato fuori.

Tagliato fuori, sia chiaro, il nostro Gissing (che adottiamo con slancio proprio per questo resoconto di viaggio dal Busento al Crati, e a Paola da Cosenza, spostandosi tra due mari, tra Taranto e Metaponto, tra Crotone e Catanzaro, passando per Squillace e fino a Reggio), ecco, tagliato fuori non solo dal tessuto sociale inglese, in cui si muoveva anonimo in quanto povero e pure afflitto dal male del secolo, dalla tisi, tagliato fuori non solo dal mainstream politico-sociale in veste di outsider e anzi ribelle identificato dalle forze di polizia, ma tagliato fuori anche dal canone della letteratura inglese.

David Daiches, autore di un noto manuale in quattro volumi (su cui molti di noi si sono formati, con  accanto l’analogo di Elio Chinol, chiamandolo secondo koinè studentesca il Daiches), gli dedica 19 righe all’interno di una miscellanea sul romanzo vittoriano, etichettandolo come realista pessimista e undickensian (e dire che Gissing reclamava una propria discendenza da Dickens – di cui non aveva l’umorismo né il patetismo), però (colpo di coda) aggiunge: mostra la sua vivacità di autore capace di incantare il lettore soprattutto come saggista, qualità insospettabile leggendone solo i romanzi.

Ecco, Verso il Mar Ionio – un vittoriano al Sud ha le buone qualità del resoconto di viaggio, del saggio antropologico, della fine analisi filologica dedicata ai parlanti e al territorio, del personal essay in cui Gissing non ci tace nessuna delle sue traversie di viaggiatore di fortuna ma si mostra proprio perciò molto abile nel vedere ciò che un viaggiatore minimamente organizzato non saprebbe cogliere solo perché non vi sarebbe esposto con la sensibilità e in un certo senso con la abilità estrema e necessità di sopravvivere. In più il libro ci mostra la finissima capacità di Gissing nella detection geostorica, in un’epoca in cui emersero alcune figure di detective, popolari solutori di crimini e misteri, prodotti di default, come lo stesso Dickens già aveva segnalato, dalla contraddittoria Età Vittoriana.

Gissing però non è miserevolmente dedito a sbrogliare plots di sapore criminal-misterioso. Gissing si dedica a rintracciare fiumi, corsi, rivi, a pedinare l’acqua come avrebbe fatto col fragore del tuono T. S. Eliot poco dopo, a stanare i resti sepolti della tomba di Alarico, a ripercorrere le strade battute da Goti e Visigoti. E poi torna molto più indietro e mette i propri passi sulle tracce del malinconico Pitagora che cinquecento anni circa prima dell’era cristiana sperimentava su di sé le amarezze di una intermittente visibilità che lo rende parente a un secondo shakespeariano, Malvolio, anima inter= mittente di La Dodicesima Notte – mirabile correspondance fra le molte trovate, per grazia di scrittura, da questo perfetto anticipatore, tra l’altro, della cosiddetta letteratura a piedi che sempre attribuiamo e con ragione al giornalista polacco Ryszard Kapuściński.

Gissing pare persino anticipare la simultaneità temporale dei modernisti là dove mette in viva comunicazione il mondo antico con la débâcle moderna che sembra aver cancellato il passato impedendogli di fare capolino tra le macerie correnti (tema, quasi archeologico, ricorrente): ne è prova un museo perennemente deserto, e poi spostato di peso da Taranto a Napoli, e il fatto che solo camminando incede attraverso un contesto di valore museale e pesta un basolato antico come testimoniano i solchi scavati dai carri nel tempo. Il colloquio tra il visitatore attuale quale egli stesso in persona è e il doganiere burbero che lo insolentisce insospettito dal suo baule pesante di libri, o col contadino in armonia col suo asinello che ara dolcemente e aspramente la terra destando in noi la memoria di Piers Ploughman, o con gli osti delle locande che ci ricordano l’oste del Tabard Inn, oppure con i corsi dei fiumi o le marine lagunari che rammemorano la leggenda del Re Pescatore, tutto mette in comunicazione il mondo attuale con i fasti o perlomeno con la memoria del mondo antico, che schiocca anche nei suoni e nei rumori, e nelle lingue misteriose che destano echi omerici, di certo magno-greci.     Virginia Woolf loda molto George Gissing per essere stato soprattutto povero tra i poveri: non il borghese che si china sui miserabili e li fa degni della sua attenzione, ma (ricordando le parole dei Romantici a proposito del poeta) uomo tra gli uomini, però mi sento di aggiungere che Gissing fa ripensare a Lemuel Gulliver il quale è uno Yahoo per nascita ma sente di appartenere ai cavalli.

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