Andrea Ottieri
A proposito de "La scrittura del teatro"

Parole per il teatro

Un bel libro del critico teatrale Paolo Petroni ripercorre le avventure (e le disavventure...) della drammaturgia italiana di fine millennio. Il volume sarà presentato a Roma, al Teatro Vascello, venerdì prossimo, 24 marzo

Quale Italia ha raccontato il teatro alla fine dello scorso millennio? Non è una domanda oziosa, poiché il teatro – che lo si voglia o no – da millenni è lo specchio migliore nel quale le società riverberano (e capiscono, nel migliore dei casi) se stesse. Una domanda che sorge naturale dalla lettura di un libro prezioso: La scrittura del teatro, firmato dal critico Paolo Petroni e appena pubblicato dall’editore Gambini (262 pagine, 24 Euro, acquistabile in tutte le librerie online).

Si tratta un po’ di una mosca bianca nel panorama della nostra editoria: raccoglie i segni di tredici stagioni teatrali, dal 1989 al 2002, e li mette in fila – criticamente – sotto le insegne della drammaturgia italiana. Gli interventi su ciascuna stagione vennero redatti, in origine, per una preziosa pubblicazione da tempo soppressa, Teatro in Italia, che la Siae realizzava e diffondeva per riflettere sulle attività sceniche del Paese e trarne così lezioni o suggerimenti del caso. Paolo Petroni, in questo contesto, ogni anno argomentava criticamente le attività sceniche dei drammaturghi italiani e ne forniva una chiave di lettura commisurata sia al mercato sia alla società corrente. Sempre all’insegna della norma millenaria secondo la quale il Teatro coincide con il Mondo cui si rivolge. E quindi ripassando i contorni dell’uno si colgono in controluce quelli dell’altro. Aggiungete che Paolo Petroni, è stato ed è un critico militante, ossia uno spettatore appassionato e costante che trascorre la gran parte delle sue serate in platea e avrete il senso profondo di questo libro. Che è per metà testimonianza e per metà storia.

Dunque, nelle pagine di Petroni si ripercorrono dieci anni di drammaturgie. Scorrono i nomi di autori variamente celebri o celebrati, da Ugo Chiti a Edoardo Erba, da Giuseppe Manfridi a Franco Scaldati, da Enzo Siciliano a Antonio Tarantino, da Alberto Bassetti a Roberto Cavosi; ma non è nell’analisi dei singoli che va ricercato il senso profondo di questo libro, bensì nello sguardo d’insieme. E in quel progressivo distacco del teatro dalla realtà bruciante che traspare dai racconti, anno per anno di Petroni. Sono i tempi, infatti, di Mani Pulite e di Berlusconi, o prima ancora della caduta del Muro e della fine del mito del comunismo buono. Ebbene, di queste scottanti realtà – annota Petroni fin dall’ introduzione – non ci sono che flebili segni nelle scelte dell’establishment teatrale del tempo. Una sorta di cupola di poteri – di lobby – fatta di produttori privati, registi alla moda, divi e impresari pubblici, dove l’autore viene vissuto come un incidente di percorso, un ostacolo al successo o, nella migliore delle ipotesi, l’ultima ruota del carro.

E, dunque, Petroni insegue i segni di una crisi via via più pesante, più profonda; che a partire dal nuovo Millennio si aggraverà fino al precipizio degli anni del Covid durante i quali, per necessità, le attività sono state sospese. Benché i titolari di posizioni di privilegio (i direttori dei teatri pubblici, per lo più) abbiano continuato surrettiziamente a lavorare, a produrre, a impiegare amici e parenti in inutili spettacoli – realizzati a spese della comunità – che necessariamente nessuno poteva vedere. Ecco, la disamina globale della drammaturgia italiana di fine millennio (una cenerentola, o i bassifondi, come li chiama Ubaldo Soddu in un bell’intervento che arricchisce il volume in appendice) fatta da Paolo Petroni illustra con amara chiarezza dove sono i germi e le ragioni della pesantissima (irreversibile?) crisi presente del teatro italiano. Lì, nell’ultimo decennio del fecondo Novecento (fecondo per il teatro, almeno), c’è la genesi del deserto in cui viviamo oggi: Petroni traccia le linee della leggerezza, del disimpegno, della difficile contestualizzazione della nuova drammaturgia ma chiarisce, anno per anno, che la responsabilità maggiore non è in capo agli autori, quanto piuttosto nelle mani di chi il teatro lo ha manovrato; sovente in difesa di propri interessi personali. Vale a dire: impresari pubblici e privati.

Ma è bene chiudere con una nota (sincera) di ottimismo: la straordinaria passione di spettatore critico che traspare dalle pagine di Paolo Petroni è il terreno dal quale ripartire per dare nuova forza e senso profondo al nostro teatro. Lì, nell’adesione totale a un rito che è anche modello culturale e creativo, sta il futuro. Che è il futuro del Teatro come del Mondo, al solito.  


Il libro La scrittura del teatro sarà presentato venerdì prossimo, 24 marzo, al teatro Vascello di Roma alle ore 18. Insieme all’autore, Paolo Petroni, ci saranno Marcantonio Lucidi, Giuseppe Manfridi, Piero Maccarinelli e Daniele Mencarelli. Sandro Lombardi leggerà alcune pagine del libro.

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