Ljudmyla Djadčenko
Il Ceppo a Ljudmyla Djadčenko /1

Poesia è la pratica del sé nell’Altro

A un anno dall'invasione russa, il 67° Ceppo Biennale Poesia dedica una riflessione di 4 giorni all'Ucraina e, nel nome di Piero Bigongiari, premia la poetessa ucraina. Il cui motto è: «La poesia dovrebbe iniziare il giorno in cui si nasce e non finire il giorno in cui si muore»

Nell’anniversario dell’invasione della Russia in Ucraina, il 67 Premio Ceppo Biennale Poesia, presieduto e diretto da Paolo Fabrizio Iacuzzi, ha aperto, dal 22 fino al 25 febbraio, una riflessione sulla drammatica situazione della guerra, organizzata dal Consiglio Regionale della Toscana. Oggi a Firenze sarà premiata la giovane poetessa Ljudmyla Djadčenko, vicepresidente degli scrittori ucraini, col premio in onore di Piero Bigongiari. Pubblichiamo un estratto della conferenza che la Djadčenko terrà nell’occasione, tratto dalla sua raccolta di poesie La fobia dei numeri, appena pubblicata da Interno Poesia a cura di Paolo Galvagni(Info e motivazione vedi: https://paolofabrizioiacuzzi.it/ceppo-67-a-ljudmyla-djadcenko-il-premio-ceppo-poesia-internazionale-23-25-febbraio/).

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«Il grande compito della modernità è trovare e portare alla luce la perduta Atlantide dell’anima» (Joseph Campbell). La poesia dovrebbe iniziare il giorno in cui si nasce e non finire il giorno in cui si muore, per l’impossibilità di penetrare il mistero dello Spirito organico, che raccoglie sotto le proprie insegne solo quanto è più necessario e lo forza a estrarre, di verso in verso, le più necessarie cascate di significati in cui il tempo, l’umore, la stagione, la vita, l’età e l’eternità si assorbono a vicenda, s’illuminano e si realizzano a vicenda in molti modi, proprio come fa l’universo a raccogliere le proprie energie vitali, continuando ad accumularsi. È vano associare il bisogno di Arte solo all’Arte stessa: ogni pensiero si frange e si rifrange. E la poesia è titanica, mentre i poeti non sono che persone. È una capacità poco comprensibile, anche per loro, quella di spingersi costantemente oltre loro stessi. (…) 

La poesia non racconta, ma libera. Il fatto che non si possa usare nessuno dei sostantivi prevedibili non preclude dalla necessità di esprimerli. Spesso l’“ambito” del lirismo non permette che l’emotività entri nel suo dominio. La poesia non tollera affatto il soffocamento emotivo. La letteratura sta anche nei suoi nemici e rivali, così come in tutto ciò che è impersonale. Nel “giogo” della sua indipendenza poetica, la poesia è e rimarrà poesia. Francamente non le interessa chi ci offende o quanto profondamente ci offenda. È molto più interessante il modo in cui noi reagiamo a tutto ciò. 

Non sono una formalista ma capisco che è la forma a sviluppare l’arte, perché il contenuto è più o meno lo stesso per tutti. È strano analizzare il proprio stile-approccio, perché sembra che così facendo lo si distrugga. Ma a volte è necessario distruggere il vecchio per iniziare una nuova fase: la ricerca di una nuova forma, il nuovo suono della vostra nuova e diversa voce. E anche se la ricerca fallisce, è sempre meglio che utilizzare il metodo di qualcun altro. La mia voce è la cosa più importante per me. Il dilemma tra forma per amore del contenuto e contenuto per amore della forma crolla solo dove e quando uno dei due componenti è debole e malato. Il contenuto detta la forma, e la forma definisce il contenuto. È stato importante non cedere a nessuna delle parti di questo conflitto letterario permanente e generale. Essendomi interessata fin dalla giovinezza a studi religiosi e filosofici, ho definito la poesia come la forma più sensuale di conoscenza della realtà. La poesia è pensiero per immagini, dove la metafora è una formula per il sentire… (…) 

Nelle mie poesie [una profonda solitudine] è spesso associata alle immagini dominanti dell’autunno, che possono essere interpretate come una “trappola temporale”. Tuttavia, l’autunno è anche la stagione di maggiore bellezza, il confine colorato tra il caldo dell’estate e il freddo dell’inverno. E a differenza della primavera, che rappresenta il picco della fertilità, l’autunno rappresenta il raccolto fecondo. L’autunno è la stagione in cui le foglie e i frutti si staccano dalla pianta madre, dandoci cibo (nutrimento), insieme alla bellezza e al volo (la foglia che cade nel vento). Cioè, la transitività è invocata in ogni modo, al punto che non ci sono quasi altre immagini della flora. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che le piante di solito rimangono sul posto, radicandosi nel terreno stesso in cui sono state piantate. È ovvio che le immagini autunnali dominano nella loro tipologia spaziale, profana e domestica, e l’estate e il calore – nello spazio sacro dell’Est, che dà motivo di considerare questa terra orientale come un isomorfo del Paradiso. È in questo sacro tipo di spazio che la categoria del sacro è più pronunciata, come dimostrano i miei numerosi riferimenti alla religione, a “Dio” e all’“anima”, così come alle Scritture, alle Chiese, agli insegnamenti religiosi o alla loro interpretazione da parte delle persone. Si tratta soprattutto di riferimenti cristiani, ma ci sono anche accenni all’ebraismo, all’islam, al buddismo e al paganesimo precristiano.Questo indica non solo la priorità delle questioni spirituali, ma anche la capacità di rifiutare il pensiero dogmatico e di abbracciare la più ampia gamma possibile di conoscenza spirituale. Nel sacro spazio orientale ci troviamo nel regno dei sogni lucidi, abitato da fate, djinn e altri esseri liminali, siamo quindi in contatto con le nostre energie nascoste. L’autunno, poi, rappresenta solo un luogo di riposo, un punto di ricarica sulla strada verso altri paesaggi. Questo è un luogo privato: la riservatezza (non privatizzata!) dell’universale e persino dell’universalmente significativo è un requisito singolare del mestiere di poeta. (…)

La vera arte richiede lo sforzo dell’anima. La poesia è un frammento del proprio (migliore) sé. È il tentativo umano di manifestarsi nel mondo dello Spirito. La poesia è una costante estrazione di significati e sentimenti. Leggere poesia vuol dire essere pronti a lasciare il luogo in cui ci si trova (il familiare) in cerca di ciò a cui non si è abituati (il non familiare). Vale a dire, è la pratica del sé nell’Altro. Credo che la poesia sia un essere spirituale, nella quale si deve crescere nella vita di tutti i giorni.

La fobia dei numeri
la fobia dei numeri. il coro di storielle postate
stringe gravemente il profilo della mia malinconia
scriverai anche di come parlano i becchi delle cicogne
io – del duro lavoro di baba jaga
la fobia dei numeri che da domani come nebbia penzoleranno:
allusione della vita al tempo che va in secca
in silenzio li guardo – spavento vicendevole
preparo il letto con indosso una camicetta di lino
lanciare un urlo perché sia molto più la paura
e accettare docilmente i nidi dei miei anni
agli uccelli sulle finestre una mano sbriciolerà il pane
con fiducia: al mattino mi desterà il loro canto

Ljudmyla Djadčenko

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