Raoul Precht
Periscopio (globale)

Dentro Cézanne

Alla Tate Modern di Londra è ancora aperta una grande mostra dedicata a Paul Cézanne che ne segue l'intera parabola creativa. L'occasione per riflettere su uno dei padri della creatività contemporanea (non solo per le sue variazioni sul colore)

Resta meno di un mese all’appassionato d’arte che voglia recarsi a Londra a visitare, alla Tate Modern, la bella mostra dedicata a Paul Cézanne, che dovrebbe chiudersi il 12 marzo. Bella quanto, purtroppo, affollatissima.

Sempre più spesso ci troviamo di fronte a mostre che sono vittime del loro stesso successo. Quanto più un’esposizione d’arte sarà pubblicizzata e talora strombazzata sui mezzi d’informazione, tante più persone (non necessariamente interessate all’argomento) vi andranno, e tanto più difficile diventerà la fruizione delle opere esposte. Si aggiunga a questo l’esecrabile e sempre più diffusa abitudine di fotografare con il cellulare i quadri e le relative informazioni. Intendiamoci: non ho una ricetta rivoluzionaria da suggerire, visto che neanche il contingentamento in base agli orari di entrata sembra funzionare, ma non è difficile prevedere che a breve dovremo rinunciare a un piacere che si situa ormai alle soglie dell’impossibilità, o della prodezza atletica.

Detto questo (ed è un avvertimento secondo me fondamentale), la presentazione di Cézanne fatta alla Tate Modern è molto ampia e completa (più di ottanta opere) e consente anche qualche approfondimento di notevole interesse. Si va più o meno in ordine cronologico, cominciando con i primi passi di un Cézanne compagno di scuola di Emile Zola e inizialmente immerso nella poetica del naturalismo, ma anche allievo ed estimatore del poco più anziano Pissarro, che lo conduce verso le pratiche impressionistiche. Tornando a Zola, la sua figura è particolarmente importante perché sarà proprio lui a “convocare” Cézanne a Parigi dalla natia Aix-en-Provence, inserendolo nell’avanguardia letteraria e artistica e dando il via a quella dicotomia fra capitale e provincia che rimarrà una costante in tutta la vita del pittore, attratto e al tempo stesso respinto dalla rutilante vita parigina. A distinguere il timido e riservato – nonché, come notiamo dall’autoritratto iniziale, prematuramente calvo – Cézanne da Zola e da Pissarro, anarchico convinto, sono anche le opinioni politiche assai più prudenti, sebbene patriottiche (soprattutto intorno al 1870 e in occasione dell’invasione da parte prussiana) che Cézanne esprimerà più attraverso qualche sua tela che direttamente o per iscritto.

Non manca, in questo primo periodo, l’aspetto privato e sentimentale: in particolare, il lungo sodalizio con Marie-Hortense Fiquet, che Cézanne incontra nel 1869, quando la ragazza, che per guadagnarsi la vita posava per diversi pittori, non ha che diciannove anni. Dopo appena qualche mese diverrà la sua amante, e andranno a vivere insieme all’insaputa del severo padre di Cézanne, un banchiere. Ma soprattutto Hortense sarà la sua modella principale: di lei si contano ben ventinove ritratti, in cui il suo viso ovale e allungato, non esente a volte da tratti decisi e ostinati, e l’espressione sempre un po’ distante, diventano una specie di marchio di fabbrica della ritrattistica cézanniana. Il pittore la sposerà finalmente nel 1886, diciassette anni dopo il loro primo incontro, quando però vivevano già separati. Avranno un figlio, nato nel 1872, anch’egli di nome Paul, di cui per molti anni Cézanne nasconderà la presenza al padre, uomo autoritario e tradizionalista, per l’ovvio timore che gli tagli i fondi. Il rapporto con Paul sarà poi molto stretto, uno dei più importanti nella vita di Cézanne, al punto che del pittore Paul diventerà il principale confidente e consigliere. Anche il ragazzo si presterà più volte a fargli da modello, in numerosi ritratti o nelle tele in cui Cézanne lo traveste da Arlecchino. (Gli arlecchini, come i giocatori di carte, da questa mostra sono fra l’altro assenti – ed è un peccato.)

Un notevole accento è poi posto sulla località di L’Estaque, un paesino fra Aix e Marsiglia dove Cézanne si rifugerà nel 1870 per sfuggire alla coscrizione – il suo patriottismo, peraltro moderato, non arrivava al punto di farsi reclutare e trasformare in carne da cannone – e dove poi ritornerà regolarmente in cerca di un luogo di pace e serenità dove portare avanti i propri studi cromatici, luministici, biologici e perfino geologici. Saranno infatti in particolare le alture rocciose intorno al villaggio a ispirargli le tecniche che utilizzerà poi nel famoso ciclo della Sainte-Victoire.

La retrospettiva si focalizza anche sulla varietà, in termini di strumenti, supporti e tecniche artistiche adottati nel corso della carriera da Cézanne, un pittore molto più versatile di quel che spesso si crede, e sull’abitudine, che si rafforza quando finalmente eredita dal padre la proprietà di Jas de Bouffan, di dipingere sempre gli stessi oggetti o le medesime combinazioni di oggetti con tocchi vigorosi e decisi, nel quadro d’inesauste sperimentazioni materiche e con una paletta di colori sempre più ricca e sfumata. Nelle nature morte, in particolare, spesso il fondale ha pari importanza rispetto ai frutti e agli utensili in primo piano, perché il mondo di Cézanne è fatto di una sostanziale (e sorprendente) continuità. Un altro elemento su cui si appunta l’attenzione del pittore in questo periodo è l’importanza della disposizione, della “messa in scena”, si tratti di ritratti, di paesaggi o di nature morte. I dipinti di Cézanne mostrano sempre un’estrema cura del particolare scenografico.

Si arriva così al doppio culmine dell’esposizione, le sale dedicate rispettivamente alla Sainte-Victoire e ai Bagnanti. La Sainte-Victoire è una montagna dal profilo deciso e spettacolare situata intorno ad Aix, che nel corso dei decenni per Cézanne diventerà una specie di ossessione, tanto che la dipingerà, fra dipinti e acquerelli, più di ottanta volte, da angolazioni sempre diverse, ma con un’inesauribile potenza espressiva. Ancora una volta Cézanne si basa su un’approfondita conoscenza non solo dei luoghi, ma delle loro peculiarità geologiche, e opta per una presentazione atemporale in cui ogni passaggio umano sembra sospeso.

Nelle diverse versioni dei Bagnanti, nell’insieme circa duecento dipinti, ritorna un altro aspetto di Cézanne, quello del giovane studioso d’arte che si recava al Louvre per studiarvi i ritratti e i corpi écorchée, senza pelle, nei quali cioè l’anatomia è messa a nudo. Questi studi, appunto sull’anatomia e in particolare sulle dinamiche muscolari, gli saranno utilissimi al momento di dipingere queste figure di bagnanti nudi di entrambi i sessi che, rispetto agli artisti del passato – si pensi solo a Tiziano o, nella tradizione d’oltralpe, a Courbet –, si sottraggono a qualunque riferimento allegorico e anzi introducono una nota di quotidianità che nulla toglie, tuttavia, alla sensazione generale di maestosa serenità dell’insieme. Si tratta quasi sempre di quadri di notevoli dimensioni, tre dei quali lo occuperanno giorno dopo giorno con innumerevoli ritocchi negli ultimi dieci anni di vita e saranno ritrovati, perennemente incompiuti, nel suo studio al momento della morte. Nella loro complessità e completezza, i Bagnanti, e soprattutto le tele dette Grandes Baigneuses, sembrano rappresentare una sintesi dell’intero percorso artistico di Cézanne, dalle immagini erotiche e violente degli esordi negli anni Sessanta del secolo – qualcuna delle quali in mostra proprio all’inizio della retrospettiva – alla pacatezza formale e alla compiutezza dei paesaggi dell’ultimo periodo.

Saranno proprio queste ultime tele a influenzare maggiormente gli artisti che seguiranno le sue orme, da Matisse – che riconoscerà sempre il forte debito, suo e di tutta la sua generazione di pittori, nei confronti di Cézanne e che quasi si svenò per acquistare i Tre bagnanti – a Picasso, da Henry Moore a Jasper Johns, che di alcuni dipinti di Cézanne saranno per un certo periodo anche proprietari (ma Monet di tele cézanniane ne possedeva addirittura tredici!), come se il lascito artistico passasse a volte anche attraverso il possesso fisico e materiale. Colpisce anche l’omaggio a Cézanne in una tela di Maurice Denis in cui si vedono lo stesso Denis, Bonnard, Redon e Vuillard riuniti ad ammirare una natura morta di Cézanne e ad omaggiarne l’autore come umili ammiratori che sanno perfettamente di non poterne uguagliare la maestria. Non a caso, negli ultimi anni casa Cézanne era la meta di molti appassionati che vi si recavano a venerare il pittore come una specie di moderno oracolo. Se a questa sezione della mostra manca qualcosa, è forse il riferimento, fra i seguaci e gli estimatori, al nostro Giorgio Morandi. Sul rapporto fra i due e sugli echi e rimandi cezanniani nell’opera di Morandi, alcuni anni fa è stata organizzata una bella mostra alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo. Per chi fosse interessato a un approfondimento, a suo tempo ne avevamo parlato qui: https://www.succedeoggi.it/wordpress2017/06/cezanne-morandi/

Chiudo con una curiosità, che è anche una rassicurazione per quanti, come me, siano fissati con l’ortografia. Per tutta la mostra, salvo in un caso (una citazione di Rilke) che deve essere sfuggito ai solerti curatori, il cognome di Cézanne è sempre scritto senza accento. Si potrebbe pensare a una distrazione e invece c’è un motivo. Nel 2020, a quanto pare, la Société Paul Cezanne (Cezanne senza accento, Société con tutti quelli del caso), guidata da un pronipote del pittore, ha lanciato una campagna per eliminare l’accento dal cognome di Cézanne ritornando all’originaria ortografia provenzale, che era poi, come si può facilmente constatare, quella seguita e rispettata dallo stesso artista quando firmava le sue opere. Può essere una decisione discutibile, ma tant’è: almeno a Londra Cézanne (anzi, Cezanne) non porta accento.

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