Luigi Saitta
“La moglie del capitano” di Luciano Odorisio

Cinema Abruzzo

Protagonista del recente libro del regista, la sua terra natia «raccontata con la stessa ironia che lo porterà ad iniziare “Sciopen” con la musica di “New York New York”, mentre le immagini mostravano la sua Chieti vista dall’interno di un’automobile con i vetri appannati»

Luciano Odorisio, autore di La moglie del capitano (edizioni Il Viandante, 276 pagine, 16,50 euro), non è uno scrittore di professione, è un regista cinematografico, autore di ottimi film (il suo Sciopen, del 1982, vinse a Venezia il Leone d’Oro per la migliore opere prima). Un regista che si è già cimentato nella scrittura con Non invecchieremo mai, un libro garbato con alcuni divertenti aneddoti sul mondo del cinema visto da dietro le quinte. In questa sua seconda opera, Odoriso si conferma attento osservatore della realtà quotidiana, filtrata attraverso le lenti della vita di provincia, una provincia italiana non dissimile, per alcuni versi, da quella descritta da Fellini ne I vitelloni o in Amarcord.

I codici letterari di Odorisio sono molto particolari, rimandano a episodi, esperienze, riferimenti nostalgici di un tempo andato, a gallerie di personaggi che fanno parte integrante di questo piccolo mondo antico, di questa provincia, come scrive Antonio Monda nella sua prefazione, «che viene raccontata in maniera mirabile, con la stessa ironia che lo porterà ad iniziare Sciopen con la musica di New York New York, mentre le immagini mostravano la sua Chieti vista dall’interno di un’automobile con i vetri appannati». Ecco, la provincia, il “suo” Abruzzo. C’è una componente fondamentale nello scritto di Odorisio, che è quella regionale, quel suo mondo da cui l’autore non può (o non vuole) distaccarsi (anche a livello linguistico), un mondo visto con affetto, ma anche con sottile, bonaria ironia. Un’ironia alla Flaiano – e l’accostamento al conterraneo scrittore pescarese non è del tutto peregrino – che per Odorisio nasce da una profonda capacità di leggere l’essere umano, con tutte le sue aspirazioni, i sogni, le ossessioni sessuali, le debolezze.

Odorisio racconta tutto questo intervallando il suo scritto con precisi rimandi antropologici sulla nostra vita sociale (i primi telefoni, le prime sigarette, gli sceneggiati di Anton Giulio Majano, i Beatles, gli attori hollywoodiani, con Hedy Lamarr in primo piano) e con molteplici riferimenti cinematografici (in particolare all’epopea western) che scandiscono in modo preciso gli anni Cinquanta e Sessanta. Campeggia, su tutto e su tutti, il disincanto dell’autore, la sua (saggia) filosofia esistenziale, perché, scrive, «La vita è tutta una ronda».

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