Luca Fortis
Il mondo degli altri

Il mondo è una tribù

Incontro con Muhammad Bassyouny che da anni lavora, in Egitto, a un progetto che mira a recuperare la specificità della cultura beduina: «Per noi è molto importante far riscoprire ai ragazzi la cultura araba delle tribù»

L’Egitto è uno dei paesi più antichi del mondo e la sua cultura è millenaria. Alcuni educatori egiziani negli ultimi anni stanno incominciando a porsi la domanda di come integrare le antiche conoscenze nei progetti educativi dei bambini e adolescenti egiziani. Ne parliamo con Muhammad Bassyouny. Bassyouny ha conseguito una laurea in Fisica e Matematica presso l’Università Americana del Cairo. Bassyouny ha lavorato in progetti educativi per l’istruzione secondaria e post-secondaria in tutto l’Egitto e nel mondo dal 2008, inclusi incarichi presso l’African Leadership Academy di Johannesburg e la Island School alle Bahamas. Più recentemente, Bassyouny è tornato in Egitto e ha fondato Nour, un’iniziativa che offre un’esperienza educativa olistica agli studenti egiziani collegandoli con la natura e la cultura beduina.

Mi parla dei progetti a cui sta lavorando?

Il primo si chiama Fanar ed è una “boarding school” per ragazzi dell’età compresa tra gli 11 e i 15 anni, che provengono da tutto l’Egitto. Fanar Programs offre programmi residenziali unici che preparano i bambini alle sfide future attraverso l’esplorazione culturale. Ci concentriamo sulla fornitura di esperienze arricchenti, divertenti e vivaci progettate per sviluppare indipendenza e leadership. Fanar Programs ispira i bambini a essere curiosi del mondo che li circonda e, attraverso la loro curiosità, a sviluppare una consapevolezza ambientale e culturale che li motivi a diventare membri attivi della comunità. Il campo quest’anno si è svolto a Marsa Allam presso l’hotel Wadi Sabarah ed è durato tre settimane. Vi sono parti più legate allo studio e altre al gioco. Le materie di studio sono legate al posto che scegliamo, in questo caso alla vita marina del Mar Rosso, all’antropologia e alla storia delle popolazioni, beduine e non, che abitano queste terre. Quest’anno per esempio abbiamo insegnato ai bambini a costruire un forno in terra cruda, con la stessa tecnica con cui costruiscono le persone. I ragazzi studiano poi arte e anche l’inglese. Per i genitori e i bambini, spesso è la prima volta che stanno lontani gli uni dagli altri per tre settimane, per altro senza telefoni, perché li ritiriamo. Possono fare chiamate solamente nei momenti prestabiliti. Per i bambini e anche le famiglie non avere sempre i telefoni sottomano è una vera sfida, ma in cambio gli diamo “la vita reale”, del tempo con loro stessi e con persone che vengono da tutto il mondo e soprattutto la possibilità di sviluppare la loro intelligenza attraverso la curiosità e la scoperta. Per tre settimane si sta tutti insieme, si scambiano idee, si discute e si gioca. Ogni anno facciamo due campi.

Qual è la sfida più complessa?

Ho lavorato in “boarding schools” durante tutta la mia carriera lavorativa, ma non ti devi preoccupare solo di quel che insegni, per tre settimane sei un po’ anche il genitore dei bambini, ti devi preoccupare di tutto un percorso che fai con i bambini, non solo dello studio. Lavoriamo con antropologi, biologi, architetti, persone che lavorano in Ong, che per tre settimane diventano non solo insegnanti, ma anche un po’ genitori. I bambini hanno poi bisogno di emozioni, per avere un vero scambio, bisogna anche comprendere il loro modo di ragionare.

Mi parli del progetto che hai creato?

Noor è invece il progetto che ho creato. È per i ragazzi del liceo, li portiamo nelle montagne. È un progetto per far riscoprire la cultura araba delle tribù, se con Fanar, la lingua di insegnamento è perlopiù l’inglese, con un po’ di arabo, gli insegnanti nel progetto Noor parlano solo in arabo e sono beduini. Andiamo noi dai maestri nelle montagne, letteralmente camminiamo, a volte anche ore, per arrivare da loro, alcuni ci parlano di medicina tradizionale, altri di architettura, saperi tradizionali e molto altro. I campi si tengono nei pressi del monastero di Santa Caterina. Con i maestri beduini si hanno conversazioni molto interdisciplinari, i beduini hanno una profonda connessione tra i loro saperi e la spiritualità. Parliamo poi di problemi generali come per esempio l’ambiente e lo sviluppo sostenibile, i beduini per esempio hanno un concetto di sviluppo molto diverso da quello di cui si parla di solito.

Che rapporto hai con le tribù?

Ho ormai un’esperienza decennale con le tribù, non vado lì per aiutarli, ma per imparare da loro. Ho creato con queste tribù una profonda connessione e ho compreso che hanno davvero moltissimo da insegnarci. Ecco perché è fondamentale che siano i ragazzi a camminare, anche per ore, fino ai maestri. Prima di poter dare qualcosa a loro, è essenziale aver appreso da loro, conoscerli fino in fondo. Hanno davvero moltissimo da insegnare a qualcuno che viene dalla città.

Come reagiscono i ragazzi?

Per i ragazzi è davvero qualcosa di nuovo, rimangono sorpresi da quanto i beduini possono insegnare, soprattutto per quanto riguarda l’ambiente. I ragazzi vivono in un mondo complesso come quello cittadino, ma in realtà la filosofia che sta dietro a questo mondo è poco complessa, mentre i nomadi vivono in modo semplice, ma la filosofia e la cultura che sta dietro al loro modo di vivere è spesso più complessa di quella di chi vive in città. Se dovessi semplificare con uno slogan, ci vuole una mente complessa per vivere una vita semplice, mentre spesso chi vive vite complesse, ha una mente semplice. Penso sia un insegnamento fondamentale e che spesso manca, quando si parla di sviluppo ambientale nei consessi internazionali.

Che rapporto hanno i beduini con la natura?

I beduini hanno una conoscenza intima con l’ambiente in cui vivono. Hanno una connessione con l’ambiente e con gli animali, completamente diversa a quella di tante persone che vivono nelle città. Non si tratta di romanticizzare la loro vita, ovviamente anche loro hanno i loro problemi e difficoltà, ma hanno anche tanto da insegnare. Naturalmente, anche i beduini oggi stanno cambiando con la modernità. Ma anche loro possono essere parte della modernità, portando con sé i loro insegnamenti. Da millenni sono capaci di adattarsi, rimanendo loro stessi, hanno una capacità di adattamento e di comprensione, che gli ha permesso di rimanere tribù nomadi fino a oggi, nonostante i rapporti con tutte le civilizzazioni che sono venute in contatto con loro nei millenni. Sono molto fieri della loro cultura, certo le nuove generazioni hanno i telefonini e sempre più spesso i giovani beduini mi chiedono di trovargli un lavoro negli Stati Uniti o Sud Africa. Mentre le vecchie generazioni sono leali alle loro montagne, sentono di avere un debito con esse.

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