Daniela Matronola
A proposito de “La rivoluzione in pista”

Pagine di circo

Quale mondo si rivela dietro la passione per il circo? La studiosa Maria Vittoria Vittori ha raccolto storie e pagine intorno a questa domanda. E ne è nato un saggio che è anche un po' un diario personale

La prova del nove, per così dire, di quanto davvero un libro sia riuscito a seminare in chi lo ha letto è verificare se vengano fuori parole in cui chi ha letto, appunto, riesca a verbalizzare ciò che il libro ha lasciato come traccia indelebile. Il libro in questo caso è La rivoluzione in pista. Storie di donne, circo e libertà, di Maria Vittoria Vittori (Iacobelli Editore, pagine 138, 16 Euro), uscito lo scorso ottobre dal pregevole piccolo editore Iacobelli che da anni diffonde con regolarità anche la rivista Leggendaria, di cui la Vittori è redattrice fin dalla fondazione, avvenuta 25 anni fa – rivista diretta da sempre da Anna Maria Crispino, che del libro in questione è stata editor di lusso.

In me che ho avuto il privilegio di leggere il libro in lieve anticipo sono rimaste o forse meglio si sono formate le seguenti parole: gentilezza, delicatezza, agilità, leggiadria, volteggio, acrobaticità. Tutte qualità proprie degli acrobati, appunto, del circo, di funamboli e trapezisti, ma mostrate qui anche dall’autrice nel modo in cui volteggia lieve e essenziale lanciandosi da un punto a un altro del suo saggio.

Innanzitutto cosa è questo libro. Che tipo di oggetto è.

È un saggio dal passo avvolgente, proprio, in genere, delle narrazioni magistrali, che ha il dono di… farci dono di numerose storie, di molti personaggi, di innumeri persone e circostanze reali, e poi di molta letteratura – tutto ciò ruota attorno al mondo del circo che è a un tempo magico e marginale, quindi eroico, e, scopriamo, salvifico.

Nelle parole della stessa autrice, che mutua questo concetto dalla filosofa Maria Zambrano, presente come persona e come personaggio nel libro attraverso uno straordinario romanzo (L’eternità finalmente comincia un lunedì – un titolo che è tutto un programma) di Eliseo Alberto (scrittore cubano esule, in Messico), il circo è un salto verso la speranza – e proprio nel volteggio, che è la sua figura acrobatica più emblematica, il circo, dopotutto, riproduce in filigrana il vero valore profondo della nostra esistenza, della condizione umana: il suo andamento spericolato e appartato, la sua reale qualità di biodiversità, e di esperienza umana unica e irripetibile, pur nel tentativo, mai abbandonato da nessuno, di legarsi armonicamente agli altri in un grande girotondo attorno al mondo come recitava una struggente canzone di Sergio Endrigo.

Dicevo che questo libro è un saggio. Lo è strutturalmente. Tant’è che ogni capitolo e sotto-capitolo è corredato da note e da una bibliografia ricca e puntuale. Da questo punto di vista, è un testo rigoroso – oserei dire, esatto. Però in esso c’è molto di più. Dentro questo libro vibra la voce argentina, la facondia ammaliante dell’autrice, che genera storie tra letteratura mito realtà e verità attorno al circo – il quale, si avverte chiaramente, è una sua grande passione da lungo tempo. Dunque non solo, tra le pagine e negli accenti dell’appassionato resoconto, e anche nella rarità a volte di tutto un patrimonio di conoscenze relative al circo (fin dalla sua fondazione: avvenuta in Inghilterra nel 1770), emerge il timbro, cristallino dunque distinguibile, della voce di Maria Vittoria Vittori (allegro vivace partecipe – umanamente alleato delle persone e dei personaggi evocati), ma a questo si aggiunge la forte spinta alla analisi corretta di fatti fonti e circostanze, che deriva al libro proprio dal pedinamento puntuale effettuato sulla lunga distanza, dall’inseguimento veloce e generoso di tutto quanto le si è presentato in anni di esplorazione affettuosa del mondo del circo, e di letteratura e filosofia legate ad esso: cioè al circostanziato tallonamento della studiosa si aggiunga la propulsione dell’intuizione.

L’intuizione (vera extra-risorsa, da scrittore!) ha permesso a Maria Vittoria Vittori, già serissima studiosa, di intuire appunto, con andamento rapsodico sintetico, di indovinare e cogliere in flagrante certe verità e certe corrispondenze che le si sono presentate come vere rivelazioni, come autentiche epifanie – dunque di assicurarsi, e assicurare a noi lettori, con questo piccolo grande libro, una lettura del mondo del circo che lei stessa ha contemplato con la dovuta suspension of disbelief – abbandonando ogni diffidenza o eccesso di scetticismo nei confronti dell’oggetto amato, dunque abbandonandosi, lei stessa, al suo fascino e tuffandosi in esso fino in fondo, e in lungo e in largo.

Dunque questo libro, che è un saggio, che tipo di saggio è?

Per nostra grande fortuna non è solo un saggio accademico anche se ne ha i requisiti. Non è un testo di servizio e men che mai spento. Non è inerte, né restating – cioè non ribadisce tutto il già noto. Al contrario è un saggio da cui acquisiamo tutta una serie di notizie oltre che un disegno complessivo del circo nella Storia, nella letteratura e nel mondo, proprio grazie alla agilità intuitiva dell’autrice-osservatrice.

Dunque, ne emerge anche un ritratto dell’autrice da scrittrice.

Dunque ascriverei questo libro, con qualche licenza, alla fulgida categoria del glorioso personal essay anche se, nonostante la grande vocazione di raccontatrice dell’autrice che il libro rivela, esso registra e certifica la sua precisione nel muoversi tra i dati e le informazioni trovate, di cui del resto dà pienamente conto attraverso l’apparato (tra note e fonti bibliografiche).

Cioè questo libro è l’ibridazione (narrazione di materia saggistica) di un ibrido (resoconto e diario).

Nel libro troviamo molta letteratura – più di quanta se ne possa immaginare in merito al circo. Vi troviamo Baudelaire e Blake, per esempio. Ma colpiscono certi autori, come il già nominato Eliseo Alberto, o Norman Manea, e ancor più le autrici: da Contessa Lara, a Aglaja Veteraniy, ad Amanda Davis, fino a Angela Carter. A loro dobbiamo non solo pagine eccelse dedicate al circo ma la diretta testimonianza di vere e proprie rinascite personali nel circo cioè grazie al circo. Fino ai freaks, veri e propri mostri, sfruttati come fenomeni da baraccone in molti casi, che hanno trovato una propria libera e compiuta cittadinanza solo nel circo che li ha accettati proprio nella loro straordinaria unicità. E qui non posso non pensare anche a Flannery O’Connor e alla galleria dei suoi mostri ordinari in libera circolazione fatalmente destinati a strane colluttazioni in certi racconti (come Enoch e il gorilla) che ritornano osmoticamente nei romanzi (La saggezza nel sangue).

E poi ci sono figure indimenticate dotate di tipica iconicità, come Moira Orfei, e ancor più Charlot: con lui, è sempre emozionante ripercorrere la parabola di chi, come Charlie Chaplin, nato nel circo da una coppia rom nei dintorni di Birmingham, abbia poi portato il suo personaggio fuori dal circo sul palcoscenico e davanti alla macchina da presa, facendo di questo suo clown augusto, cioè goffo tenero e maldestro (in contrasto col clown bianco, che è potente e dispotico), un everyman molto speciale, iconografico, struggente, intelligentissimo, sensibilissimo: qualcuno a cui si vuol bene, e che, venendo a mancare, crea un disperante vuoto d’affetto. Questo libro ci lascia un dono da tesaurizzare. Ci rivela che il circo è il luogo della sfida, in cui il sogno dell’impossibile si fa ricerca del possibile, un luogo dalla natura inalterabile (resiliente si direbbe se la parola non fosse abusata ma tale è per le leggi della fisica: con frase idiomatica, si potrebbe definirlo di gomma). Il circo è l’unico luogo dove la rivoluzione, scopriamo, è possibile. Anzi è quotidiana e certa.


Accanto al titolo, “Il circo” di Georges Seurat, 1891

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