Loretto Rafanelli
Alla riscoperta di Giammario Sgattoni

Il poeta interrotto

Una storia poetica quella dell’autore abruzzese, “oscura” e insieme luminosa. Ora riproposta da una breve raccolta di sue “Poesie” curata da Simone Gambacorta e Ida Quintiliani, dove trova spazio anche l’intensa relazione umana e artistica con il pittore Guido Montauti

Rimane inspiegabile il motivo per cui un poeta autentico come Giammario Sgattoni, dopo alcune limitate prove in versi, peraltro apprezzate da importanti critici (Flora ad esempio), decida di troncare il suo percorso poetico. Certo non è un caso unico, ma raro sicuramente, e rimane la sensazione che una simile resa rappresenti una perdita per l’intera comunità poetica. Difficile capire il perché di questa scelta, in quanto lo stesso Sgattoni, mai dirà nulla al riguardo. Ma chi era Sgattoni e perché se ne parla proprio ora? Iniziamo da una presenza di lui giovane studente all’Università di Bologna, Facoltà di Lettere. Siamo nel 1955. Egli, che vive a Teramo, sceglie una sede universitaria prestigiosa, nella convinzione che una tale opzione gli possa permettere di rapportarsi a una realtà non provinciale, come lui riteneva essere l’ambiente abruzzese. Sgattoni a Bologna ha come interlocutore privilegiato il prof. Ettore Mazzali, noto studioso di letteratura con al suo attivo la pubblicazione di testi importanti sulla poesia italiana dalle origini al Novecento. Lo stesso Mazzali scriverà una lunga nota introduttiva per la seconda raccolta di Sgattoni, uno scritto niente affatto frettoloso o banale, ma approfondito e pieno di spunti critici che diceva di una poesia già matura e di un «racconto che urge» (la nota è del settembre 1955, quando Sgattoni aveva solo 24 anni), come si evince da questo passaggio: «fummo in parecchi a sentircene attratti: perché ci sembrò di scoprire una voce fresca e gentile, capace di puntualizzarsi entro un chiuso e lucido giro melodioso, e magari di illuminarsi in poche battute ritmiche o di risolversi in un’immagine perentoria o in una perentoria sentenza… noi indoviniamo già in questo artefice d’immagini terrestri la presenza dell’uomo di pena, e non già della pena confessata, e magari ostentata, dei professionisti del dolore». Non poco direi. 

Il poeta Giammario Sgattoni (1931-2007)

Sgattoni pubblicò due esili raccolte (nel 1953 e nel 1957) quindi più nulla. Ritorna a Teramo ed è presente nella scena culturale abruzzese: dirige con Giannangeli e Rosato la rivista “Dimensioni”, scrive su riviste e giornali, scrive di archeologia (L’Abruzzo antico, Carabba, 1979) e lavora per l’Ufficio turistico locale. Ma la sua produzione in versi è finita. E qui veniamo all’oggi. Il critico Simone Gambacorta, presidente del Premio Teramo per un racconto inedito (premio fondato – e presieduto – dallo Sgattoni nel 1959, e che ha avuto illustri partecipanti e vincitori) e la storica dell’arte Ida Quintiliani curano un libretto dove vengono riproposte alcune poesie pubblicate nella plaquette del 1957 sotto il titolo Poesie, e nella quale, nella seconda di copertina, il poeta Renato Minore spende parole assai significative sul poeta teramano: «Giammario Sgattoni era un poeta colto, elegiaco, malinconico nella linea di una rinnovata fiducia nella poesia di derivazione ermetica come parola che scava, che conosce, che costruisce il suo mondo, il suo pensiero, l’emozione del suo pensiero. Una voce davvero molto chiara e tutta sua». Viene solo da aggiungere che le folgoranti versificazioni di Sgattoni («E tu non sai chi suona l’organino/ alle Apuane incalzate dalla sera/ che è già qui, dove ingrigita la risacca/ e il Tirreno ha sofferto»), hanno lasciato anche a noi il senso di una poesia alta, affatto acerba, nonostante siano state scritte dal poeta in età giovanile, una poesia risultante come «fiammate del sole». Prendiamo altri versi: «l’onda stracca/ al pontile intravisto che protende/ il suo braccio nel mare s’è incupita», o questi, luminosi e malinconici rivolti al volto sconosciuto di una giovane: «in quell’ora/: eri donna. Sparisti senza voce/ tra Faenza e Forlì. E adesso, annotta». Potremmo continuare a lungo ma il dono della creatività ci pare evidente.

Simone Gambacorta, scrive a proposito della interruzione della produzione poetica di Sgattoni, di un enigma, di qualcosa a cui è difficile dare una risposta esauriente; al fondo, sottolinea, c’è un’amarezza, una inquietudine, per non essere stato appieno riconosciuto nel suo valore poetico dai propri conterranei. Ma, forse, azzardo, c’era altro, penso alla difficoltà da parte sua di trovare un editore di livello nazionale, quindi un riconoscimento che andasse al di là dello spazio abruzzese, cosa, presumibilmente, sentita da Sgattoni come essenziale, perché soprattutto allora il marchio editoriale era una sicura consacrazione. Poi c’è senz’altro la forte ostilità di Sgattoni verso il localismo culturale, sempre un passo indietro rispetto ai veri artisti, sempre ostile verso chi non si allinea ai bolsi canoni territoriali, mentre, aggiunge Gambacorta, Sgattoni aveva una visione che andava oltre e ben conosceva la differenza «tra il fare cultura in provincia e il fare cultura in modo provinciale».

Il libretto dedicato a Sgattoni contempla anche uno spazio riservato al pittore Guido Montauti, il motivo per cui “unire” queste due figure, non è solo relativo al fatto che essi furono in grande e intensa relazione umana e artistica, ma perché il pittore Montauti fu un teramano importante con un significativo riscontro nazionale e internazionale, con anni vissuti a Parigi e rappresentò per Sgattoni un punto di riferimento irrinunciabile in quanto andava oltre le asfittiche mura locali. Cioè quel respiro ampio e profondo che si abbevera di scambi e relazioni culturali internazionali, un passaggio benedetto di cui Sgattoni sentiva la necessità. Ida Quintiliani, che ha curato la mostra dedicata al pittore a Teramo e il relativo catalogo, ci consegna il quadro di questa amicizia e i vicendevoli debiti culturali, illustrando un duplice percorso artistico che divenne comune tensione creativa, conoscenze ulteriori, preziosi sconfinamenti mentali. Un patrimonio, quello di queste due figure, che per la terra abruzzese non può essere disperso e che, sottolinea la stessa critica d’arte, dovrebbe essere un esempio per l’oggi.

Allora, la doverosa ricognizione dell’opera di Sgattoni, ma pure di Montauti, mi sembra un passaggio culturale di grande rilievo e dobbiamo ringraziare per questo il Festival di poesia di Chieti (diretto da Luigi Colagreco) che ha organizzato un convegno apposito in cui si è potuto considerare dovutamente l’itinerario di questo poeta e di focalizzare con lui le vicende culturali abruzzesi di certi anni. La storia poetica di Sgattoni mi si è rivelata in tal modo nella sua “oscura” e luminosa dimensione, attraversata com’è da una vicenda che ancora oggi fa pensare, ma, ricordando la profondità e il valore dei suoi versi, crediamo che sia necessario riscoprire il lascito di un poeta che per quanto “interrotto” ci pare meritevole di adeguate attenzioni.

Nell’immagine vicino al titolo, un’opera di Guido Montauti

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