Sergio Buttiglieri
A Napoli, a Castel Sant'Elmo,

Libertà restaurata

Gian Maria Tosatti ha inaugurato una sua nuova opera altamente simbolica. La descrive così: «Con questi materiali da accudire, grano e plastica, volevo sfidare il mio paese a dimostrare che poteva mantenere viva l’eredità culturale»

L’emozione che ha fatto venire al numeroso pubblico intervenuto all’inaugurazione della ultima immaginifica installazione dell’artista Gian Maria Tosatti all’interno di Castel Sant’Elmo a Napoli è simile per intensità a quella che il pubblico internazionale a Venezia aveva provato percorrendo il suo iconico Padiglione Italia, creato per la prima volta nella Storia della Biennale d’Arte da un unico artista. 

Nell’occasione veneziana, l’opera ideata con la curatela di Eugenio Viola, ha raccolto grandi positivi consensi critici. Quella di Gian Maria Tosatti – che ha avuto come main sponsor il cantiere navale Sanlorenzo e il brand della moda Valentino – è stata ritenuta una magnifica opera teatrale in più atti, che anche grazie alle riuscitissime scene di Margherita Palli ha saputo raccontare la storia dell’Italia del boom economico e della sua successiva decadenza, fino ad arrivare a un emozionante messaggio di speranza, colmo di citazioni letterarie come quella famosa frase  di Pier Paolo Pasolini in cui sosteneva che avrebbe dato la Montedison per rivedere le lucciole.

L’opera che abbiamo avuto la fortuna di vedere completata a Napoli, assieme all’artista stesso, sabato 28 ottobre, era stata originariamente pensata nel 2014 già per Castel Sant’Elmo. Castel Sant’Elmo, ci ha raccontato Tosatti, «è stata la fortezza carceraria di Napoli dove sono poi stati incarcerati moltissimi rivoluzionari e soprattutto della repubblica napoletana del 1799. È stato quindi un luogo che ha rappresentato qualche cosa che abbiamo visto anche in altre parti del mondo.  Cioè dove molte persone che hanno lottato per la libertà sono state incarcerate e spesso ci hanno passato tutta la vita in carcere o quasi. Eppure non si sono lasciate chiudere dalle mura, ma anzi hanno sfondato le mura e ne hanno sfondato anche di altre che sono anche più importanti.  Che sono quelle che ci tenevano dentro a vecchi sistemi coercitivi e letali. Quindi hanno cambiato il mondo dall’interno di un carcere. L’uomo ha questa grande forza se la riesce a trovare. 

«Persone come Antonio Gramsci, Nelson Mandela o Luisa Sanfelice, o Mario Pagano: questi ultimi due sono appunto stati incarcerati a Castel Sant’Elmo prima di essere giustiziati. Questa dedica non era soltanto – come dire? – un cappello per un’immagine. Io credo sempre che le immagini artistiche sono in realtà sempre delle esperienze che vanno ben al di là della parte visiva. Sono in realtà dei momenti di verità. Per questa ragione ho sempre rifiutato di utilizzare materiali legati alla permanenza, ai materiali artistici. Quindi c’è un campo di grano ma le spighe non sono fatte di metallo o di plastica. Cioè di materiali fatti per durare. Per essere sempre li e presentare l’opera sempre bella e ordinata. Sono spighe vere, sono quindi deperibili, facilmente, molto facilmente, deperibili, soprattutto in questo ambiente estremamente umido. E questo comporta il fatto che per poter essere pienamente visibile nella sua bellezza l’opera ha bisogno di una costante manutenzione. Questa era per me una implicazione nodale per l’opera. Cioè volevo da un certo punto di vista sfidare il mio paese a dimostrare che poteva mantenere viva l’eredità culturale che aveva ricevuto.

«E l’idea culturale era quella in questo caso di un bene artistico, di proprietà dello Stato, che deve essere mantenuto. Ma soprattutto sono le idee che hanno ispirato questo lavoro che dovrebbero essere mantenute. Perché la democrazia non è mai data e acquisita una volta per tutte. 

«La democrazia è una questione di esercizio e va tenuta costantemente in attività, altrimenti la perdiamo. E ce ne stiamo rendendo conto in Europa in questi tempi. Sono molto felice che l’opera riapra. Da un certo punto di vista è una specie di piccolo baluardo. E quindi il concetto di manutenzione, di costante manutenzione è qualcosa che è radicato nell’opera ma soprattutto nella sua ragione di esistenza. L’opera sarà sempre aperta. Il problema è che potrete vedere attraverso l’opera qual è lo stato di salute del paese. Perché se le istituzioni sono in grado di manutenerla, questa opera la vedrete in una forma splendida. Se invece non sono in grado per tutte le ragioni che evidentemente rendono questo Stato a volte piuttosto farraginoso e bloccato, vedrete l’opera pian pianino decadere e morire.

«La vita dell’opera in fondo rappresenta la vita intellettuale e valoriale dello Stato. In questo caso è stato possibile attraverso un gesto che io ritengo di grande intelligenza, e cioè una connessione fra due istituzioni: quella del Castel Sant’Elmo (diretto da Marta Ragozzino) e quella dell’Accademia di Belle Arti di Napoli (diretta da Giovanna Cassese) che è un cantiere di restauro sempre aperto che ha consentito di creare una prospettiva di reale mantenimento dell’opera. Quando gli ingranaggi dello Stato cominciano a lavorare come un orologio. Quando ogni ingranaggio sostiene l’altro e gira assieme all’altro questo fa si che questo rapporto diventa organico e diveniamo le cellule di un unico corpo. Quando ognuno fa per se, solitamente si finisce abbastanza male. La partita è che quindi questa immagine che vedete oggi è possibile grazie al fatto che due ingranaggi dello Stato cominciano a lavorare all’unisono. E questo suono armonico ci consente di avere la vitalità dell’opera. Ecco dietro l’opera c’è tutto questo. Non è mai soltanto un’immagine. Dietro l’opera c’è un percorso. E noi siamo parte di questo percorso perché talvolta è soltanto vedendola, amandola e in fondo chiedendo che venga mantenuta, che diveniamo parte del processo che cerca di fare la sua piccola lotta. Perché idee, immagini, esperienze possano continuare a fare vivere l’opera».

Durante l’affollatissima conferenza stampa tenutasi dentro a Castel Sant’Elmo, Lia Rumma, la nota gallerista d’arte napoletana conosciuta in tutto il mondo, che aveva non a caso  scoperto anni fa questo artista, ha raccontato con grande trasporto la poetica di Gian Maria Tosatti che con questa ultima installazione, ha ribadito Lia Rumma,  ha fatto un lavoro indimenticabile, un vero e proprio inno alla libertà. 


Le fotografie dell’opera sono dell’artista

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