Paolo Petroni
Anniversari

Roma Futurista!

Cent'anni fa, la Capitale conobbe una strana, felice fiammata futurista. Grazie a due locali, il Bal Tic Tac progettato da Giacomo Balla e il Cabaret del Diavolo da Fortunato Depero. Una storia in cui si intrecciano arte e teatro

Tra la fine dello scorso anno e questo 2022 due centenari curiosi, relativi all’apertura di due locali futuristi, il Bal Tic Tac (nella foto qui accanto) progettato da Giacomo Balla e il Cabaret del Diavolo da Fortunato Depero, passati quasi sotto silenzio, avrebbero dovuto ricordarci quanto era culturalmente vivace Roma  alla viglia della presa del potere da parte di Mussolini,  essendo divenuta per una serie di casi  luogo di incontro e scambio tra un po’ tutte le avanguardie novecentesche.  “Futuristi ortodossi, anarcofuturisti, futurfascisti, metafisici, bolscevichi immaginisti, dadaisti, presurrealisti” elenca Elisabetta Mondello, docente di letteratura italiana e studiosa di quel periodo, aggiungendo: «All’indomani della Grande Guerra, la capitale mostrava un volto rinnovato: non era più la ‘Roma passatista’ che ‘langue sotto la sua lebbra di rovine’ su cui nel 1910 ironizzava Marinetti, la città antimoderna che due anni dopo era stata il facile bersaglio di una violenta invettiva di Giovanni Papini, destinata a divenire celebre. Era una Roma che ospitava mostre, spettacoli, teatri, cabaret, giornali e riviste vivendo, fra il 1916 e il 1929, una ricca e vivace stagione artistico-letteraria, che scorreva parallela alla sua trasformazione da capitale dello stato giolittiano a capitale dello stato fascista».

Luogo quindi di creazioni sperimentali e iniziative d’avanguardia in cui predominante, ma non solo, era il movimento futurista, sbarcato nella capitale nel maggio 1811 con una conferenza tenuta da Boccioni su “Futurismo e pittura futurista al Circolo Artistico Internazionale di Via Margutta, alla presenza di Marinetti e Balla, in concomitanza con l’Esposizione Internazionale di arte e cultura in occasione dei cinquanta anni dell’Unità d’Italia, cui seguirono nel 1913 due epiche serate al Teatro Costanzi (oggi Teatro dell’Opera). La prima il pomeriggio del 21 febbraio con Giovanni Papini ospite d’onore col suo discorso contro Roma, finita col lancio di ortaggi; «I romani hanno reagito al mio atto d’accusa con le seguenti validissime ragioni storiche e filosofiche – ha poi scritto lo stesso protagonista – fagioli, patate, castagne, limoni, arance, mele e altri prodotti delle selve, dei campi e degli orti. E hanno rovinato non già le mie ‘verità’, ma un violino dell’orchestra e una quinta dello scenario».  In apertura c’era stato il tentativo, subito interrotto, di Ballilla Pratella di dirigere una sua sinfonia futurista, e non gli andò meglio alla seconda serata, il 9 marzo, che ebbe al centro l’intervento di Filippo Tommaso Marinetti, il quale imperterrito rimase in scena avvisando che non se ne sarebbe andato prima di aver detto quello che aveva deciso: «Trombe – fischi – patate – castagnaccio – carciofi – mele = serata futurista al Costanzi» intitolò la sua cronaca il quotidiano La vita il giorno dopo. Il 1913 era l’anno in cui fu pubblicato il Manifesto futurista del Teatro di Varietà (sul Daily-Mail del 21 novembre) in cui, tra l’altro, si affermava: «Il Teatro di Varietà è oggi il crogiuolo in cui ribollono gli elementi di una sensibilità nuova che si prepara. Vi si trova la scomposizione ironica di tutti i prototipi sciupati del Bello, del Grande, del Solenne, del Religioso, del Feroce, del Seducente e dello Spaventevole ed anche l’elaborazione astratta dei nuovi prototipi che a questi succederanno – Il Teatro di Varietà è dunque la sintesi di tutto ciò che l’umanità ha raffinato finora nei propri nervi per divertirsi ridendo del dolore materiale e morale; è inoltre la fusione ribollente di tutte le risate, di tutti i sorrisi, di tutti gli sghignazzamenti, di tutte le contorsioni, di tutte le smorfie dell’umanità futura. Vi si gustano l’allegria che scuoterà gli uomini fra cento anni, la loro poesia, la loro pittura, la loro filosofia, e i balzi della loro architettura – Il Teatro di Varietà offre il più igienico fra tutti gli spettacoli, pel suo dinamismo di forma e di colore (movimento simultaneo di giocolieri, ballerine, ginnasti, cavallerizzi multicolori, cicloni spiralici di danzatori trottolanti sulle punte dei piedi). Col suo ritmo di danza celere e trascinante, il Teatro di Varietà trae per forza le anime più lente dal loro torpore e impone loro di correre e di saltare». E bisogna ricordare che nella capitale si pubblicò dal 1918 il periodico Roma futurista, e la città divenne centro del movimento, dopo Milano, specie quando Filippo Tommaso Marinetti vi si trasferì nel 1925, andando a abitare in Piazza Adriana 30.

Prima dello scoppio della Grande guerra, i locali futuristi della capitale erano la Sala Pichetti, adiacente a Largo del Nazzareno che ospitò vari appuntamenti e un’esposizione delle opere fotodinamiche di Bragaglia, e, vicina, in Via del Tritone 125, la Galleria Sprovieri aperta nel dicembre 1913 e divenuta luogo permanente di importanti mostre futuriste, dalla “Esposizione libera futurista internazionale di pittori e scultori”, inaugurata da Marinetti nell’aprile del ’14 e performance quale la famosa declamazione di Piedigrotta di Cangiullo e i Funerali grotteschi di un critico passatista (Benedetto Croce) «morto di crepacuore» travolto dalla forza del futurismo.

Dopo la guerra invece ecco che nascono i due locali cui si è accennato e di cui è appena ricorso il centenario: nel dicembre 2021 si inaugurava il Bal Tic Tac, prima sala progettata come futurista, attigua all’ottocentesco Villino Hüffer (via Milano 24, angolo via Nazionale) e, in quell’occasione, ”Pitture vertiginose di moto e di colori” sono definite dal quotidiano romano La Tribuna le decorazioni e arredi interamente firmati da Giacomo Balla. Quattro mesi dopo, nell’Aprile del 1922, un volantino di Fortunato Depero strillava «Tutti all’inferno!!! Cabaret del Diavolo. Viaggio di andata e ritorno per l’Altro Mondo», pubblicizzando l’inaugurazione di quel locale chiamato appunto Cabaret del Diavolo, da lui ideato e creato nel centro di Roma, in Via Basilicata, annesso all’Hotel Elite et les Etragers come Bar Americano. Così Massimo Bontempelli in quel periodo annotava che «’in questi giorni, qui a Roma, c’è stato un improvviso e molteplice sboccio d’arte futurista: il futurismo applicato al cabaret».

Sette anni prima, Depero e Balla avevano scritto e firmato assieme il manifesto intitolato ”Ricostruzione futurista dell’Universo”, pubblicato l’11 marzo 1915, che prevedeva di “ridisegnare” e “riplasmare” secondo un’estetica futuristica ogni ambito del vivere umano: si voleva «ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro superamento della pittura e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impenetrabile. Troveremo degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto». Il tempo comunque porterà i due artisti a seguire percorsi con molte analogie ma diversi. Balla seguirà il suo lavoro creativo a un livello di ricerca personale, mentre Depero sentirà l’esigenza di uscire dall’ambito delle esposizioni d’arte e delle gallerie per affrontare in modo pragmatico un’arte applicata, utilizzabile nella vita quotidiana e da mettere sul mercato, diventando uno dei primi grafici e designer moderni.

È proprio su queste intenzioni di Depero che già dal 1918 nacquero in Italia le cosiddette Case d’Arte futuriste: a Roma quelle di Enrico Prampolini, di Anton Giulio Bragaglia e di suo fratello Carlo Ludovico, di Roberto Melli; a Bologna quella di Tato; a Palermo quella di Pippo Rizzo. Quella di Depero a Rovereto, che però vedrà la luce in ritardo rispetto alle altre a causa dei vari impegni dell’artista, che già nello stesso 1922, dopo l’apertura del Cabaret romano parteciperà a una mostra collettiva al Winter Club di Torino, organizzando questa volta, per i volantini che invitano a visitare l’esposizione, un lancio sulla città da un aereo, quello dell’amico futurista Fedele Azari.

Sempre in quegli anni Balla realizzava la sua celebre casa-galleria aperta al pubblico di Via Nicolò Porpora 2, seguita nel 1929 dalla non meno celebre abitazione di Via Oslavia 39b, in Prati (oggi visitabile e collegata al Maxxi), altro sua stupefacente, fantasmagorico luogo, da lui completamente dipinto, decorato, arredato dai mobili alle suppellettili in cucina, dalle tende agli abiti negli armadi, e aveva non molto tempo prima lavorato al soffitto luminoso della sala futurista della Casa d’Arte di Bragaglia, trasferitasi nel 1918 da Via Condotti in Via degli Avignonesi, dove si aprì proprio con una personale di Balla. Nei locali ricavati nei sotterranei dei Palazzi Tittoni e Vassalli che conservavano le terme romane di Settimio Severo, nel 1923 Bragaglia affiancava alla galleria, che nel 1921 aveva tra l’altro visto la prima esposizione Dada in Italia, anche il ”Teatro degli Indipendenti” per il quale Virgilio Marchi, scenografo e architetto futurista, aveva realizzato il ridotto e il bar. È il luogo dove sino al 1930, Bragaglia e poi per sette stagioni (quando lui nel 1924 andò  dirigere la Compagnia Stabile Sarda) suo fratello Carlo Ludovico iniziò a portare avanti il suo rinnovamento dell’arte teatrale a partire da una nuova, moderna idea di regia e l’uso di scenografie ”cromatiche”, mettendo in scena gran parte dei testi d’autori d’ avanguardia italiani e stranieri di quegli anni, da Jarry ad Apollinaire e i futuristi, da Pirandello a Bontempelli o Campanile, da O’Neill a Brecht (l’Opera da tre soldi fu presentata come La veglia dei lestofanti), solo per fare dei nomi e capire che posto importante e culturalmente aperto fosse quello e così la Roma di allora.

I disegni di Balla ritrovati al Bal Tic Tac

All’inaugurazione del Bal Tic Tac naturalmente c’era Filippo Tommaso Marinetti e la rivista milanese Il Futurismo, nel suo secondo numero, ne dava trionfale notizia: «Marinetti inaugurò a Roma, con un discorso, il Bal Tic Tac, grandioso locale per balli notturni, futuristicamente decorato da Balla. Per la prima volta, apparve realizzata la nuova arte decorativa futurista. Forza, dinamismo, giocondità, italianità, originalità». Nel locale arriva anche la nuova musica Jazz.

Pochi anni fa, nel 2019, durante dei lavori per una banca nei locali di ingresso che furono del dimenticato Bal Tic Tac, sono stati ritrovati a sorpresa alcune pareti e soffitti con pittura a secco, a tempera, di Balla, dai colori accesi, gialli, rossi, blu aggressivi, forme sinuose e nebulose che sembrano far esplodere lo spazio cui danno tensione bianchi triangoli. Elica Balla, artista anche lei e figlia di Giacomo, all’epoca dell’inaugurazione una bambina, anni dopo ricorderà come il padre fosse stato per questo contattato da Vinicio Paladini, altro esponente dell’avanguardia romana, che avrebbe poi lanciato il movimento Immaginista: «Gli propose un lavoro di decorazione completamente futurista, per abbellire un locale (oggi si direbbe night-club). Balla, felice, non chiedeva altro, e per un compenso di quattro mila lire accettò subito di fare tutto il lavoro in quello che lui chiamerà il Bal Tic Tac, dove, preceduta da un ingresso fantasmagorico di fiamme e colori infernali, Balla inonda di azzurro e di verdi mattutini la grande sala da ballo e crea disegni e mezzi pratici per realizzare lampade, mobili e ogni cosa, tutto l’arredamento del locale».

Balla, che si autodefiniva “astrattista futurista”, nel 1921 si trovò a operare per realizzare l’intera decorazione in ambienti nuovi, appena costruiti, in assoluta libertà creativa secondo lo stile di quella che fu la prima avanguardia europea: «Le pareti sembrano esse stesse ballare, le grandi linee architettoniche si compenetrano in toni di blu chiaro e profondo, sempre luminoso, come un cielo in festa – scrisse a suo tempo visitando il locale notturno la giornalista Charlotte Caillot della rivista parigina Les Tablettes –. Un enorme trifoglio verde distorce un segno di quadri o uno di picche e taglia un cuore giallo, come se qualcuno stesse mischiando gigantesche carte animate. Una ballerina scompone a ventaglio i suoi movimenti e contemporaneamente ne imprime nello spazio la memoria ritmica. Pilastri tricolori hanno la bonarietà di un 14 luglio amichevole».

Il Cabaret del Diavolo invece era composto di tre sale, denominate Inferno, Purgatorio e Paradiso, che avevano ognuna una specificità cromatica e tipologica: i mobili del Paradiso erano azzurri, quelli del Purgatorio verdi e quelli dell’Inferno rossi. L’illuminazione era creata sui toni bianco-rosa-azzurrino a riflettere e dar luce nella sala Paradiso a immagini di angeli e cherubini; nel Purgatorio bianco-verde per una coorte di anime verdi; rossa a dar atmosfera a diavoli e dannati avvolti dalle fiamme nell’Inferno.

Disegno di Depero per il Cabaret del Diavolo

Il Cabaret del Diavolo era di proprietà di Gino Gori, che aveva allora 46 anni: letterato, teatrante, critico militante noto per la sua intransigenza, negli anni tra le due guerre si fece sostenitore e protettore della cultura e dell’arte modernista prestando attenzione al teatro sperimentale e le esperienze futuriste. Fu lui allora a dare l’incarico a Depero di decorare e arredare il locale che aveva avuto in gestione dall’Hotel e che divenne ben presto noto come uno dei più stravaganti della capitale, attirando tanti clienti curiosi, grazie anche all’essere divenuto ritrovo serale della Brigata degli Indiavolati, poeti e artisti che riconoscevano in Trilussa la propria guida e coinvolgevano dal poeta Luciano Folgore allo scrittore Massimo Bontempelli. E in quelle stanze che, tra un recital e una performance, fu mostrato al pubblico il Vatefonelettronico, una misteriosa macchina che sarebbe stata in grado di “calcolare” la poesia e crearla.

L’anno scorso, con mostre e convegni si sono celebrati i 150 anni di Balla, nato a Torino il 18 luglio 1871, quest’anno, per celebrare i venti anni dall’apertura, il Mart di Rovereto ha realizzato, aperta sino a giugno scorso, una grande mostra dedicata a Depero, che nato in Trentino, in Val di Non 130 anni fa, nel 1892, alla sua morte, nel 1960, lasciò al Comune di Rovereto, oltre a una ricca biblioteca, molto materiale legato al Futurismo e il suo archivio personale, comprensivo di circa 3000 oggetti, tra cui buona parte della sua produzione artistica, carte, materiali della sua ricerca poliedrica, dalla pittura ai complessi plastici motorumoristi, dalla grafica al teatro, dalla poesia alla comunicazione, dalla lirica ai progetti editoriali, convinto come era, alla ricerca dell’arte totale, che tutti i linguaggi fossero da mettere sullo stesso piano.

Intanto una mostra si è da poco inaugurata a Palermo a Palazzo Riso, grazie proprio a prestiti del Mart, a cura dui Nicoletta Boschiero, che resterà aperta sino al 2 Novembre e ricorda anche la trasferta dell’artista nel 1926 in Sicilia dove doveva progettare alcune decorazioni e pavimenti e scriveva alla sua compagna Rosetta: «L’Etna lontano fuma il suo giornaliero sigaro minaccioso» – «Sul mare di madreperla, perle guizzanti lungo la strada parata di case, negozi e abitazioni col pittoresco  teatro della vita intima all’aperto» – «Al mercato vorrei comprare una completa bardatura siciliana da asinello. Bella, festosa, carnevalesca: cinghie lucenti, drappi colorati, ciuffi di piume variopinte. Ma onde possedere al completo il magnifico giocattolo vivente dovrei comprare anche l’amabile bestiola».

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