Sergio Buttiglieri
Al Metastasio di Prato

Morire, che spettacolo!

“Grief & Beauty”, il nuovo spettacolo del regista svizzero Milo Rau, in tournée in Italia in queste settimane, affronta il tema del morte e del lutto. Perché il destino è ineluttabile

Morire per l’uomo è il compito più solitario che esista, ci viene subito ricordato da Milo Rau all’inizio del suo nuovo spettacolo, Grief & Beauty (“Dolore e Bellezza”), visto al Teatro Metastasio di Prato e che nei prossimi giorni sarà a Genova. Uno spettacolo ambientato in un iconico spaccato di una modesta abitazione di provincia.

Ci osserva dall’alto della scena, ancora prima che la rappresentazione inizi veramente, Johanna, tramite un mega schermo: è una donna ottantacinquenne che – come scoprire nel corso dello spettacolo – che ha deciso di porre fine alla sua vita con l’eutanasia facendosi attorniare con un sorriso da tutti i famigliari. Il racconto della sua vita, dunque, è svolto a turno dai vari attori in scena.

A cominciare dal figlio, giovane attore, che ci racconta come morì in scena mentre recitava il Piccolo Principe. Oppure dal vecchio marito, ora allettato, che ad età avanzata si trovò a recitare la parte di un personaggio sadomaso che spogliava con gli occhi una donna per fissarle i seni, cosa che non riusciva veramente mai a fare.

Andare in pensione, ci ricorda impietosamente il regista svizzero, fa «crollare il tuo valore di mercato». Da questa considerazione nasce l’impietoso ritratto di storie di vite casalinghe, in cui ad un certo punto l’ululato dei lupi ripetuto dagli attori in scena fa percepire la loro solitudine esistenziale. Come l’assordante allarme antincendio che imperterrito non smette di infastidire tutti durante il funerale del figlio neonato e che alla fine fa urlare alla madre disperata che questo suono impietoso l’accompagnerà per tutto il resto della sua esistenza devastandole implacabilmente la percezione della vita.

E poi ritroviamo il racconto della ragazza emigrata dalla Sierra Leone che ha sempre più fievole, ma sempre presente, la percezione della sua infanzia in un luogo, quello europeo, che non ritroverà più.

Ad un certo punto il grande schermo scompare in alto sul palcoscenico per far percepire la presenza di un misterioso buco nero avvolto dai rotanti fumi in cui si archiviano le nostre esistenze senza mai scomparire. E il finale ci coinvolge tutti con la piacevole inaspettata danza vintage che il vecchio padre mette in moto ricordando come quella musichetta, da allievo ufficiale quale lui era, gli fece conoscere la sua amata compagna con cui aveva vissuto fino ad allora.

Profonde riflessioni sul senso della vita, sul nostro rapporto con la morte e con la banalità de quotidiano. Un lavoro che è la seconda parte della sua mitica Trilogy of Private Life e che anche questa volta affronta un tema capitale, quello dell’addio, del lutto e della morte, ma anche della solidarietà di fronte ai momenti finali della nostra esistenza. Questioni fondamentali sempre al centro del lavoro di Milo Rau.


La fotografia dello spettacolo accanto al titolo è di Michiel Devijver

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