Laura Pinato
Cronache dal Lido

Le identità perdute

Alla Mostra del cinema di Venezia, nella sezione Orizzonti, arriva un bellissimo film iraniano: "Bi Roya" di Arian Vazirdaftari: un'apologo sull'enigma delle identità. Che cosa possiamo fare quando non siamo più noi stessi?

Il film iraniano Bi Roya, presentato con titolo internazionale Without her, scritto e diretto da Arian Vazirdaftari, regala centodieci minuti di thriller drammatico da non perdere. Il film è prodotto da Fadak Film Company e fa parte della sezione Orizzonti Extra di Venezia 79, oltre a essere stato inserito anche nella selezione Industry Selects 2022 del Toronto International Film Festival. Il lungometraggio propone una riflessione inquietante su quanto il contesto in cui viviamo e in particolare le persone che frequentiamo determinino la nostra identità: e se smettessero di ricordarsi di noi? Come proveremmo la nostra identità? La perderemmo, sembra suggerire il film. La domanda che pone è angosciante: è sufficiente sapere internamente di essere noi stessi per esserlo davvero?

Roya, in una sera di pioggia battente, incontra sotto casa una ragazza che sembra aver perso la memoria. Non sapendo come si chiama, le dà un nome provvisorio: Ziba. La prende con sé, per accudirla. Le dispiace lasciarla alla centrale di polizia, quindi le fa passare nella casa che condivide con il marito, inizialmente riluttante alla presenza di un’estranea. Pian piano, però, la ragazza prende il suo posto, fino ad assumere completamente la sua identità, rubando la sua vita, la relazione con suo marito, la sua imminente migrazione dall’Iran alla Danimarca. Questo è praticamente tutto ciò che accade nel film. La trama non sembra poter reggere un lungometraggio, eppure risulta nei fatti più che sufficiente. L’ingranaggio del furto dell’identità inizialmente è cauto, innescato in sordina, poi prende vorticosamente velocità. L’apice e il punto di non ritorno per la perdita di identità di Roya è il momento in cui i suoi stessi parenti non la riconoscono più. Anche le foto di famiglia sono magicamente cambiate e ritraggono la nuova arrivata. Roya non può che accettare di non essere più Roya.

Il film, grazie a una scrittura sorprendente, è in grado di elaborare tutti i piccoli gradini drammaturgici che portano credibilmente Ziba ad assumere l’identità di Roya, attraverso battute sapientemente bilanciate e un meccanismo di azione/reazione studiato al millimetro. Particolarmente apprezzabile è la scrittura della parte centrale del film, quella più delicata, in cui il passaggio da un’identità all’altra non è ancora compiuto, ma cominciano a scoprirsi i segni evidenti di questa possibilità. In questa sezione del film, le battute dei personaggi sono scritte in modo tale che lo spettatore possa interpretarle sia come prova che Ziba sta rubando l’identità a Roya, sia al contrario come se questo rischio fosse un’ossessione di Roya senza fondamento. Ad ogni segnale di pericolo, da spettatori pensiamo che Roya abbia perso l’identità, per poi ricrederci nel frame successivo, quando nulla sembra davvero cambiato, fino ad arrivare alla scena decisiva: una festa di compleanno organizzata per Ziba e non per Roya. Tutte le tracce dell’identità di Roya si sono perse e quell’inquietante presentimento che avevamo si è avverato. A Roya non resta che assumere una nuova identità, quella che il destino le ha riservato.

Il film è in grado di porre una grossa domanda filosofica sul concetto di identità senza mai risultare pesante o perdere di credibilità. Il tema centrale è aperto, dichiarato, ma mai didascalico. Tutti gli attori dànno un’ottima prova. È un film estremamente complesso da scrivere, basta una leggera sbavatura per trasformare una piccola perla come questa in un flop. Dalla sala si esce inevitabilmente con un’inquietudine dettata da un’esperienza di qualcosa che accomuna tutti gli spettatori. Pensate a quando fate un incubo e vi svegliate. Il passaggio dal sonno alla veglia spesso non è immediato, ci vogliono dei secondi, a volte addirittura dei minuti per capire che quello che si è vissuto non è reale. In quel momento indefinito tra i due stati di coscienza, la percezione di noi stessi è vaga, non possediamo più le certezze che abitano quotidianamente la nostra vita. La nostra stessa identità, il nostro corpo, il nostro passato viene messo in discussione nei sogni e per quei pochi momenti che ci separano dalla veglia, non possiamo essere certi di chi siamo. Ecco, il film propone un incubo da cui si cerca disperatamente di svegliarsi, ma che si rivela, invece, diventato realtà. E quello che riguarda la nostra stessa identità è forse proprio l’incubo peggiore di tutti.

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