Laura Pinato
Cronache dal Lido

Cinema al femminile

Perché la questione femminile dovrebbe essere un “problema femminile”? A Venezia, nell'ambito dei “Miu Miu Women’s Tales”, ne hanno discusso attrici, registe, produttrici. Per arrivare alla conclusione che la "questione femminile" riguarda soprattutto i maschi

Si è chiusa la prima giornata di incontri al femminile targati Miu Miu Women’s Tales, costruiti in collaborazione con le Giornate degli Autori. Dal 2012 ogni anno la nota casa di moda Miu Miu sponsorizza la realizzazione di due cortometraggi firmati da registe di fama internazionale. Ma il punto di maggiore interesse dell’iniziativa sono gli incontri organizzati con le protagoniste di queste creazioni artistiche e le altre partecipazioni straordinarie di registe e artiste. Da Liliana Cavani a Susanne Bier, da Juno Temple a Crystal Moselle, da Tessa Thompson a Vanessa Kirby, sono più di settanta le protagoniste che in questi anni hanno dialogato con la celebre editor-in-chief di Gentlewoman, Penny Martin, moderatrice degli incontri. Quest’anno vengono presentati a Venezia 79, negli spazi dell’Hotel Excelsior, gli ultimi due cortometraggi commissionati da Miu Miu: House comes with a bird di Janicza Bravo e Carta a mi madre para mi hijo di Carla Simón (nella foto sopra). Entrambe le registe sono state le protagoniste del primo incontro di Miu Miu Women’s Tales.

Janicza Bravo, classe 1981, è una regista, sceneggiatrice e produttrice americana. Carla Simón, invece, è una regista spagnola, nota agli amanti dei film d’essay per Alcarràs, uscito nella primavera 2022, di cui è anche coautrice. La conversazione si è focalizzata soprattutto sul tema della necessità di una diversificata visione femminile nel settore audiovisivo, fil rouge di tutti gli incontri organizzati da Miu Miu. La considerazione più interessante proviene da Janicza, che fa riflettere su quanto le domande che la moderatrice, Penny Martin, le rivolgeva, sarebbe necessario rivolgerle anche agli addetti ai lavori uomini. Le risposte, infatti, andrebbero trovate insieme. Questo è un tema importante, io credo, perché solleva una questione che rimane sempre un pochino in sordina: quanto è giusto parlare di femminismo e visione femminile solamente tra donne? Non si rischia in questo modo di relegare i temi affrontati a un “problema femminile”?

La stessa necessità è emersa anche durante il secondo incontro che vedeva protagoniste Natasha Lyonne, Kelsey Lu e Rachel Brosnahan. Le prime due come attrici del corto di Bravo e l’ultima presente a Venezia per la promozione di Dead for a Dollar. Natasha Lyonne è un’attrice e produttrice, nota al pubblico italiano, oltre che per i vari ruoli al cinema, per il personaggio di Nadia Vulvokov nella serie Netflix Russian Doll, di cui è anche produttrice e autrice. Kelsey Lu è una cantante e violoncellista americana, che ha festeggiato il suo debutto come attrice proprio con il corto di Janicza Bravo. Rachel Brosnahan è forse la più nota delle tre al pubblico italiano per la sua interpretazione di Miriam “Midge” Maisel nella fortunata serie Amazon The Marvelous Mrs. Maisel. Anche in questa seconda occasione di confronto, le domande si sono concentrate sul “femminile” all’interno del settore audiovisivo, in particolare nei ruoli produttivi e creativi. Natasha Lyonne, in particolare, con una travolgente e carismatica presenza, che ricorda molto quella di alcuni suoi personaggi, si è lanciata in un più che condivisibile sostegno a quanto sollevato precedentemente da Janicza Bravo: perché la questione femminile dovrebbe essere un “problema femminile”? Non si può che condividere pienamente l’istanza.

Rachel Brosnahan, invece, apre una questione altrettanto interessante e urgente: la necessità di creare, all’interno del panorama audiovisivo mondiale, personaggi femminili “straordinari”, così come succede per quelli maschili da sempre nella storia dello “storytelling”. In effetti, la questione della costruzione dei personaggi femminili, che siano al di fuori dello stereotipo e con una complessità che sia paragonabile a quella dei personaggi maschili, è un problema molto vivo per gli autori di oggi. Sembra però che anche questo sia un problema tutto e solo femminile. Il primo passo da fare sarebbe forse quello di sdoganare questa credenza e affrontare la questione come un avanzamento nello storytelling in generale, piuttosto che come la rivendicazione di un “diritto a essere raccontate”. Ma come si può progredire in questa costruzione? Natasha Lyonne fa a tal proposito una considerazione interessante: gli autori e le autrici stesse nel costruire i propri personaggi femminili si pongono sempre le stesse domande. Questa donna ha una carriera? È in cerca dell’amore? Ma soprattutto: vuole dei figli? In effetti, fino a quando le domande che ci porremo da autori per costruire un personaggio rimarranno le medesime, anche i personaggi saranno pochi e tendenzialmente continueranno a risultare stereotipati, nonostante gli apparenti sforzi. Una costruzione complessa prevede domande alla base che siano complesse oppure prevede che non ci siano affatto domande, ma che il personaggio prenda vita di per sé e sia “casualmente” donna, come lascia intendere ancora Natasha Lyonne.

È interessante notare, infatti, io credo, che quello che accade troppo spesso negli ambienti lavorativi a predominanza maschile si trasferisca anche nella costruzione stessa dei personaggi femminili presenti nello storytelling audiovisivo. Come le registe o le autrici tendono a sentirsi in obbligo di giustificare la propria presenza, a raccontarsi come donne che hanno meritato il proprio posto, a giustificare le proprie competenze, così altrettanto spesso nelle narrazioni che implicano protagoniste femminili, gli autori e le autrici sentono la necessità di giustificare la loro presenza all’interno del prodotto audiovisivo, definire il motivo per cui vale la pena raccontare quel personaggio, far capire bene quali sono le sue straordinarie doti che la rendono una donna degna di essere raccontata.

Se ci pensate, questo non accade con i personaggi maschili. Può accadere, forse, ma sicuramente non è percepita come una necessità narrativa. Natasha Lyonne, infatti, racconta che le piacerebbe un giorno vedere sullo schermo un personaggio femminile che “sta e basta”, osserva l’orizzonte di fronte a sé. Non sappiamo perché è lì e che cosa guarda, ma sappiamo che le sta per accadere qualcosa di grandioso ed eroico. E questa personalmente mi sembrerebbe già una bella rivoluzione.

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