Raoul Precht
Periscopio (globale)

Magellano e Don Bosco

Un bel libro di Nicola Bottiglieri ricostruisce in parallelo l'avventura di Magellano e il viaggio delle spoglie di Don Bosco: un modo nuovo e interessante di affrontare il mito del grande navigatore tanto amato da Stefan Zweig

Quando nell’estate del 1936, durante il primo viaggio in Brasile, comincia a ideare e scrivere il suo Magellano, Stefan Zweig è già un uomo in fuga: da una situazione coniugale difficile, da un’Europa che gli sta sempre più stretta, dal regime nazionalsocialista che lo ha ormai nel mirino nonostante tutti i suoi tentativi di rimanere neutrale ed “equidistante” e di passare inosservato. Sappiamo però che prima di arrivare a Rio de Janeiro aveva chiesto per lettera alla moglie Friderike, da cui intendeva separarsi definitivamente ma che gli fungeva ancora da assistente, di fargli pervenire al suo indirizzo londinese un “libretto su Magellano” che avrebbe poi usato come fonte. Il che indica come forse l’idea di scrivere dell’esploratore portoghese gli fosse balenata già prima del viaggio e non, come scrive nell’introduzione, per un’improvvisa ispirazione dovuta alla presenza, nella biblioteca del piroscafo, di un libro sul navigatore portoghese. Come che sia, la stesura vera e propria avverrà tra il 1936 e il 1937 nel Regno Unito, dove Zweig era temporaneamente riparato, e il libro sarà pubblicato dal piccolo editore austriaco Reichner nel 1938. Sarà anche uno degli ultimi suoi a uscire prima che anche su Zweig si abbatta la scure del divieto assoluto di pubblicazione.

Per stile e concezione, quella su Magellano rappresenta una delle biografie tipiche di Zweig, contrassegnata com’è da una forte attenzione – di derivazione freudiana – ai processi psichici (ben poco verificabili) del protagonista, dal rispetto dei dati storici a disposizione e dall’accurata ricostruzione dei contesti storico-geografici (in questo caso tanto del commercio delle spezie nel Cinquecento, quanto degli intrighi di corte). Come sempre, Zweig tende a dare maggior risalto alle virtù, fra cui prevale la perseveranza, rispetto ai difetti del suo protagonista, nel quadro di quell’intento di comprensione dei motivi intimi con cui Zweig si è sempre accostato ai propri personaggi, da Erasmo a Fouché, da Maria Antonietta a Dostoevskij. Con qualche aggiunta specifica al menù: per esempio, il fatto che Magellano intendesse circumnavigare la Terra e testimoniare en passant che è realmente rotonda non risulta dai documenti dell’epoca. Così come non risultano certi abbellimenti apportati da Zweig, quale l’aspetto per così dire umano e benevolo del personaggio, la cui ideologia militaresca e sprezzante e il cui inflessibile autoritarismo sembrano invece ormai assodati e del resto in linea con i canoni di comportamento prevalenti all’epoca. La ricostruzione di Zweig è stata inoltre criticata per l’ingenerosa raffigurazione degli indigeni, presentati sempre come esponenti di razze inferiori anche quando la loro descrizione non lo avrebbe richiesto. Ma naturalmente queste debolezze vanno lette anche nel contesto dello stile opulento e talora ampolloso di cui Zweig si serve, qui come in altre biografie, stile che rende la narrazione interessante e varia, ma che presenta anche qualche cedimento e risulta a volte faticoso.

Non è difficile capire l’interesse di Zweig per la vicenda storica di Magellano, in un frangente in cui quel mondo che proprio il navigatore portoghese aveva contribuito a unire stava andando rapidamente in frantumi e le zone di relativa sicurezza si andavano sempre più rarefacendo. Non è difficile nemmeno immaginare come Magellano – al pari di Erasmo, o di Sebastián Castellio – debba essere sembrato a Zweig una figura che aveva dedicato la propria vita a unire anziché a dividere, da presentare quindi al proprio pubblico di lettori come un ulteriore esponente di quell’umanesimo di cui lo scrittore avvertiva la scomparsa.

La storia della spedizione è ben nota, mi limito a riassumerla qui in poche righe: inizialmente Magellano non è che un soldato nella flotta del viceré Francisco de Almeida, incaricato dal monarca Manuel I di conquistare l’India e garantire le vie commerciali al Portogallo. Al ritorno da questa spedizione, nel 1513, riceve una lettera da un amico stabilitosi nelle Molucche. Questi, inviandogli anche una mappa, gli svela la posizione di fiabesche isole orientali delle spezie a cui tuttavia si arriverebbe più facilmente veleggiando verso ovest anziché verso est. Occorre però trovare un passaggio a sud-ovest, dall’Oceano Atlantico verso un altro mare ignoto (sarà ribattezzato Pacifico, per la sua apparente calma e solennità, da Magellano stesso), idea che per il navigatore diventa una sorta di ossessione.

Respinto dal re portoghese, che giudica il progetto irrealizzabile (e pare anche che quel soldato spavaldo e sfrontato gli risultasse particolarmente antipatico), nel 1517 Magellano lo propone, un po’ come aveva fatto Colombo, a quello spagnolo, Carlo V d’Asburgo, allora diciannovenne. A questi e ai suoi consiglieri l’idea non dispiace, anche perché consentirebbe di far attribuire alla Spagna, ai sensi del trattato di Tordesillas con cui Spagna e Portogallo si erano spartiti il mondo, eventuali territori interessanti perché ricchi appunto di spezie o di risorse naturali. Carlo V gli assicura dunque una flotta, ma per metterla insieme ci vorranno quasi due anni. Il 20 settembre del 1519 Magellano lascia finalmente Sanlúcar de Barrameda con cinque caracche e quasi duecentocinquanta marinai, e dopo una sosta tecnica alle isole Canarie attraversa l’Atlantico, arrivando prima alla baia di Guanabara, poi, molto più a sud, in un altro porto naturale dove occorrerà accamparsi per far trascorrere l’inverno. Qui, a San Julián, Magellano reprime con durezza un primo ammutinamento (si ribellano tre navi su cinque), dovuto anche a scarse – diremmo oggi – facoltà comunicative, all’incapacità cioè di comunicare alla ciurma le motivazioni delle proprie scelte, oltre naturalmente al freddo e alla scarsità di cibarie. La ricerca del mitico passaggio continua poi fino a farlo scendere nel continente subantartico. Qui, dopo il naufragio a Puerto Santa Cruz di una nave, il Santiago, e la diserzione di un’altra, la San Antonio, che torna indietro, Magellano attraversa il passaggio di Punta Arenas (oggi lo stretto di Magellano) per poi ritrovarsi successivamente in quella che, dalla conquista definitiva nel 1541, sarà la colonia spagnola delle Filippine, avendo unito a questo punto Atlantico e Pacifico, Oriente e Occidente. L’attraversamento avviene il 21 ottobre 1520, anche se per capire la portata della scoperta fatta ci vorrà più di un mese di calcoli e verifiche. Ucciso insieme a venti uomini il 27 aprile 1521 nell’imboscata ordita sull’isola di Mactan (Filippine) da un sovrano locale, Lapu-Lapu, Magellano chiude la sua parabola acquisendo la fama ma non traendo alcun vantaggio concreto dalle sue scoperte. Il poco che rimane della sua spedizione – un’unica nave, la Victoria, e appena diciotto marinai, scampati a morti violente e scorbuto – farà ritorno in Europa sotto il comando di Juan Sebastián Elcano e approderà di nuovo a Sanlúcar, per proseguire verso Siviglia, esattamente cinquecento anni fa, l’8 settembre del 1522, avendo compiuto il primo viaggio completo intorno alla Terra e probabilmente la più grande impresa marittima di sempre. E non è forse esagerato dire che con questo viaggio si chiude il Medioevo e si dà inizio all’era moderna.

Riparliamo di Magellano oggi per ricordare non solo nel suo cinquecentenario l’epilogo di una spedizione che ha cambiato il mondo, ma anche l’avvincente libro che sulla stessa ha scritto l’ispanista Nicola Bottiglieri, uno studioso e specialista di letteratura odeporica. Rispetto a Zweig, Bottiglieri compie un’operazione del tutto diversa, con un libro che non pretende di costituire una ricostruzione sistematica, ma che fin dal titolo, Magellano e Don Bosco intorno al mondo. La memoria dei luoghi, accosta, con motivazioni interessanti, due personaggi che sembrerebbero agli antipodi. Eppure, una similitudine, per quanto esile, c’è: entrambi girano il mondo, Magellano di persona e con le conseguenze di cui abbiamo detto, don Bosco invece fra il 2009 e il 2014, quando non è già più in vita. Le sue spoglie saranno infatti trasportate in quasi cento paesi, nelle case salesiane presenti praticamente in tutto il mondo: un viaggio che Bottiglieri ha ripercorso tappa dopo tappa cercando di mettere in luce alcune incredibili coincidenze. Fra queste, oltre al fatto di aver circumnavigato il globo, vanno ricordati – stando anche alla testimonianza del cronista della spedizione di Magellano, il vicentino Antonio Pigafetta – i sogni di Magellano come premessa e stimolo al viaggio e, in parallelo, i circa centocinquanta sogni riportati di Don Bosco, alcuni dei quali sono appunto di carattere geografico e indicheranno i luoghi dove tra fine Ottocento e inizio Novecento s’insedieranno poi i salesiani, luoghi che guarda caso corrispondono in gran parte proprio a quelli toccati da Magellano durante la sua spedizione. Entrambi, in qualche modo, il primo con le sue scoperte, il secondo con la sua catechesi itinerante, contribuiscono all’esportazione di modelli di vita occidentali, Vangelo compreso, non sempre ben accetti ai locali, o infine accettati solo al prezzo di aspre controversie e scontri.

Questo di Bottiglieri è un libro non solo ricco di spunti, ma curioso e stimolante anche in termini di stile e struttura, visto che ci muoviamo su un territorio fluido, che permette all’autore di passare dalla narrativa tradizionale al saggio storico-geografico alla testimonianza autobiografica, senza dimenticare il ricorso, qui peraltro finemente motivato, alla poesia, come nel caso dell’accenno – più che un accenno, anzi, una suggestione ermeneutica – alla lirica stevensoniana Il mio letto è una nave.

Bottiglieri segue, con gli occhi dell’uomo di oggi, la rotta di Magellano e il periplo compiuto dalle spoglie di don Bosco, rilevando puntualmente la presenza delle case salesiane nei luoghi toccati da Magellano e sfruttando quel che può sembrare un salto temporale financo eccessivo per farne uno strumento di analisi e di comprensione. Con qualche concessione ad anacronismi e fantasticherie, come nella scena in cui don Bosco dà l’estrema unzione a un Magellano il cui corpo non è stato mai restituito ed è quindi per sempre disperso; o ad azioni di portata simbolica, come quando lo scrittore rievoca la collocazione ad opera dei salesiani, proprio in mezzo allo Stretto, di una possente croce di ferro, a suggellare l’universalità degli insegnamenti cristiani. Ma anche con accurate ricostruzioni: si veda a titolo d’esempio lo sterminio degli indigeni nella Terra del Fuoco nel 1886, che spingerà i salesiani a non “mischiare più l’azione missionaria con quella dell’esercito”, in base all’intuizione “che la croce dovesse camminare senza la spada”. Oppure, la rievocazione della vita di Enrique di Sumatra (o Malacca), lo schiavo comprato da Magellano già nel 1511, quando combatteva in Oriente, e che gli farà da interprete alle Molucche. E con momenti di commozione: come la partecipata descrizione del campo di concentramento di Río Chico, dove Pinochet fece imprigionare tutti i ministri del governo Allende. Insomma, un libro con diversi passi suggestivi e di notevole interesse, da cui emerge la capacità dell’autore, spostandosi da un registro all’altro e da una “storia” all’altra, di tenere ben desta l’attenzione del lettore lungo le duecento pagine del racconto.

Facebooktwitterlinkedin