Lidia Lombardi
A colloquio col Maestro Giorgio Carnini

L’organo che non c’è

Riprendono i concerti per organo al Conservatorio di Santa Cecilia. Il musicista che lo ha concepito e che proporrà un viaggio nell’“Album per la gioventù” di Schumann, denuncia la grave mancanza di questo insostituibile strumento nell’Auditorium Parco della Musica della Capitale

Tra partiture e tastiere, lavora intensamente in questo scorcio di settembre il Maestro Giorgio Carnini. Domenica 2 ottobre riprendono gli appuntamenti del Festival Un organo per Roma, che dal 2011 si tiene annualmente – in primavera e in autunno – nella Sala Accademica del Conservatorio di Santa Cecilia, in via dei Greci. Una rassegna concepita da Carnini, con uno scopo ben preciso: portare alla ribalta una grave carenza nel panorama musicale capitolino: la mancanza nell’Auditorium Parco della Musica, sede dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia, di un organo, con il corollario che le parti riservatigli nel repertorio concertistico vengono eseguite da un “clone elettronico”, uno strumento digitale. Invece, sarà il maestoso Tamburini-Walcker a proporre domenica 2 ottobre, in collaborazione anche con l’Accademia Filarmonica Romana (ore 18,30, ingresso gratuito), due lavori di César Franck, del quale ricorrono i 200 anni dalla nascita, eseguiti da Cristiano Accardi, Gilda Buttà e Luca Pincini (rispettivamente all’organo, al pianoforte e al violoncello). Sette giorni dopo, il 9 ottobre, sul palco, a suonare organo e pianoforte, ci sarà lo stesso Carnini, insieme con Pino Insegno, voce recitante.

Musica e recitazione, Maestro, che connubio è?
Un connubio coinvolgente, come nei monologhi di passate edizioni, con Sandro Cappelletto, Paola Quattrini, Andrea Giordana. Ora con Insegno farò un viaggio musicale e letterario attraverso l’Album per la gioventù di Schumann. Un programma che mi tocca il cuore, che implica mie emozioni verso una persona che mi ha lasciato e con la quale ho avuto un’intesa musicale e di vita. Quando era malata le leggevo brani della Gioventù di Schumann. Del testo si è occupato il comune amico Vincenzo De Vivo. Ne risulta un abbinamento suggestivo tra le ultime lettere di Schumann, scritte quando era in manicomio, e una pagina toccante di Clara Schumann, preoccupata di non ricevere più notizie del marito. Nell’Album emerge tutta la psiche del geniale compositore. Perché più che follia il suo era un atteggiamento filosofico teso a perpetuare lo stupore del bambino. Da questa ingenuità esistenziale derivano le sue illuminazioni, innovative quanto fuori da ogni logica. Io le ripercorrerò all’organo e al pianoforte.

Giorgio Carnini

Lei suona entrambi gli strumenti. Perché ha scelto di privilegiare l’organo?
In realtà suono anche il clavicembalo e il fortepiano. Ma se il pianoforte fu il mio primo amore, rimasi in seguito affascinato dal timbro dell’organo. Successe a Buenos Aires, dove ho trascorso la mia giovinezza e mi sono formato. Ma nella capitale argentina non mi permettevano di toccare i grandi organi conservati nelle chiese. Paradossalmente è successo dopo quarantacinque anni trascorsi in Italia. Ci venni subito dopo essermi sposato e per parecchio tempo interruppi l’attività concertistica. Per mantenere la famiglia ho accompagnato danzatrici del ventre, suonato nei piano-bar, fatto il turnista nelle sale registrazione di colonne sonore… Quando è nato il mio secondo figlio ho deciso di riprendere a fare concerti, impegno per il quale avevo studiato, abbandonato per necessità, con grande rammarico.

Proprio durante le sessioni per la registrazione di musiche da film conobbe Ennio Morricone.

Un’epoca, la fine degli anni Sessanta, e un impegno che mi hanno dato molto. Conobbi oltre a Morricone, Bacalov, Piero Piccioni. Spesso mi chiedevano di trovare assonanze strane, particolari timbri con l’organo. Morricone abitava allora in una villa a Mentana, suoi vicini di casa erano, oltre a Bacalov, Sergio Endrigo, Sergio Bardotti, Franco Pisano. Li andavo a trovare ed erano pranzi, partite a scacchi, a carte, tra bande di bambini, i loro figli. Si suonava, spesso arrivavano artisti stranieri. Capitò Astor Piazzolla e raccontò di un’Argentina in procinto di sopportare gli orrori della follia militare.

Morricone poi scrisse una partitura per organo.
Gliela chiesi per dieci anni, anche quando lo incontravo ai concerti dell’Orchestra di Santa Cecilia. Alla fine mi accontentò. Era il 1994. Ci misi un anno a prepararla, tanto era difficile quel Concerto per organo, 2 trombe, 2 tromboni e orchestra. Forse Morricone voleva farmela pagare per tanta insistenza. Al debutto però mi disse: «Ma lo sai, Giò, credevo fosse ineseguibile. Invece sei stato impeccabile». Una musica difficile, che va ascoltata più di una volta per apprezzarla. Ma che contiene tutte le caratteristiche della musica assoluta di Morricone. È matematica e poesia. Lo ripetei in occasione dei suoi novant’anni, nell’ambito del festival di Nuova Consonanza. Ho impiegato altri cinque mesi per riprenderlo. Bisogna sviscerarlo ma poi dà una grande soddisfazione per l’animo.

Molti altri compositori contemporanei scrivono per organo. Nell’ultimo concerto autunnale del suo Festival, il 16 ottobre, ascolteremo prime esecuzioni assolute di Mauro Carli e Franco Piersanti.
Fanno parte del progetto che riguarda tutte le parti di opere di Bach, preludi, toccate e fughe. A ognuno dei suoi preludi si affiancherà una partitura contemporanea. Insomma, Bach inteso così come principio generatore.

Al Conservatorio di Santa Cecilia molti studiano organo?
C’è una classe completa di strumento. E nel corso del Festival accanto a celebri organisti invito molti allievi. Con un doveroso occhio al sociale.

Ma intanto il gigante a canne è il convitato di pietra al Parco della Musica.
Un’assenza che declassa Roma rispetto a tutte le altre sale da concerto del mondo. Compreso il teatro alla Scala, dove ho con soddisfazione avuto un organo sotto le mie dita e i miei piedi. Ho elaborato un dossier di sette pagine per raccontare le vicissitudini dell’organo che non c’è.

Ci racconti la telenovela, Maestro.
L’organo era nel progetto di Renzo Piano, nella sala da 2800 posti al Parco della Musica. L’architetto aveva previsto di eliminare alcune poltrone dietro l’orchestra per fargli posto. Era il 1995, il presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, Bruno Cagli, istituisce una commissione per redigere il progetto fonico. Anch’io ne faccio parte. Il documento viene approvato, con il benestare del Comune di Roma. Si stanziano i fondi. Nel corso della formulazione tecnico-burocratica per la gara di appalto Cagli lascia il posto a Luciano Berio. E qui, inspiegabilmente, l’organo scompare dal panorama del nuovo Auditorium. Berio sostiene che non ci sono fondi e che l’organo va ascoltato nelle chiese. Misteri della politica e di quanti, anche ai vertici delle istituzioni musicali, alla politica si devono rapportare. Anche i miei successivi incontri con il sovrintendente Michele Dall’Ongaro non hanno dato frutti. Né ha avuto seguito la mobilitazione di Italia Nostra. Tra i nostri sostenitori ci sono la Federconsumatori, la Treccani. Una lettera inviata in dodici lingue in tutti i Paesi ha avuto innumerevoli adesioni morali, perché non chiediamo soldi, nella consapevolezza che facilmente si troverebbero sponsor per la realizzazione dell’organo per Roma.

E i sindaci della Capitale?
La Raggi mi disse che non posso condurre da solo la mia battaglia. Ma da lei non ho ricevuto aiuti. Con Gualtieri ho parlato prima che risultasse eletto. Tornerò da lui.

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