Giuseppe Grattacaso
A proposito di “Nessuno veda nessuno”

Nel mondo corale

L'ultima raccolta di Biancamaria Frabotta, poetessa scomparsa nella scora primavera, è quasi un'esortazione a “sentire“ l'altro da sé: l'unico modo per recuperare armonia

L’emergenza sanitaria che abbiamo attraversato, e dalla quale non siamo ancora del tutto venuti fuori, con forza ci ha indicato l’innegabile realtà del nostro destino comune di donne e di uomini impegnati in una dimensione “corale” dell’esistenza, anche se spesso poco propensi ad accettarla, perché in parte inconsapevoli o addirittura infastiditi da una tale evidenza. Quello che accade agli altri, in qualche misura accade anche a noi stessi, ci contamina, ci attiene. Corale è il titolo della prima sezione, che sviluppa temi legati alla prima fase dell’epidemia da coronavirus, che apre la raccolta Nessuno veda nessuno di Biancamaria Frabotta (Mondadori, € 15).

Come i lettori sanno, la poetessa è venuta improvvisamente a mancare durante la scorsa primavera, pochi giorni prima dell’uscita del libro. La morte ha dato un valore testamentario a liriche che indubbiamente sembrano in tanti casi rappresentare un saluto, nascere dalla necessità di ricostruire e conservare il passato, dalla volontà di spingersi verso una definitiva riflessione sui valori della vita, sulle presenze che l’hanno accompagnata, sulla morte che appare un orizzonte sempre più chiaramente delineato.

Corale è la voce che emerge da queste poesie, costantemente tese a cogliere nel nostro procedere nel mondo i segni di una sfida collettiva, in maniera più evidente di quanto avveniva nelle precedenti raccolte (nel 2018 riunite nel volume Tutte le poesie. 1971-2017, edito nella stessa collana dello Specchio). Nei versi di Nessuno veda nessuno si manifesta potentemente l’impegno ad individuare i punti di convergenza che rendono meno arduo il cammino, che avvengono nell’amicizia, ad esempio, o in ambito parentale; a segnalare come anche i momenti emotivamente più intensi, le gioie, le inevitabili infelicità, non siano eventi totalmente privatizzabili, non appartengano mai del tutto ai singoli individui, pena la loro depauperazione, l’irrimediabile perdita di senso.

La poesia di Nessuno veda nessuno si anima così di presenze varie: i poeti amati, i poeti amici scomparsi, le amiche e gli amici di una vita, i genitori, le sorelle, il marito, le persone vicine e quelle incontrate una o poche volte. La voce che ritrova nel passato e nel presente volti e storie è quella, piana e regolare, che nasce dalla costatazione dell’evidenza, anche quando l’evidenza – avviene con apprezzabile frequenza nella vita e in queste poesie – fa emergere piccole epifanie, improvvise folgorazioni, rivelazioni che illuminano il quotidiano di inaspettati reperti o lo condannano a repentini scivolamenti. Il racconto, nella sua breve evidenza lirica, lascia sempre spazio alla partecipazione accorata nei confronti dei destini degli altri, all’emozione prodotta dalla scoperta, pur nel contesto di avvenimenti e situazioni ordinari, di qualcosa di inevitabile e di sorprendente che si compie. Del resto nelle poesie dedicate a Fernando Pessoa, nelle spoglie dell’eteronimo Bernando Soares (Lettere a Pessoa-Soares), si legge: «Mio caro Fernando, nei volti altrui, non vedevi altro / se non ciò che non si vede. Saresti stato un ottimo / prosatore, se l’invisibile fosse descrivibile».

Biancamaria Frabotta è appunto alla ricerca di questo invisibile che in fondo appartiene a tutti, presenza inevitabile, a volte indiscreta, che anima le nostre giornate e i più consueti rapporti, rendendoli intensi e irripetibili, e che la poesia tenta di rappresentare, ma che non può descrivere. Infatti la poesia è «un formicolio / che ci dà alla testa e ci disorienta»; il compenso che promette è «Il silenzio e il rumore. La coscienza e lo smarrimento». O ancora, nella lirica che emblematicamente chiude la raccolta: «Una poesia può esprimere idee sconnesse / può aggirare la logica. (…) / Da dove vengono né dove vanno / non si sa i pensieri dei poeti. / Pensieri vani, magari nebulosi / pare che oscillino in un limbo / di umiltà e superbia».

Il dialogo con i morti e con i vivi, il racconto delle età passate e della presente, il bisogno degli altri e insieme la necessità della solitudine, rendono evidente che la poesia è disorientamento, è ricerca di una diversa logica e di un nuovo assetto, forse sconnesso, ma capace di fare emergere l’invisibile, è «la coscienza e lo smarrimento» che ci permettono di ritrovare dentro di noi l’irripetibilità anche degli eventi della quotidianità e ne offrono una ragione, pur nella consapevolezza che ogni tentativo di spiegare non può che offrire solo un parziale appagamento.

Rispetto al carattere vagamente sperimentale delle prime raccolte, alla componente più ideologica che le animavano, la poesia di Biancamaria Frabotta vive in questo libro di una coloritura sapienziale, si fa sorridente nei confronti dei destini del genere umano, senza mai comunque voler essere rassicurante né totalmente conciliante. «Eppure in te ardevano – sono versi dedicati a Simone de Beauvoir, che sembrano adattarsi facilmente all’autrice – barlumi di fiducia / nella solidarietà e nell’amicizia».

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