Roberto Mussapi
Every beat of my life

Il Leone nero e il Principe dei dubbi

Amleto secondo Wole Soyinka, grande drammaturgo e «scrittore in toto». Il suo teatro segna «il ritorno di un genere poetico delle origini greche» e riporta «la poesia al suo originario connubio con il teatro»

Quando vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1986, il primo conquistato da un africano, il cinquantaduenne Wole Soyinka era rappresentato come una rivelazione sulle scene londinesi. Grande drammaturgo, Soyinka è scrittore in toto: poesie sui miti universali, come Ulisse, romanzi che fondano un’epopea. Da Gli interpreti, ad Aké,romanzo di formazione, a L’uomo è morto, scritto durante la prigionia e la tortura, senza mai un cedimento. L’uomo è morto, ma la parola lo fa sopravvivere alla morte. Durante la guerra del Biafra, 1967, il giovane Wole Soyinka, che si pronunciò contro il conflitto e per la pacificazione fu arrestato, ripetutamente torturato. Il Leone nero non si piegò. Carcere, tortura, resistenza, poi esilio.
Poeta romanziere saggista di potenza mitopoietica, Soyinka è il massimo drammaturgo del dopo Beckett, e riporta la poesia al suo originario connubio con il teatro.
Il teatro di Soyinka non è solo importante in sé, ma rappresenta il ritorno di un genere poetico delle origini greche, intendo la poesia di Eschilo, Sofocle, Euripide. E non a caso Soyinka, in un saggio giovanile, interessante e a tratti giovanilmente eccessivo, sottolinea affinità tra il mito greco e quello yoruba.
Insomma ci troviamo, in pieno secondo Novecento, di fronte a un teatro in cui si fondono mito, poesia e storia. 
Qui, in questa sua chirurgica e sapienziale poesia su Amleto, vediamo come il genio shakespeariano continui a riprodursi, in versi in cui mito e rappresentazione, storia e destino si fondono nella voce. La voce del resistente, dell’africano, del nigeriano, del Leone nero Wole Soyinka. 

Amleto
Placava i suoi dubbi nati a paralizzare
una decisione incombente. Temendo l’errore 
la fiamma della passione si assopiva, a disagio
la mente indulgeva al marcio in Danimarca.

Spettri laceravano la sua terra, si aggrappava alle sbarre
in una galleria di realtà astratte, sezionava racconti
“narrati da un idiota”. Apatico, mise in scena
un teatro di passione per la colpa che volle assumere.

Disperò la giustizia, i giri e i rigiri della ragione
danzavano sconfitti al contrappunto del dovere,
finché il tradimento incrinò la lastra della creta primigenia 
e allora la Metafisica abdicò all’accidia.
Il sale nella ferita, la “punta anch’essa avvelenata”.
Così si irrigidì il principe dei dubbi.

Wole Soyinka

Traduzione di Roberto Mussapi (nella foto insieme a Wole Soyinka)

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