Fabio Orso
La Mostra del cinema

Omero nella banlieue

A Venezia è passato un piccolo grande capolavoro: "Athena" di Romain Gavras. Una storia classica, con Ettore e Achille, ambientata nella banlieue parigina. A dimostrare che i miti sono sempre attuali. E ci riguardano

Combattuto fra il fascino del tappeto rosso e l’ansia di non averlo ancora calcato. Sì: sono un attore. E sì: è la mia prima volta al Lido. Solidissima sveglia alle sei e mezza per prenotare i biglietti su una non-tanto-solidissima piattaforma online. È una pratica obbligatoria per assicurarsi i film più succosi. Quelli di cui parlano tutti. I film di oggi me li sono conquistati ieri, dopo circa un’ora e mezza di anonima lotta fratricida con gli altri co-dannati avventori di una delle kermesse più importanti del nostro paese. Non ero così emozionato da Sanremo.

Dopo essere sopravvissuto alle cinque ore di Von Trier ieri, torno al Palabiennale, sperando di trovare qualcosa di altrettanto interessante (Lars è un burlone e mi ha fatto passare velocemente il tempo con il suo Riget: Exodus).
Dell’altro film visto ieri, Un Couple, non vi parlerò: è una roba che andava fatta a teatro. E, come tutte le volte che invece è il teatro a voler fare il cinema è venuta una gran… beh insomma, andatevi a vedere le recensioni.

Ma torniamo a questa mattina. Nella speranza di trovare qualcosa di piacevole – ma non necessariamente accostabile ad una maratona Mentana – mi dirigo verso la sala. Il film promette bene: la protagonista è Kate Blanchet. Una diva. Una dea. Una che fa il cinema bello. Figo. C-a-z-z-u-t-o. Vi ricordate Blue Jasmine? Mi siedo e guardo Tàr.

Due ore e trentotto minuti di Kate Blanchet. Bravissima Kate. Eccezionale Kate. Però. Solo. Kate. Avete mai avuto l’impressione che un attore faccia un film solo perché vuole vincere l’Oscar? Non mi importava nulla del suo personaggio e di ciò che faceva. Figurati degli altri. Era solo una – perfetta – performance della Blanchet. E scusate, per quello c’è YouTube. O Instagram. O qualunque altra piattaforma ti permetta di non dover passare più di cinque minuti per vedere quant’è bravo un attore a farsi venire delle credibilissime vene sul collo quando si arrabbia. Oscar, subito! Per carità. Però ce l’ha già. Va bene così. Ma fatemi godere un po’! Esco abbastanza infastidito.

Mi fiondo subito dopo nella Sala Darsena a film iniziato. Athena. Non ho letto nulla a riguardo. Non si trovava molto in giro in realtà. Solo un cartellone di fronte alla Biennale alternato all’onnipresente Inarritu (che non sono riuscito a vedere – grazie Vivaticket).

“Athena”, foto Maxpoto

Avete presente quei momenti in cui qualche divinità benevola sembra darvi esattamente quello che vi serve? Ecco, in questo caso il Dio del cinema, anzi, di tutte le storie, anzi, Atena in persona è venuta a baciare me e Venezia tutta sulla fronte. Reincarnatasi in un certo Romain Gavras.

Sono davvero troppe le cose di questo film che varrebbe la pena menzionare: una regia impeccabile, potente, come gli attori e la sceneggiatura. Tuttavia, c’è n’è una su tutte che vale la pena approfondire: Omero. Questo tizio, Roman Gavras, ha portato Omero nella banlieue parigina. Ha preso l’epica più potente e nobile della storia è l’ha portata in uno dei luoghi più evitati e commiserati del mondo “civilizzato”.

E così facendo, Gavras mi ha fatto ricordare perché è bello raccontare le storie: perché Achille ed Ettore siamo io e tu. Perché la vendetta è nella nostra carne, la paura è nelle nostre ossa ma, nonostante ciò, la compassione per gli altri esseri umani è nel nostro cuore. Ed ecco a cosa servono le storie, a ricordarcelo. Ad agire di conseguenza.

Oggi Athena è anche la dea del cinema.

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