Giuseppe Grattacaso
A proposito di "Insonnia"

La logica della notte

Andrea Manzi esplora, tra poesia e prosa, le insidie dell’insonnia. Fino a concludere che, forse, il prolungarsi della veglia oltre il suo tempo è un’occasione di conoscenza. Tutto sta a riempire quel nuovo spazio

L’insonnia è condanna, ma in qualche modo anche strumento di conoscenza, scandaglio per indagare la realtà da un punto di osservazione diverso, in parte diametralmente opposto, rispetto a quello abituale. Può darsi, anzi, che la condanna consista proprio nell’essere costretti a penetrare e a permanere nella zona buia delle ore notturne, animata da presenze invisibili o diversamente percepibili se viste alla luce, e da questo luogo inevitabilmente dialogare con i territori poco illuminati della nostra esistenza e con gli spettri della coscienza collettiva.

In questa regione ambigua e insidiosa, che per il proprio benessere fisico e mentale non si vorrebbe mai esplorare, ci porta il bel libro di Andrea Manzi Insonnia (Castelvecchi, € 15): un prosimetro, un poemetto notturno in versi scandito da tre lunghe prose, che è anche il racconto dello spazio inospitale e sospeso, nel quale si rimane in stasi inquieta quando diventa impossibile accedere a un sonno riposante e rassicurante. Il procedere è quello lento e circostanziato, ma improvvisamente animato e impaziente, proprio delle cose che accadono al buio: lo sguardo è pronto a cogliere i particolari sfuggenti di un mondo per forza di cose evanescente e sfilacciato, l’occhio si sforza di mettere a fuoco i fantasmi, che si materializzano appena un istante prima di lasciarci sgomenti, e pieni di domande, dinanzi al nulla.

Il linguaggio utilizzato da Manzi, emotivamente intenso, a tratti in cerca del rigore del distacco che potrebbe salvare e della oggettività che potrebbe permettere di capire, ci conduce in un viaggio che è insieme scoperta e rimozione, attesa e paura, ricerca di una reazione e calvario, presenza, come si è detto, di vicende e figure immateriali e distanza dalla realtà che conosciamo, con la conseguente assenza di senso che produce sgomento.

“La logica della notte – scrive Manzi nella prosa d’apertura – è quella del paradosso e ti sbatte davanti agli occhi fantasmi avvertiti come presenze incarnate e sanguigne. Essi sono lo schermo sul quale trasferisco e insceno la mia esistenza debilitata e distante. È nei loro occhi che traslocano le parti di me sequestrate sotto il macigno dell’impossibilità”.

Il tempo dell’insonnia è scandito dalle ore in cui giornate ed anni trascorsi si ripresentano e si confondono con il presente, rimettono in scena avvenimenti che appaiono frammentati e che pure irrompono con violenta forza emotiva e carichi dei loro irrisolti interrogativi. È il tempo abitato non dal sogno ma dal “pensiero sognante”, nel quale “soffiano brezze usurate / sono attacchi di fiabe”, perché anche l’infanzia fa capolino, in questo tempo ritrovato e nuovamente perso, con tutta la portata di desiderio e incertezza che essa comporta.

Andrea Manzi, che, oltre che poeta e autore di testi teatrali, ha svolto e svolge un’intensa e apprezzata attività giornalistica (è stato redattore capo de Il Mattino, fondatore e direttore de La Città, vicedirettore del Roma), confessa: “i minuti sottratti alle tenebre / stillano gocce di fiele – / al tempo della linotype erano / scalmanati parti foglianti / oggi respirano ricordi brumosi / d’aria sfibrata / in cerca di riconoscimento / nella prateria di infinite veglie / verso il giorno che stenta -”.

La notte dell’insonnia è realtà scomposta e deforme, e anche tempo che non genera attesa, se non quella della luce dell’alba, di un giorno che comunque cederà nuovamente il campo “alle aritmie notturne / all’incuria del tempo / riparato nei nascondigli / ombrosi di luci calanti”.

Con lucida capacità di orientamento e di disorientamento, Manzi ci mostra un paesaggio sospeso e nebbioso, che nasconde i confini delle cose e che ci lascia intravedere, con tutto il peso che essa contiene, una realtà che esiste “sotto il livello delle forme”: “è un aratro l’attesa / rivolta inutili pensieri / tra filari d’albe batuffoli soffiati / chiari sono i sogni – il resto / è buio – anima nera / che non fa doni / (…) / ogni cosa esiste sotto il livello delle forme / la vita aspettando il giorno è vapore / che sbafa nel grigio e non cede / i confini nasceranno col giorno / e ogni figura entrerà nella camicia del tempo”.

Il linguaggio della poesia assume la lingua della notte. Saltano le connessioni e gli abituali rapporti logici: le ombre, le paure, i trasalimenti e le proiezioni sciagurate che ne derivano abitano in profondità il pensiero e la parola. Il poeta utilizza insomma una lingua dell’insonnia, con scarti improvvisi di ragionamento e testimonianze del prorompere di uno spaventoso silenzio, paradossalmente ricco di senso. Nel racconto di Andrea Manzi è possibile ritrovarsi tutti, anche i felicemente dormienti, perché Insonnia in fondo è il terreno fragile della coscienza, quando è alle prese con il chiaroscuro dell’esistenza.


Accanto al titolo, Johann Heinrich Füssli, “L’incubo”, 1791, particolare

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