Laura Pinato
Cronache dal Lido

Amanda e gli altri

A Venezia arriva "Amanda", il film di Carolina Cavalli su una generazione solitaria che non riesce a costruire rapporti. La storia di una venticinquenne che scopre di non avere amici. E decide di porre rimedio al problema, come se fosse una questione scientifica...

Nella sezione Orizzonti Extra di Venezia 79 è stato presentato il nuovo film che vede protagonista Benedetta Porcaroli, Amanda. La regia e la sceneggiatura sono firmate da Carolina Cavalli, autrice della serie RaiPlay del 2020 Mi hanno sputato nel milkshake, vincitrice del Premio Solinas Experimenta. Il film è prodotto da Annamaria Morelli e Antonio Celsi per Elsinore Film, Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, Moreno Zani e Malcom Pagani per Tenderstories. Elsinore Film, prima promotrice e produttrice di Amanda, è una casa di produzione giovane, che si sta distinguendo nel panorama attuale dell’audiovisivo italiano per la ricerca e la realizzazione di opere prime e seconde. L’idea del film è semplice ed efficace: una venticinquenne non mai avuto amici e prova per la prima volta ad averne una. Tutto il film ruota attorno ai suoi tentativi grotteschi di costruire una normalità relazionale.

L’elemento di Amanda che ho apprezzato maggiormente è la scrittura dei dialoghi: c’è una cura, una precisione, una caratterizzazione e una ricerca di stile specifico che sono rari nei film italiani, che peccano troppo spesso al contrario di vaghezza e pressappochismo nella stesura delle battute e nella creazione di uno stile linguistico. Le battute in questo film sono ironiche, ciniche e surreali. Come surreale è anche la costruzione del mood fotografico e scenografico. Tutto risulta sospeso, sembra quasi che la regista e il direttore della fotografia cerchino di ricreare un orizzonte sorrentiniano, con dei personaggi che potrebbero però abitare una serie come The End of the F***ing World. La costruzione estetica, quindi, sebbene appare a volte un tantino forzata nella direzione del surreale, e la scrittura dei dialoghi allontanano senza dubbio la pellicola dal rischio di essere “il solito film italiano”, rischio che la scelta, come attrice protagonista, di Benedetta Porcaroli, che fa una buona prova attoriale, poteva portare con sé come preconcetto tra la critica.

Amanda è una storia di solitudine. Non si capisce precisamente cosa abbia trattenuto Amanda per tutti questi anni dall’avere un’amica. Sappiamo solo che è tornata da poco con la famiglia nel luogo in cui è nata e che è una venticinquenne che nella vita non fa nulla: non lavora, non studia, non esce con gli amici. Va solo al cinema, spesso. Ovviamente da sola. Tutto cambia quando un giorno la madre le rivela che lei un’amichetta, quando era molto piccola, ce l’aveva: la figlia di un’amica della madre, una della sua età. Qualcosa allora scatta nella testa di Amanda: vuole riscattare quella perduta possibilità di avere una migliore amica. I genitori, si convince, allontanandola da lei, le avrebbero impedito di avere questa grande amicizia che ora ha tutta l’intenzione di recuperare. Lo fa, però, a modo suo, il modo di qualcuno che non ha mai “allenato” la propria socialità e perciò la costruisce in modo brutale, di getto, come se fosse qualcosa i cui pezzi si possano mettere insieme a tavolino. Rebecca, però, la designata migliore amica, a sua volta è una ragazza difficile, che soffre di depressione e passa lunghi periodi chiusa nella propria camera, immaginando scenari inquietanti e ansiogeni cui cerca di “allenarsi” per non arrivare impreparata. Fra le due il rapporto è difficile, ma cresce, fino a quando, però, implode: la terapeuta di Rebecca le consiglia di smettere di frequentare Amanda, che risulterebbe nociva per lei a causa della sua personalità borderline. Parallelamente Amanda esplora anche la bislacca costruzione di una relazione sentimentale con un ragazzo, interpretato da Michele Bravi, del quale si convince di essere la fidanzata. Anche in questo caso la costruzione del rapporto è forzata e diventa presto ossessiva, fino a scoppiare. Nella relazione con Rebecca, tuttavia, c’è un happy ending: l’amica decide di vendicare “lo stronzo” che ha trattato male Amanda facendo un’incursione alla sua festa con una quantità sorprendente di petardi. Alla fine le due sono unite nella singolare specialità che le accomuna.

La storia nel complesso regge e interessa, mantenendo viva l’attenzione in sala. Tuttavia, c’è qualcosa di irrisolto a livello drammaturgico. Credo che questa sensazione derivi dalla difficoltà di immaginare il film come una storia che preveda così fortemente la presenza di una sola protagonista. Amanda non ha mai avuto un’amica e questa circostanza è abbastanza sorprendente e decisamente straordinaria, ma la persona cui si avvicina è altrettanto disadattata e minimizza in qualche modo l’unicità del personaggio di Amanda. Per mantenere i due personaggi io avrei optato per rendere coprotagoniste entrambe le ragazze, che insieme affrontano il proprio demone, riconoscendo nell’altra, finalmente, qualcosa di sé. Oppure avrei costruito diversamente il personaggio di Rebecca, rendendola profondamente diversa da Amanda. Nella costruzione attuale della relazione fra le due emerge poco forte il conflitto e anzi quello che la protagonista ha con il resto del mondo risulta depotenziato. C’è poi un’altra questione prettamente drammaturgia che a mio parere concorre a lasciare il film in un limbo di vaghezza: la caratterizzazione psicologica di Amanda. Dall’accurata costruzione delle battute, risulta una ragazza molto intelligente, decisamente sopra la media, tuttavia questo elemento non viene poi mai sfruttato. Forse è questa intelligenza oltre la media che le ha reso difficile avere degli amici? Forse l’ha fatta rinchiudere sin da bambina in una torre di solitudine la sensazione di non essere mai capita, perché il mondo attorno era troppo stupido per lei? Queste rimangono supposizioni, perché questa possibilità non viene mai aperta davvero all’interno del film.

Gli elementi critici nella costruzione drammaturgica della storia fino a qui delineati, se meglio sviluppati, avrebbero putto apportare davvero un punto di vista originale sul tema che l’autrice evidentemente vuole raccontare sullo schermo. Il film rimane una visione consigliata e una creazione di buon livello, grazie anche e soprattutto a un evidente e curato sforzo produttivo, tuttavia è uno di quei casi in cui, data la forza dell’high concept, si può proprio dire che si poteva fare meglio.

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