Gabriella Palli Baroni
“Tempo d’opera” di Alberto Toni

Il fuoco dell’esistenza

Il libro postumo di versi inediti del celebrato e rimpianto poeta scomparso nel 2019, curato da Roberto Deidier, è scandito da luci e ombre, ansietà e conforto. Ma sempre si avverte una visione aperta, orientata verso «l’assoluto della cosa da dire e da fermare nel tempo della poesia»

Alberto Toni era un poeta amico, gentile e fine nel tratto e nella poesia, che gli era stata compagna dalla giovinezza fino alla soglia della sua scomparsa, avvenuta nell’aprile del 2019. Ma oggi, grazie alla curatela di Roberto Deidier e all’amorosa volontà della moglie Patrizia, ci giunge un nuovo e postumo libro di versi, Tempo d’opera (Il ramo e la foglia edizioni, Roma 2022), portandoci componimenti inediti, da lui preparati con grande cura per la pubblicazione. Ne parla Deidier nella sua Introduzione, che è racconto affettuoso di un’amicizia tra poeti nella Roma degli anni Ottanta, di un reciproco leggersi e trovarsi e, nel corso del tempo, di un’intensa relazione intellettuale che aveva al suo centro la poesia. La letteratura infatti rimase, afferma Deidier, «il fuoco della sua esistenza», precaria e fragile nel corpo – Non c’è corpo perfetto è il titolo della raccolta licenziata nel 2018 – ma custodita strenuamente, perché necessaria e profondamente sua nelle ragioni umane e di stile che la sorreggevano.

Luci e ombre entrano ora in questi ultimi versi, ne scandiscono i momenti in cui si alternano ansietà e conforto, ma sempre il dettato appare alto, la parola calzante e ferma, la visione aperta, tesa verso l’assoluto della cosa da dire e da fermare nel tempo della poesia. Se nella prima lirica Voi che siete già, voi, dunque, gli smarriti al dubbio si affaccia «il segno che decifra» a suggerire il bisogno di «luce e verità/ qualcosa che ci dica dov’è il luogo e che luogo», più innanzi la parola può venir meno, cancellata (E dire: non c’è parola. Un tornaconto non c’è), quasi persa nel «rito fraterno dell’incontro», mentre si vorrebbe essere «presi per mano un giorno». Sono questi segnali segreti di chi conosce l’energia della condivisione e della fratellanza; sente che il tempo fugge, mentre insegue una perfezione, un’armonia impossibili: il mattino che si apre , il dolce canto degli uccelli, l’abbaio dei cani nella notte, il leccio «nel chiarore lontano, quasi perso» (Ma anche il paradosso della veglia), l’amore «tutto un rifiorire, /tremare in tua presenza» (E come all’ultimo balzo del mattino sparisce), la misura che «è proprio il giusto che il sole ci dà» (Per domani vediamo. Devo), il silenzio infine, arte del «mancamento e della rinascita» (Quella notte distesa, notte di cretti nel capannone buio), «il silenzio delle parole, / la giusta dimensione, e nuova anche nell’impegno» di chi conosce il valore accomunante del mondo dei libri (a Giovanna Sicari).

Emergono premonizioni malinconiche e desideri; l’umano sentire; la sfida appassionata; la scoperta che è vita, anche degli oggetti e che «sta tutta nel pensiero che li fa vivere» (Quel vaso di felci, non lo guardo mai, ed è come se stesse); il dissidio e lo sfiorire del senso delle cose; l’inganno della giovinezza. Alberto Toni guarda alla concretezza delle cose stesse, ma esse sono spesso via al turbamento e al pensiero di sé; all’inquietudine di chi sa che Accadeva una volta, ora non accade più, e che il cammino naturale è insidiato dal vuoto e da qualcosa che si è perduto: «E di sera /il verde di tutti gli alberi del giardino era più verde, /più lunga l’ombra, più disteso il suo raggio d’azione». Sono le Coseche, con René Char in esergo, «repentine accadono» e che «ci precipitano», ma anche «trasformano tutto in un istante ciò che è stato, /aprono porte e finestre, rompono il muro dei suoni / persi e ritrovati, una feritoia al suono, non è dietro / né avanti, ma nel presente vivissimo, troppo vivo». 

Ed ecco la memoria farsi avanti, risvegliare immagini del passato custodite nel segreto del cuore (Scorre l’acqua in giardino, risalta la sagoma nel verde), mentre la morte insidia  e nulla di ciò che «accadeva una volta» accade e se ci sono le cose che accadono «non possiamo farci niente», come insistentemente ripete in È una pioggia lenta, l’acqua che cade, vedi, quasi ad accettare un destino amaro, che tuttavia non disperde «l’incanto che resta» della parola (Difendimi dal sospetto che la mente indaga). È la parola poetica ad accamparsi lungo le liriche ed è assai intenso il dialogo che Alberto Toni intrattiene con l’arte – si noti il quadro Niente storie di Enrico Luzzi in copertina – sì che «lo strappo di una parola a stento ritrovata» richiama Rotella, Afro «dal tempo dei tempi» (C’è un gran parlare intorno); l’immagine di sé «chiuso a braccia conserte» può far pensare a un igloo di Mario Merz e un attimo, «un niente», può ricondurre a un sentimento perduto, all’emozione della Crocifissione di Guttuso. Così procede il poeta, al pari dell’ultimo Sereni di Stella Variabile, tra sussulti improvvisi e attimi della memoria e innesti di presente, in un cammino che si avverte pieno di incertezza e di tremore, ma che pure investe di tenerezza la vita.  Essa «scivola via leggera dalle nostre mani» e può tornare con un nuovo “inizio”, con un’inattesa speranza: il respiro della città, un desiderio in volo alla Chagall, l’Angelo di Licini e il tempo quotidiano, la fede mai perduta nella parola, «il libro aperto, il respiro, il lascito leggero» (Tremavi).

Nell’immagine vicino al titolo, “Otto”, un’opera di Enrico Luzzi del 2000. Dello stesso artista l’immagine sulla copertina di “Tempo d’opera” di Alberto Toni

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