Laura Pinato
Cronache dal Lido

Cent’anni di fascismi

Alla Mostra del cinema di Venezia un regista irlandese, Mark Cousins, racconta la propaganda fascista cent'anni dopo. Il suo film-documenario "Marcia su Roma" mette in relazione passato e presente, Mussolini e Donald Trump. E apre uno squarcio inquietante sul nostro presente

Nella prima giornata di Venezia 79, la sezione indipendente Giornate degli Autori apre la propria rassegna con un evento speciale: la proiezione di Marcia su Roma, film documentario diretto dal regista irlandese Mark Cousins. Il film, in uscita nelle sale italiane a ottobre, è una produzione Palomar in collaborazione con Il Saggiatore e il CSC, ed è distribuito in Italia da I Wonder Pictures. Il film, come ci racconta il titolo, vuole ripercorrere l’evento cruciale del 28 ottobre 1922, quello che dà avvio alla consacrazione del fascismo come unico “credo” di Stato. Prima che un film sul fascismo, però, Marcia su Roma è una lucida analisi dell’occulta potenza dell’immagine, soprattutto di quella cinematografica. Il cinema ha il potere di manipolare la realtà, attraverso la regia e il montaggio. L’evento storico della marcia dei fascisti all’interno della capitale, fino all’ascesa trionfale sull’Altare della Patria, non è raccontata “direttamente”, ma attraverso i frame di altri prodotti audiovisivi, soprattutto di A noi!, il film di Umberto Paradisi, che fornì la narrazione ufficiale, in Italia e all’estero, dell’evento epocale. Altro materiale di estremo interesse è quello proveniente da un capolavoro di Augusto Tretti del 1971, Il Potere, una parodia surreale delle dinamiche di acquisizione del potere in diverse epoche storiche, tra cui anche il ventennio fascista. D’altronde l’amore del regista per la storia del cinema era già noto dal 2011, anno di uscita di The Story of Film: An Odyssey, una docuserie di quindi episodi da sessanta minuti interamente dedicata a questo tema.  

Il documentario, nella sua costruzione formale e nel suo stile, ricorda quasi una lezione universitaria: una di quelle tenute da un professore bravo e molto appassionato, che non scorderai mai più. Una lezione che mescola nozioni di cinema, storia e psicologia, di qualche decennio fa, quando Power Point ancora non era stato inventato o non veniva utilizzato e le slide dovevano essere mostrate manualmente, una dopo l’altra, attraverso un proiettore di fortuna. Il film risulta così caratterizzato da una costruzione semplice e diretta: una serie di diapositive o di frame video e una voce fuori campo, quella del regista/professore che ci racconta cosa stiamo vedendo e ha molta cura nell’utilizzare i tempi giusti, affinché tutti gli spettatori/studenti comprendano veramente la lezione. A volte il professore è anche ironico, spiazza con una battuta, rompendo la sequenza narrativa. I frame di A noi!, in particolare, sono quelli su cui maggiormente si concentra la lezione nella sua parte di storia del cinema: ogni frame viene analizzato nei suoi particolari, a volte anche riavvolto e fatto ripartire per dare la possibilità agli spettatori di capirne a fondo l’analisi. 

Consiglio vivamente di guardare questo documentario in lingua originale: l’inglese. Anche se la tentazione di fruirlo doppiato potrebbe essere forte, visto il contenuto e la forma documentario, non fatelo. Una lingua che non sia l’italiano è parte integrante della visione. La scrittura di questo film, di cui il regista è il primo autore, coadiuvato da Tony Saccucci e Tommaso Renzoni nella stesura della sceneggiatura, si sviluppa proprio a partire da uno sguardo esterno: esterno alla storia italiana, alla sua lingua, al personaggio di Benito Mussolini e alla città di Roma attuale, che spesso è protagonista nella fotografia di Timoty Aliprandi. Le informazioni storiche che arrivano allo spettatore da questo documentario non sono nuove, per la maggior parte sono elementi appresi nei libri di scuola. Quello che invece è fortemente originale è il modo in cui queste informazioni sono collegate e il mezzo attraverso il quale vengono fatte emergere: l’analisi dei frame del cinema dell’epoca.

Oltre alla presenza di materiale d’archivio, video e fotografico, e alla voce off del narratore, un terzo elemento completa la creazione: Alba Rohrwacher interpreta una donna degli anni Venti, inizialmente estremamente favorevole al fascismo e poi sempre più delusa e arrabbiata per come il fascismo si è evoluto e ha “tradito” le sue speranze di una rivoluzione italiana.  Questa presenza, seppure interpretata da un’attrice di tutto rilievo come la Rohrwacher, risulta tuttavia stonata, quasi fuori contesto. Aggiunge poco, se non nulla a una narrazione già ricca e corposa, anzi si percepisce talvolta proprio uno scollamento fra le due parti. Perché inserire questo elemento? Probabilmente per creare uno spazio scenico più “mimetico” rispetto a una narrazione, appunto, quasi universitaria, che poteva forse rischiare di essere fredda. Quello che ne risulta, però, è forse l’opposto. Le battute in solitaria della Rohrwacher di fronte alla camera hanno un effetto un tantino alienante, mentre la calda voce del narratore e la semplice schiettezza delle sue parole, sempre ben calibrate, trasporta immediatamente lo spettatore dentro il clima dell’epoca. La seduzione della narrazione mussoliniana, che è in grado di mistificare la realtà a proprio favore, emerge dal solo montaggio arioso ma precisissimo del materiale d’archivio.

La missione di principio del film e dei suoi autori emerge chiarissima sin dal primo frame: il faccione corrucciato ma sereno di Donald Trump, che risponde alla domanda di un giornalista. Se è consapevole che l’autore di una frase da lui twittato è Benito Mussolini? Certo che lo è, risponde serio l’americano, ne è perfettamente consapevole, ma cosa vuol dire? Una citazione è una citazione, non importa chi ne sia l’autore. Il film di Cousins non intende solamente raccontare una vicenda, intende fornirne chiaramente un’interpretazione, per collegarla indissolubilmente alla contemporaneità, come conferma anche la presenza dei frame finali che ritraggono diversi politici contemporanei (da Giorgia Meloni a Vladimir Putin). Un film politicamente schierato. Questo potrebbe non essere un elemento che gioca a suo favore. In questo caso, tuttavia, l’autore lo fa con una tale schiettezza e sincerità, lo dichiara così apertamente sin dalla primissima immagine, che non si può non apprezzarne il coraggio, a prescindere dall’opinione politica di ciasun spettatore. L’intento di Cousins, come lui stesso ha raccontato, infatti, è proprio quello di “difendere la democrazia” attraverso un “promemoria”: la storia si ripete. Rischia di risultare molto più fastidioso, a mio avviso, l’atteggiamento di chi fornisce un’interpretazione, anche controversa, a eventi storici o attuali, ma senza renderla esplicita, come se fosse scontata o tutti dovessero essere d’accordo. Questo atteggiamento rasenta la disonestà intellettuale. In questo caso lo sguardo esterno di un regista e autore non italiano, sguardo la cui originalità e importanza è stata ricordata anche dal coautore ed esperto di storia del fascismo Tony Saccucci, rende più interessante e molto meno scontata l’interpretazione che il film fornisce della Marcia su Roma: una “performance di facciata” che ha avuto, però, un’escalation inimmaginabile, sia a livello nazionale sia internazionale, per le tante emulazioni che ha avuto. In fondo, sembra suggerire il film, la Marcia su Roma è simbolo stesso della corsa al potere, sempre più autoritario, che Benito Mussolini ha ingaggiato e che storicamente è finita con la sua “detronizzazione” alla fine della guerra, ma che rischia di essere rimasta ben viva fino ai nostri giorni nel cuore di chi ne ha sostenuto e ne sostiene i principi.

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