Alessandro Macchi
La natura e l'uomo

Storie del ghiaccio

Reportage nel passato dei ghiacciai, dall'Europa all'America Latina, dopo la tragedia che le alterazioni climatiche (indotte dai nostri comportamenti) hanno provocato sulla Marmolada

Dal giardino della mia casa a Punta Licosa dove si chiude il golfo di Salerno, scendo sulla spiaggetta di sassi tra file parallele, ordinate, di scogli. La raggiungo attraversando la precipite falesia strapiombante per un’altezza di dieci metri percorrendo la mia piccola galleria aperta nella viva roccia.  In un cielo ventoso d’aria estiva il sole, il dio Ra, splende in tutta la sua brillanza sul mare dove le onde si susseguono e frangono. Mi siedo sul consueto scoglio piatto sulla battigia nella spuma e sento e ascolto le onde e penso, supportato dalla natura, all’avvenimento naturale del 3 luglio, Il crollo di una parte del ghiacciaio della Marmolada, quel maestoso balcone sulle Dolomiti. È precipitato un grande seracco di oltre 350 mila mc portatore di lutti. Quel crollo è di un volume impressionante basti pensare che il volume di calcestruzzo dell’Oresund Link, il ponte che collega Danimarca e Svezia è di 320 mila mc. mentre il nuovo ponte sul Polcevera, tra ferro e calcestruzzo, è di poco più di 70 mila mc.

Leggo alcuni dati del Comitato glaciologico: in Italia 180 ghiacciai si sono estinti negli ultimi 20 anni ed oggi ne rimangono 903.

Per la crosta terrestre sono volumi minimi: 300 miliardi di tonnellate si sono fuse al Polo Nord, 130 miliardi al Polo Sud, 35 miliardi fusi dai ghiacciai di montagna del mondo.

Il fattore dei fenomeni è il cambio climatico con l’aumento della temperatura e così gli effetti sono molteplici, la fusione dei ghiacci sta portando all’innalzamento del livello dei mari e l’Università di Bristol fa una stima che, nella situazione peggiore, non è distante dal metro. La temperatura più alta ha delle conseguenze già ben evidenti come la perdita di biodiversità con alterazione della catena alimentare e così via, come la recente grande siccità dovuta anche lei alla riduzione delle nevi e dei ghiacci, quelle masse solide che oggi rappresentano il 69% dell’acqua dolce del globo.

Sono forse fenomeni legati all’evoluzione delle ere geologiche? no di certo o in minima parte, quelle si misurano in milioni di anni e non col metro della vita umana.

E mi rifaccio alla mia esperienza di microbo vivente.

È il 1989, il 7 luglio. Eravamo diretti la mattina di buon’ora al rifugio Quintino Sella o Vitale Giacometti, non ricordo, entrambi sulle pendici del Monviso, il Re di Pietra di 3861 metri. Camminavamo sul sentiero acclive quando ci trovammo di fronte a una enorme massa di ghiaccio.

Erano crollati nella notte 2 terzi della Vedretta del Monviso o ghiacciaio di Coolidge, lo storico ghiacciaio appeso del monte. 200 mila mc si erano staccati ed era evidente la profonda ferita sulla parete Nord del versante; in alto si vedeva anche un puntino rosso un po’ strano, verremo a sapere che era il bivacco Falchi Villata, una scatola di lamiera solo deformata dal ghiaccio ma non distrutta perché accarezzata sul bordo ed erano stati miracolosamente salvi i due alpinisti lì bivaccanti pronti per scalare la vetta.

Guardavamo in sorprendente e pensierosa ammirazione: brontolii si sentivano nel profondo della gran massa bianca, e, più giù, al piede nel lago Chiaretto, ora ridotto a metà, ecco spruzzi e getti di acqua ora torbida ora limpidissima, ultimi guizzi di un organismo vivente.

Se il crollo fosse venuto allora e non di notte ….

Anni prima quando avevo vent’anni, era bello andare al tramonto rosato al lago del Miage alla punta della lingua del ghiacciaio del Monte Bianco a vedere il distacco dei seracchi dalla bianca fronte ghiacciata alta una decina di metri, i seracchi crollavano improvvisi con fragore in ondate nel lago. Ora al laghetto, nulla, alzando lo sguardo non si vede più il bianco della lingua del gran ghiacciaio, sparito su in alto, ma solo polvere nera e detriti sassosi. E cosi è per il lago Blu della lingua del ghiacciaio di Verra a 2180 mt in val d’Ayas nel gruppo del Rosa.

Quando ero ancora ragazzo undicenne sfollato a Castagnito d’Alba, una nevicata nel 1944 era stata ammucchiata nel cortile in una montagnola talmente alta che al disotto avevamo scavato una galleria percorribile a carponi!

Sono avvisi della natura, una varietà di supporti inconsci per noi e di cui stentiamo ad accorgerci e che ignoriamo fino a quando non avviene un luttuoso disastro. Nella mia vita di ingegnere costruttore avevo coniato il termine del “buco ineluttabile”, come quello del ponte Morandi, per intenderci.

Seduto sullo scoglio piatto sulla battigia nella spuma, continua la musica delle onde, eccone una più grande che sale sul greto e mi sposta per l’inizio della spinta di Archimede, poi sbatte sulla roccia della falesia e la risacca mi dà uno schiaffo improvviso di lato: arretro, prudente, a rinculoni.

Che misero fuscello sono nell’onda! Chi può vincere il mare? Poi penso: non è così, bastano quelle due gocce che si scambiano uomo e donna per creare un esercito di esseri che riescono a spaccare la banchisa polare, a cambiare nuvole e venti, a liberare il gigante sotterraneo ridotto a petrolio, quel liquido nero che le ere geologiche hanno imprigionato sottoterra anche per migliaia di metri. L’evoluzione terrestre ha sotterrato le foreste umide primigenie ed ha ordinato terre e acque, regolato piogge e siccità perché l’anidride carbonica, sconfitta, fosse imprigionata in petrolio, e noi siamo vivi e fecondi. Ora con fori profondissimi diamo fiato al gigante nascosto e lo liberiamo bruciando petrolio e creando la plastica da esso derivata e anche tutta la catena di idrocarburi vitali. Ma ritornano liberi anidride e ossido di carbonio imprigionati e l’ozono si apre nell’alto dei cieli: abbiamo dato inizio ad un’epoca del tutto nuova o stiamo accelerando il ritorno a un tempo antico preumano? Ci rinnegherà la terra?

E il mare con il corteo di nuvole, pioggia e vento, liberi e signori, ritornerà a farla da padrone: chi può vincere il mare?

Tutto è scritto sull’acqua.

Realtà sospesa in momenti lirici. I ghiacciai della Patagonia. Anche se i fenomeni che osserviamo sulle nostre Alpi ci paiono imponenti sono, nella varietà del nostro pianeta, una minima frazione di ben altre grandiosità della natura. Noi, 8 miliardi di uomini, non sfiguriamo, anzi ce la battiamo alla pari e vince il peso del nostro cervello che, fatto pari 1 kg per ciascuno, sono ben 8 milioni di tonnellate di cervello: sì, vinciamo, negativamente.

Ripasso le foto del viaggio in Argentina e Cile che avevo scattato con Paola mia figlia.

Come sempre le immagini hanno i loro suoni e consentono il nascere di riflessioni su cui esercitare la mente come in un romanzo non scritto.

Già il nome America del Sud, Patagonia, fine del mondo, ha un che di mitico e suona con grande suggestione. La natura di laggiù, insieme alla storia di quelle terre con i poveri Patàgoni sterminati, gli animali di Darwin, la geografia di oceani e di ghiacciai, di vette della storia dell’alpinismo, e lo stesso nome “Terra del Fuoco” evocano quella bellezza che fa dimenticare, sospendere la realtà delle tempeste e delle foschie umane.

Le immagini insieme agli appunti dell’epoca, che volevano diventar racconto, mi hanno imposto una sintesi che ha portato ai momenti lirici vissuti in quel viaggio: esprimono lo stato d’animo di novelli pellegrini e vale oggi come nel Medio Evo l’antico detto: “L’uomo che arriva alla fine di un viaggio non è mai lo stesso ch’era partito”.

Il grande ghiacciaio Perito Moreno. Lo Hielo Patagonico, la calotta ghiacciata dell’immenso acrocoro andino, è alimentato dai venti umidi del Pacifico che si infrangono sulle creste tra i 3000 e i 4000 metri regalando fino a 40 metri di neve ai bacini collettori dei ghiacciai. Leggo che il Perito Moreno, dopo un periodo in cui sembrava ridursi, ora è ritornato in buona salute ed io, memore degli studi di geologia fisica, credo che il fenomeno avvenga a spese del ghiacciaio vicino per il fenomeno della cattura dei versanti.

Lo raggiungiamo il ventesimo giorno del nostro viaggio. Percorriamo il ghiacciaio con i ramponi che fanno scricchiolare la dura crosta, attenti ai saracchi traditori: abbiamo tre guide per il gruppetto di una quindicina di giovani e mi accorgo che due guide sono praticamente dedicate a me che ho trent’anni in più dei ragazzi.

Il Perito Moreno si estende per 250 chilometri quadrati, è lungo 30 km, avanza 2 metri al giorno, ha 70 metri di fronte su un chilometro di lunghezza e strapiomba su due laghi. La fronte di ghiaccio lotta con l’acqua ma poi esplode in crolli di seracchi che trascinano gli icebergs a navigare nel lago Argentino. A periodi variabili di 4-5 anni la fronte avanza fino alla riva opposta, la penisola di Magellano, e chiude il canale che unisce i laghi e la diga fa alzare l’acqua del lago di monte, il Brazo Rico, anche di 30 metri cne preme contro lo sbarramento che poi cede in una esplosione spettacolare in blocchi grandi come colline che precipitano nell’acqua…Quegli spettacoli dell’acqua che assume infinite forme inducono una ammirazione che disorienta. Si sta verificando una mutazione alchemica del modo di pensare indotta dalla sublimità della natura.

È una molecola semplice l’H2O,
sembrerebbe avere poca vita ma è gonfia di vita
da milioni di millenni governa la Terra, ora acqua, ora ghiaccio.
Cascate fragili scendono da monti lontani con candida potenza
Catene folte di cuspidi le magnificano
Giù, ai laghi, sono timorose del sole e dell’acqua già più tiepida.
L’incontro atteso è maestoso, selvaggio, avvolgente.
Scricchiola il ghiaccio sotto i ramponi assediato e lavorato dal sole e dal vento.
Ci si arrampica sul ghiacciaio, sulla massa del suo dorso a picchi
Mareggiano le guglie dei seracchi figli di esplosioni
Attentano ai nostri passi gli occhi delle voragini
la loro pupilla di acqua color cobalto sprofonda negli abissi,
ci circondano crepacci ovunque come cerniera tra realtà e fantasia
Il corpo immenso, apparentemente immoto, avanza ogni giorno.
Si spacca con rumori e scoppi ritmici ed energici,
è la colonna sonora, la recita della natura per i suoi amici.
Improvvise luminosità accarezzano ed esaltano la sua pelle rilucente al tramonto
E si rompono guglie e crollano muri di ghiaccio nello specchio metallico del lago…
Rabdomante delle inquietudini
Mi colpisce una velocità ferma in luminosità bianche
sento e vedo voci di immagini
dolorosamente belle
come gli istanti delle passioni

Icebergs dai Ghiacciai Upsala, Spegazzini, Bahia Onelli. Da El Calafate raggiungiamo punta Bandera sul Brazo Norte del lago Argentino. Da qui navighiamo per due ore col catamarano bordeggiando i fiordi fino alla fronte dei ghiacciai Upsala e Spegazzini e ammiriamo la loro imponente bianca fronte alta decine di metri.  Per raggiungere gli altri ghiacciai si attraversa la Bahia Onelli, si sbarca e si percorre un pezzo di foresta incontaminata. Procediamo come sempre in silenzio.

Nella baia confluiscono tre ghiacciai: Agassiz, Bolados, Onelli. I ghiacciai sono stremati dalla fusione per l’aumento della temperatura e si sono ritirati di 700 metri negli ultimi anni, e io penso con una stretta al cuore alla possibilità che spariscano e lascino il posto a distese di nera terra arida, e, al pensiero, tacciamo, turbati. Affido al sentire poetico il mio auspicio e la mia preghiera.

Nell’orlo della luce nell’estremo Sud
Appare e rende attoniti il bagliore di muraglie bianche che compaiono tra le valli
Le alte fronti di distacco si ritraggono, brillano, si rompono, collassano
Icebergs galleggianti popolano il lago
Nascono i grandi gruppi scultorei che, navigando, si muovono al sole
Si allontanano rigirandosi nell’acqua limosa come magma fuso.
Sono i resti vivi dei grandi corpi gelati
La loro discesa è scandita da scricchiolii, scoppi, tonfi, ondate improvvise
Le bolle d’aria incorporata rifrangono la luce in colori variegati.
Vive una Grotta Azzurra alta trenta metri
compare un ponte giallo e un obelisco violetto
Il limo glaciale in sospensione nell’acqua diffrange la luce del sole
Nascono colori ultraterreni, turchese, verde pallido, azzurro
Divinità Ghiacciata in affanno
non rendere questi luoghi deserti
non renderli plaghe derelitte nere di polveri
lascia un’anima viva e non spegnere il tuo fuoco che dà spirito al mondo.

In Cile: Fiordo Ultima Esperanza Ghiacciai Balmaceda e Serrano. Dall’Argentina passiamo in Cile percorrendo, con dieci ore di autobus, uno stradone sterrato che attraversa la Cordigliera Patagonica all’estremo sud.

Da Puerto Natales raggiungiamo i ghiacciai navigando nel fiordo Ultima Esperanza su un peschereccio di un bel color rosso. La mattina presto la nebbia è fitta e la barca suona la campana, poi compare il sole ancora basso sull’orizzonte che svela ripide rupi e valli bianche di ghiacci. A sera le emozioni si stemperano con una parriglia di cordero patagonico e un generoso rosso nell’estancia sul greto.

Precipizi circondano il lago
La fronte del ghiacciaio Serrano si annuncia in baluginii argentei.
Folate di vento gelido scendono a flussi e vortici
Acqua azzurra stilla, giù dalle fenditure del ghiaccio antico,
quasi dolorosa
vacilla la vita dell’immenso corpo bianco che muore
si insinua il pensiero del rimpianto e del rimorso.
Fiori sbocciano nella tarda primavera dagli arbusti dopo la morsa del freddo
diamantino e profumano la luce sul ciglio del sentiero del risveglio
Ti incammini sul precipizio del monte tra ghiaccio e acqua
sul doppio versante del monte e della coscienza.

Esco dal giardino sul mare di Punta Licosa dove sto scrivendo e mi accarezza il profumo di gelsomino portato dalla Libia, dolcissimo, sereno.

In fondo i problemi principali del mondo sono il risultato della differenza tra il modo in cui la natura opera e il modo in cui l’uomo pensa.


Le immagini nel testo sono di Alessandro Macchi e sono tratte dal volume “Le lacrime del sole, reportage dal mondo” edito da Rogiosi.

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