Roberto Verrastro
Uno studio del 2021

Il metodo Zelensky

In un saggio di Olga Baysha, analista ucraina di formazione statunitense, l'analisi dell'ascesa e della gestione del potere in Ucraina da parte del presidente-attore Volodymyr Zelensky. Prima che l'invasione russa cambiasse tutto

L’analisi delle strutture del potere nell’Ucraina di Zelensky, patria della giornalista e massmediologa Olga Baysha, è al centro del suo saggio pubblicato due mesi prima dell’invasione russa del Paese del 24 febbraio: Democracy, Populism and Neoliberalism in Ukraine, “Ai confini del virtuale e del reale” (Routledge, 130 pp., 54,99 euro, ebook 11,99 euro). Nel primo degli otto capitoli del volume (L’esplosione populista come reazione all’ordine neoliberale) Baysha, formatasi negli Stati Uniti alla Colorado State University, rievoca l’uscita di scena di Gorbaciov nel 1991, dopo la quale “le sregolate privatizzazioni di massa degli anni Novanta cedettero a prezzo irrisorio le aziende di Stato alla nomenklatura del partito che, durante la perestrojka, aveva accumulato ricchezze depositando fondi statali in conti bancari personali all’estero”. La maggior parte degli oligarchi ucraini, come Petro Poroshenko, il “re del cioccolato” e presidente uscente rivale di Zelensky che, con il 73,2 per cento dei voti, lo sconfigge alle elezioni presidenziali del 2019, “avevano accumulato fortune attraverso l’impoverimento di massa dei lavoratori nel primo decennio di riforme neoliberali post-sovietiche, quando i nuovi Stati indipendenti furono saccheggiati da quanti avevano avuto un accesso privilegiato alle precedenti risorse statali”.

Una premessa storica necessaria per chiarire nel secondo capitolo (Eufemizzare la promessa neoliberale) l’iniziale popolarità di Zelensky: “Gli ucraini ritenevano che lo smantellamento dello stato sociale e la disuguaglianza economica e politica fossero realtà specifiche della situazione post-sovietica dell’Ucraina, invece che esiti dell’ordine neoliberale globale. L’Occidente, sempre immaginato in termini universali senza contraddizioni interne, era considerato uno spazio di giustizia sociale e democrazia da ottenere sbarazzandosi degli oligarchi”. La storia del presidente Zelensky inizia il 30 aprile 2019, quando un attore comico che ridicolizzava i potenti diventa uno di loro giungendo al vertice dello Stato, come gli era già accaduto nella finzione di una serie televisiva, intitolata Servitore del popolo. Il primo dei 51 episodi della serie, terminata con perfetto tempismo nella primavera del 2019, va in onda nell’autunno del 2015 sul canale televisivo 1+1. Zelensky vi interpreta il protagonista, Vasyl Petrovych Holoborodko, un insegnante di storia divorziato che vive con i genitori in un vecchio appartamento di Kiev e proclama che, se potesse governare, farebbe vivere l’insegnante come il presidente e il presidente come l’insegnante. I suoi allievi diffondono simili comizi sui social network, avviando una raccolta fondi per fare di Holoborodko il “candidato della gente” alle elezioni presidenziali, che lo vedono trionfare con il 76 per cento dei voti.

“La serie tv dipinge il popolo dell’Ucraina come una totalità priva di divisioni, da cui sono esclusi solo gli oligarchi e i politici corrotti. Negli episodi finali del 2019, Holoborodko pronuncia alcune frasi in ucraino e altre in russo, proprio come Zelensky nel suo discorso inaugurale reale”, osserva Baysha nel terzo capitolo (Il popolo contro le élite). Il populismo inclusivo di Zelensky sorvola sulla radicata divisione del Paese, divenuta inconciliabile sull’onda della rivoluzione Euromaidan, che proiettò Poroshenko alla presidenza nel 2014. Le proteste divamparono a Kiev a fine novembre del 2013, per il rifiuto del presidente Yanukovich di firmare un accordo di associazione con l’Unione europea. Tuttavia solo il 39 per cento della popolazione approvava l’accordo, “che non aveva motivazioni culturali, era un assaggio tecnocratico di liberalizzazione economica. Non c’è un modo europeo di tagliare le pensioni o i sussidi per il gas”. L’opposizione più dura si ebbe nel Donbass, una regione altamente industrializzata che più di tutte aveva già sofferto le riforme neoliberali post-sovietiche. Gli oppositori dell’Euromaidan, ucraini di lingua russa delle regioni sud-orientali, venivano bollati come “sovki”, filo-sovietici arretrati, che ricambiavano dileggiandone i sostenitori, cittadini di lingua ucraina delle regioni nord-occidentali, ritenuti incapaci di intuire le conseguenze della loro sollevazione: l’annessione russa della Crimea, la guerra nel Donbass e l’incremento dei costi delle utenze domestiche.

Il partito di Zelensky, che prende il nome dal titolo della serie tv, viene presentato nel 2018. Alla domanda se egli sia consapevole che un simile artificio avrebbe dato a milioni di ucraini la sensazione di votare per Holoborodko, Zelensky replica che non ci sono grandi differenze tra il personaggio e il suo interprete, che è anche sceneggiatore della serie, nonché produttore tramite la sua società, la Kvartal 95. Di quest’ultima è amministratore delegato un amico d’infanzia di Zelensky, Ivan Bakanov, che nel 2019 lascia anch’egli il mondo dello “spettacolo” per approdare al vertice dei servizi segreti, da dove viene rimosso il 17 luglio 2022. “Holoborodko, un insegnante squattrinato, lasciava intendere a milioni di persone che la gente comune potesse vincere le elezioni e usare il potere politico al servizio del popolo invece che di interessi particolari. Una fantasia collettiva che ha infranto ogni barriera tra l’immaginario e il reale, l’artistico e il politico, il digitale e il tangibile”, osserva l’autrice nel quarto capitolo (Ai confini del virtuale e del reale. Simulare il politico). Il risultato è un neoliberalismo autoritario in cui la fantasia diventa realtà solo quando serve a Zelensky. “Gli esponenti chiave del partito hanno firmato in anticipo le lettere di dimissioni. È come se fossero stati scritturati per ruoli parlamentari simili alle loro controparti della serie tv, dove Holoborodko assume e licenzia senza curarsi delle leggi in materia. L’immaginario e il reale si sono dissolti in un gioco virtuale in cui ogni giocatore è in balia di un sistema che detiene un monopolio sui ruoli. Un dispotismo per tempi virtuali”.

Il 70 per cento della superficie dell’Ucraina, circa 42 milioni di ettari, è terreno coltivabile. “Una risorsa che ha sempre interessato gli investitori stranieri, per il basso costo del lavoro e leggi di tutela ambientale più permissive. Ma il mercato della terra non era mai stato liberalizzato”, prosegue Baysha nel quinto capitolo (Non vendere la nostra Madre Terra! La riforma agraria di Zelensky). Il primo governo dell’era Zelensky si insedia il 29 agosto 2019. Appena tre giorni dopo, Zelensky incarica il primo ministro Honcharuk di predisporre una legge per abolire la moratoria sulla vendita dei terreni agricoli, in modo che la Rada, il Parlamento ucraino, possa varare una nuova legge agraria nel dicembre successivo. “Un trauma per molti ucraini, convinti che la vendita della terra non arricchirebbe loro, ma le multinazionali e gli speculatori finanziari globali. Inoltre il programma elettorale di Zelensky su questo non diceva nulla”. Una sommossa costringe Zelensky a una ritirata tattica e alla promessa di un referundum sulla questione, che gli stava a cuore anche per un motivo che appare una premonizione: “In un’intervista del 2018, Zelensky sembra essere fiducioso che vendere la terra agli stranieri (e cita il mondo arabo, la Cina e l’America) eviterebbe una guerra contro l’Ucraina e la sua occupazione da parte di un invasore. Benché Zelensky non dica Russia, la sottintende”, scrive l’autrice.

Il capitolo finale del saggio (Democrazia a venire. Una promessa perpetua) si chiude con un paragrafo intitolato “Servitori del globalismo”. “Il 4 marzo 2020, Zelensky allontana il primo ministro Honcharuk e altri ministri connessi con il capitale finanziario globale. Dal dicembre 2019 l’emissione di titoli di Stato ad alta redditività acquistati a piene mani dagli speculatori finanziari globali prosciugava il denaro dalle casse statali. Il governo ha continuato a emettere titoli fino a minacciare l’intero sistema economico nazionale, in quanto il correlato apprezzamento della grivnia (la moneta ucraina) sul dollaro, abbatteva i profitti degli esportatori ucraini”. Ma Honcharuk lascia in eredità un sistema in cui i ruoli apicali nei consigli di amministrazione delle aziende di Stato sono ricoperti da stranieri. “Tra di loro: Jost Lyngman, rappresentante permanente del Fondo Monetario Internazionale in Ucraina, un cittadino del Regno di Svezia; Matteo Patrone, amministratore delegato della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo nell’Europa dell’est, un cittadino italiano; Jason Pellmar, capo dell’ufficio regionale della Società finanziaria internazionale (gruppo Banca Mondiale) in Ucraina e Bielorussia, un cittadino statunitense”. La cura Honcharuk-Zelensky è suggellata da un crollo del 16 per cento della produzione industriale.” I servitori, a dispetto della loro perizia nella speculazione finanziaria, sono incapaci di gestire un’economia reale. Al momento della redazione di questo saggio (inizio di agosto 2021) il tasso di approvazione di Zelensky tra gli ucraini è del 29 per cento”, conclude Baysha.

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